Si attendeva entro il 2017 il riconoscimento giuridico dei titoli di studio forniti dagli Istituti superiori di scienze religiose (ISSR). Non è arrivato e non arriverà a tempi stretti. I 24.000 insegnanti di religione e i 15.000 studenti dovranno attendere.
Che cosa è successo? Governo e Segreteria di stato vaticana hanno convenuto, su suggerimento dei consulenti giuridici, che la priorità del patto concordatario sugli altri trattati internazionali (compresi quelli europei) richiedesse una ulteriore verifica dell’intesa già sostanzialmente raggiunta. Il che ha comportato la formazione di una commissione mista, che è già al lavoro, e il perfezionamento dell’ipotesi di uno «scambio di note» fra Governo e Segreteria di stato. Lo strumento “nota” non avrebbe bisogno di altri passaggi.
Tenendo conto del terremoto elettorale recente e del nuovo governo 5Stelle-Lega è difficile indicare un orizzonte temporale a breve per la conclusione dell’intero processo.[1]
Continua l’attuale disciplina che riconosce ai laureati negli ISSR il diritto di insegnamento della religione cattolica nella scuola, ma non ancora la spendibilità del titolo a tutti i livelli.
Dove si fa teologia
Mons. Andrea Toniolo, responsabile fino a pochi mesi fa del Servizio CEI per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose, ha costruito, con pazienza e tenacia, una nuova mappa degli ISSR in Italia, in conformità alle richieste della Congregazione per l’educazione cattolica e alle normative che accompagnano il Processo di Bologna, lo spazio europeo per gli studi universitari e la ricerca.
L’11 luglio 2017 la CEI pubblica l’elenco delle facoltà e egli istituti abilitati a rilasciare titoli di studio per l’insegnamento della religione. Dai precedenti 83 ISSR si scende a 48 (40 in rapporto con le Facoltà teologiche italiane e 8 in rapporto con le Università pontificie). Una cura dimagrante richiesta dalle normative della Congregazione: almeno 75 studenti, 5 professori stabili, biblioteca, ambienti, conformità alle normative europee (3+2 anni, crediti, piani di studio, supplemento di diploma, controllo di qualità ecc.).
Il quadro sistematico degli studi teologici è assai più complesso. Vi sono 8 Facoltà teologiche (a cui fanno capo gli ISSR) in Italia e 12 Università pontificie a Roma. A queste si aggiungono gli Studi di teologia (seminari diocesani o religiosi) e altri istituti di secondo livello (come quello di Urbino o l’istituto Sophia dei Focolari). Con alcune decine di specializzazioni attive. In questi casi, il percorso è quinquennale per il baccellierato (laurea breve), biennale per la licenza (laurea specialistica) e poi l’eventuale dottorato. Coerentemente gli ISSR non hanno la possibilità di offrire il riconoscimento di licenza né il percorso per un dottorato.
La Congregazione per l’educazione cattolica persegue il riconoscimento di tutti i titoli di studio. È quindi attenta a portarsi a casa l’intero pacchetto, come del resto è avvenuto per molti altri stati, anche concordatari. Un’accelerazione sul solo riconoscimento del titolo ISSR, da un lato, premierebbe gli sforzi compiuto dagli istituti e darebbe spazio a proposte più diversificate di specializzazioni (il mercato dell’insegnamento di religione è ormai saturo), dall’altro lato, aprirebbe contraddizioni significative (le Facoltà che sorvegliano gli ISSR non avrebbero riconoscimento; percorsi di studi più impegnativi non avrebbero sbocchi civili).
L’imprevista frenata potrebbe non durare a lungo se il nuovo governo decidesse in tempi ristretti. Ma questo non è per ora prevedibile. Rimangono alcuni interrogativi di fondo sulla teologia e il suo apporto alla Chiesa e alla società. Se ne possono elencare alcuni.
Interrogativi
Anzitutto, la ricerca. Se – come annota la costituzione apostolica Veritatis gaudium – la sacra Scrittura è, secondo il dettato conciliare, «anima di tutta la teologia» all’interno della Tradizione, non di meno è centrale l’«assidua e consapevole partecipazione alla sacra liturgia».
Già la Sapientia christiana allargava il campo ai popoli e alle culture, oggi si riprende l’anelito di Benedetto XVI sulla dilatazione della ragione come servizio al Vangelo e alla cultura: «il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade».
Diventa necessario un pensiero aperto, dentro una Tradizione aperta e creativa. «La teologia, non vi è dubbio, deve essere radicata e fondata nella sacra Scrittura e nella Tradizione vivente, ma proprio per questo deve accompagnare simultaneamente i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili».
Essere a questa altezza significa saper «vivere rischiosamente e con fedeltà sulla frontiera». Si può persino parlare di un’«apologetica originale».
Tutto questo significa investire in persone e competenze per fare degli ISSR e delle facoltà dei veri centri di ricerca. I docenti dovrebbero essere protagonisti della loro disciplina.
In secondo luogo, una ricerca non autoreferenziale. L’Italia sconta l’assenza della teologia nell’università. Le facoltà sono state chiuse nel 1873. Il numero esiguo degli studenti, la conflittualità dello stato unitario rispetto allo stato pontificio e ragioni di controllo delle autorità ecclesiastiche sull’indirizzo di studi hanno concorso alla decisione Ma è un’assenza che si è fatta e si fa sentire.
Se è vero che tutte le discipline corrono il rischio dell’autoreferenzialità essa diventa un pericolo mortale per la teologia. Un linguaggio iniziatico, un ambito di utenza limitato, un distacco dal vissuto: sono limiti importanti da superare. Anche in ragione del compito pastorale della teologia e del suo contributo alla cultura di un popolo.
In terzo luogo, il doppio binario. Numeri, investimenti finanziari, competenze personali, oltre alle indicazioni del superamento dello staccato chierici-laici dell’ecclesiologia recente, giustificano ancora il doppio regime: un percorso per chierici (5 anni per il baccellierato e poi, eventualmente, licenza e dottorato) e uno per i laici (ISSR), in particolare per le donne? Una teologia “piena” è possibile solo nel primo percorso? Per uscire da un impianto clericale e per una maggiore funzionalità, non sarebbe meglio comporre i due percorsi?
Infine, la fede nello spazio pubblico. La fine della secolarizzazione intesa come processo irreversibile di riduzione al singolo della fede e l’esplodere delle discussioni pubbliche, anche in ragione dei fondamentalismi, in particolare islamico, riaprono il compito di una parola pubblica della Chiesa. A cui la teologia è chiamata a contribuire un maniera diretta.
Gli interventi importanti del presidente francese Macron davanti ai rappresentanti delle fedi nel paese, segnali come la presenza su Foreign Affairs, la rivista americana di interesse politico per antonomasia, di un articolo di M.C. Dingemer su “Il cambiamento nella Chiesa. Papa Francesco e il futuro del cristianesimo” (luglio-agosto 2018), e i dibattiti sui nuovi sovranismi in Europa (comprese le esternazioni dell’on. Salvini), sono segnali di una richiesta di intervento che non può essere ignorata.
[1]Cf. su Settimananews gli articoli pubblicati attinenti a questo tema: «Facoltà teologiche e ISSR: un profilo accademico?»; «Il gaudio della verità»; «Scienze religiose: diplomi e teologia»; «Istituti superiori di scienze religiose: da 83 a 40».
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