
Patrick Ryan.
Il nome di Patrick Ryan, lotta armata, violenza non dirà molto ai lettori, neppure a quelli più stagionati. Fu uno dei pochissimi preti che, negli anni ’70, scelsero di coinvolgersi direttamente nella ribellione violenta ai poteri costituiti. Ricordo solo altri due nomi: Camilo Torres (1929-1966) e Conrado Balweg (1944 -1999).
La vicenda di Ryan (1930-2025) è stata ripresa in occasione della sua morte (15 giugno) dal New York Times (25 luglio).
Nato in Irlanda da una famiglia cattolica molto coinvolta nelle rivendicazioni a sostegno dell’Irlanda del Nord (territorio inglese), a quattordici anni entra nel seminario dei Pallottini (Società dell’apostolato cattolico) e diventa prete nel 1954. Viene inviato come missionario in Tanzania.
Si fa notare per l’intraprendenza delle sue iniziative pastorali e sociali (costruzione di pozzi, spostamenti con un piccolo aereo, grande attenzione agli indigeni ecc.).
Sul finire degli anni ‘60, i superiori lo spostano in Inghilterra dove serve, con crescente disagio, una parrocchia. Si fa trasferire in Irlanda per seguire la madre, ma, in realtà, per vivere da vicino lo scontro che contrappone gli irlandesi cattolici e il ceto anglofono egemone in Irlanda del Nord.
Sono gli anni della violenza armata delle forze di polizia inglesi sull’allora minoranza irlandese e del conflitto sordo e radicale che trova la sua mano militare nell’IRA (Irish Republican Army). Si moltiplicano gli scontri armati, gli attentati, le violenze e le vittime. Negli anni successivi anche in Gran Bretagna (uno diretto contro la premier Margaret Thatcher nel 1984).
Il “cappellano” dell’IRA
Ryan si allontana definitivamente dalla congregazione religiosa e dal ministero nel 1973 (formalmente solo nel 1990), in ragione della distorsione dei fondi raccolti per le missioni e deviati verso il sostegno all’IRA. La sua capacità di raccoglitore di fondi diventa decisiva quando aggancia la ricchezza del potere libico di Muammar Gheddafi. Un fiume di denaro arriva all’IRA.
Forte delle sue competenze, trasforma i timer usati nei parcheggi per le bombe degli attentati. In un’intervista alla BBC (2019) ha ammesso di aver contribuito a numerose operazioni di terrorismo: «Direi alla maggior parte di esse, in un modo o nell’altro, sì, ho dato una mano nella maggior parte di esse».
In un libro biografico uscito nel 2023 ha detto alla curatrice Jennief O’Lear: «L’unico rimpianto che ho è di non essere stato più efficace, che le bombe fabbricate con i componenti che ho fornito non abbiano ucciso più persone».
Una sensibilità ormai lontana dal sentire ecclesiale. Nel 1975 si trasferisce in Spagna e, assieme alla compagna, sviluppa il finanziamento del movimento indipendentista.
Nel 1988 è arrestato in Belgio. La magistratura locale non accetta la richiesta inglese di estradizione e lo spedisce in Irlanda. Alla fine degli anni ’80 rompe con la dirigenza del movimento e, nel 1989, si candida per il parlamento europeo senza riuscire ad essere eletto.
L’IRA rinuncia all’attività militare e, il 22 maggio 1998, gli “Accordi del venerdì santo” vengono approvati per via referendaria chiudendo la stagione delle violenze.
Al funerale (18 giugno) Ryan viene ricordato per la sua esperienza missionaria e umanitaria, senza accenni al suo attivismo rivoluzionario.
Tentati dalla violenza
Nei decenni ’70-’90 del secolo scorso, la discussione sulla legittimità della violenza rivoluzionaria ha attraversato una parte del mondo ecclesiale e ha inquietato le coscienze più avvertite del grido dei popoli oppressi.
L’ampio consenso alle ragioni della protesta e al sostegno alle forze riformiste-rivoluzionarie non è arrivato alla condivisione della rivoluzione armata da parte del clero se non in pochissimi casi già accennati. Giustificando tuttavia – dopo la rinuncia al servizio presbiterale – una stagione di attività politica.
È stato il caso in Nicaragua di Fernando Cardenal (1934-2016), Ernesto Cardenal (1925-2020), Miguel d’Escoto Brockmann (1933-2017). Come anche quello di Jean-Bertrand Aristide (nato il 1953) ad Haiti.
La questione è stata affrontata dal magistero in maniera diretta con un duplice intervento sulla teologia della liberazione: Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione nel 1984 e Istruzione sulla libertà cristiana e la liberazione nel 1986. In ambedue i casi la condanna verso la violenza rivoluzionaria è molto esplicita.
