
Nell’ambito di Filosofia al Mare, l’annuale manifestazione estiva di Francavilla al Mare (Chieti) ideata dal compianto Carlo Tatasciore, giunta alla sedicesima edizione, dedicata quest’anno all’intelligenza, sabato scorso Massimo Cacciari ha innanzitutto sottolineato un punto: prima di discutere di intelligenza artificiale, dovremmo ben definire cosa sia l’intelligenza umana.
Il termine latino rimanda, non a caso, a intus legere, leggere dentro. Qual è il senso delle cose? Dov’è la loro essenza? Senza dimenticare che in genere “dentro” vi è una molteplicità di cose differenti, da distinguere, così che intelligenza significa anche riuscire a compiere le distinzioni.
Essa nasce dai sensi, dall’insieme dei sensi, non da ciascuno preso separatamente. Sgorga, dunque, dal sentire e dal corpo. Non è disincarnata. Non vi può essere intelligenza senza sensibilità. Anche l’idea parmenidea dell’essere vola sulle ali dei sensi. La percezione, poi, è la facoltà di ordinare e organizzare le sensazioni, legandole tra loro, come se tanti fotogrammi venissero disposti in sequenza. Il pensiero filosofico, quindi, non astrae dalla corporeità, dai sensi, dal percepire; non nasce, potremmo dire, “dualista”.
Il Nous di Anassagora, a sua volta, è proprio la forza ordinatrice dell’universo, tale da disporre ogni cosa in maniera intelligente, in maniera non troppo dissimile dal Demiurgo platonico, che dall’informe, dal caos, fa nascere il mondo, il cosmo.
Ed ecco porsi l’istanza socratico-platonica: “conosci te stesso”. Chi è colui che conosce gli oggetti, la natura, il mondo? Si apre l’inesauribile questione del rapporto tra soggetto e oggetto. Il soggetto, per fondare la conoscenza, dovrebbe innanzitutto conoscersi. È, in definitiva, la domanda che (si) pone Cartesio rispetto alla rivoluzione scientifica: chi è che conosce? Chi sono io? Chi è il soggetto?
Aristotele, dal canto suo, aveva colto nel pensiero di pensiero (noesis noeseos) il pensiero divino, eterno e perfetto, che non può non pensare se stesso. Come dire: il soggetto – il pensatore – e l’oggetto – il contenuto del pensiero – coincidono. Qui, tuttavia, si pone subito un’aporia: l’universo, per definizione caratterizzato dal molteplice, non è contenuto tutto nel “pensatore”.
Non solo: il “pensiero di pensiero” potrà riguardare Dio (il discorso teologico), non ciascuno di noi. In me, in te, in lei, in lui tale conoscenza perfetta potrà aversi per un istante, limitatamente a qualcosa: l’intuizione di un istante, appunto, l’eureka (ecco, ho capito di cosa si tratti, ho trovato). Per il resto, prevale il socratico sapere di non sapere. Il “pensiero di pensiero”, in definitiva, può sì esprimere un’istanza di unità tra soggetto e oggetto del conoscere, ma non la loro coincidenza: chi conosce e pensa non può coincidere con quel che viene conosciuto e pensato.
Da qui, altre correnti di matrice aristotelica e soprattutto platonica prendono le mosse per superare l’aporia. Potrà così aversi, ad esempio, l’intuizione di un istante, che spalanca le porte dell’infinito. Di nuovo, non un infinito astratto, bensì legato alla vita, a un vissuto, diremmo noi oggi.
Ma qual è la radice etimologica più remota del nous, del noein, quindi dell’intelligenza? Essa esprime l’idea dell’andare e del tornare (si guardi al nostos, il ritorno); scaturisce dal rapporto con l’altro da sé (l’andare) e dal tornare in sé (conosci te stesso, come singolo). L’intelligenza, cioè, è etimologicamente “nostalgica”. Qui, personalmente, mi sarei soffermato un po’ di più sulla tensione propria di tale andirivieni: sulla tensione che nasce dal corpo a corpo con l’alterità e dal ritorno in noi stessi.
È proprio grazie al movimento di andare-tornare che nasce la coscienza. Coscienza di cosa? Innanzitutto della propria singolarità.
Ecco perché è cruciale la domanda iniziale, che si pone, come in genere i quesiti della metafisica, con un che cos’è? Cos’è l’intelligenza umana? È il dispiegarsi di tutto ciò o è un semplice “procedimento”, uguale per tutte e tutti? Un procedimento, magari, traducibile in un “algoritmo”? Senza por mano a tali dilemmi, non potremmo confrontarci seriamente con le sfide dell’intelligenza artificiale.
Ecco il messaggio che proviene da Cacciari e da Filosofia al Mare. La rassegna si conclude con il conferimento del Premio nazionale di filosofia “Carlo Tatasciore” 2025 a Roberto Esposito, che discute del tema Dove sta il pensiero?, e a Francesca Rigotti, che pone il problema del calo dell’intelligenza all’epoca di internet.