Anche nell’elaborazione teologica, assai più aperta dei testi vaticani alle esigenze dei “popoli oppressi”, la giustificazione della violenza non è mai stata condivisa, né sul versante della teologia della liberazione latino-americana (G. Gutierrez, L. Boff, J. Sobrino, V. Elizondo ecc.), né su quello europeo della teologia politica (J.B. Metz, J.I. Gonzales Faus, G. Girardi ecc.).
Nella “Lettera ai gesuiti dell’America Latina” del preposito generale dei gesuiti, p. P. Arrupe (1975), si affronta la questione con molta attenzione. Pur non essendo un testo magisteriale, ebbe grande diffusione e autorevolezza. Esso comprende e condivide l’impegno coraggioso a fianco dei poveri e intuisce la pressione della necessità di rispondere con ogni mezzo possibile all’ingiustizia omicida del potere, ma la risposta della violenza è sbagliata. Essa genera solo altra violenza e non è coerente con l’attesa del Regno di Dio. I mezzi devono essere pacifici e non violenti.
«È evidente che sono contrario alla violenza. Non vedo in che modo mezzi violenti possano essere positivi. L’esperienza recente conferma quanto inumana e poco produttiva sia stata ogni forma di violenza armata». Senza escluderla in via di principio (la tradizionale legittimità dell’uccisione del tiranno), «coloro che pensano di usare la violenza contro una violenza maggiore pongono sulle loro coscienze una responsabilità gravissima per la quale dovranno rendere conto a Dio, agli uomini e alla storia dei loro stessi popoli».
Va ricordato che la scelta dei poveri ha radici profonde nel Vangelo ed è stata alimentata dal concilio Vaticano II, ha attraversato l’esperienza del martirio e ha liberato la Chiesa dalla cappa e dalla tutela della giustificazione del potere illegittimo. Evitando l’ideologizzazione del cristianesimo, ha rafforzato la dimensione critica della coscienza cristiana la cui necessità sta emergendo con forza nei tempi recenti.






Grazie per averci ricordato del rapporto necessario e delicatissimo tra fede e politica, tra fede e impegno per la giustizia. ancora grazie!
“Il titolo è un modo per ricordare Camilo Torres Restrepo, sacerdote e rivoluzionario colombiano che si unì ai guerriglieri perché desiderava che tutti, anche gli ultimi, godessero degli stessi diritti. Combatteva con l’abito talare ed il fucile sulle spalle e morì durante la sua prima battaglia, un’imboscata tesa all’esercito nazionale colombiano. Una figura controversa che ha fatto dialogare marxismo e cattolicesimo, un uomo colto, fondatore della facoltà di sociologia di Bogotà che decise di unirsi ai guerriglieri sperando di ripristinare la giustizia sociale, di cambiare la Colombia e in fondo anche il mondo.”
https://zetaluiss.it/2020/12/26/kapuscinski-cristo-con-il-fucile-in-spalla/
Perchè non pubblicate il mio commento su Kapuscninski? Cristo con il fucile in spalla parla proprio di un sacerdote rivoluzionario che si unì ai guerriglieri in Colombia. Poi se abbia fatto bene o male non lo so, mi colpì molto il titolo a suo tempo, per questo lo lessi..
Con tutto il rispetto per una singolare testimonianza storicamente ben determinata, con il bisogno di pace che oggi si sente per il momento lascrei alla storia queso confratello
In un non lontano passato ,la Chiesa cattolica ha giustificato le crociate ,le repressioni armate contro le minoranze religiose non.conformiste(cfr donatisti,albigesi,valdesi,ecc) : ora le gerarchie vaticane,quelle che sostenevano i boja del famigerato Pio Nono ,vengono a fare un i moralisti nei confronti di credenti che teorizzano e praticano la ribellione con forza materiale alle oppressioni materiali dell’,idolatria mammonista capitalista!I veri eretici sono loro ,i nuovi docetisti che sono complici con.la dimensione materiale del male e del peccato sociale dell ‘avidita’ !
Da un punto di vista rigorosamente evangelico non si dovrebbe resistere, o combattere, il malvagio, sia esso un signolo uomo, o un potere costituito, usando la violenza. Ma questo principio va applicato integralmente. Dunque un cristiano non dovrebbe militare in un esercito, o in un corpo di polizia, indipendentemente dalla legalità/moralità del governo da cui dipendono.
Siamo tutti figli di Dio,nessuno può dire io sono migliore di te.e che siate credenti in Dio oppure no a tutti verrà fatta la stessa domanda: Caino dov’è tuo fratello ?allora. Non avrai più scuse sarai giudicato per tutto il male che hai fatto,prima di mettervi a fare i giustiziere pensate che la stessa giustizia sarà usata sopra di voi.
Poi è arrivato papa Francesco che ha autorizzato a dare un pugno a chi offende la madre altrui e ha tolto la legittimità della pena di morte; quindi in alcuni casi un po’ di violenza va bene, ma non troppa.
https://www.sololibri.net/Cristo-con-il-fucile-in-spalla-Kapuscinski.html