Giustizia

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giustizia

Umberto Curi, Professore emerito di storia della filosofia presso l’Università di Padova, il 5 aprile scorso, è intervenuto a Mantova nel Convegno Per la giornata nazionale della giustizia riparativa. Curi è autore del volume Il colore dell’inferno. La pena tra vendetta e giustizia, Bollati Boringhieri 2019. Qui risponde alle domande poste da Giordano Cavallari.

  • Professore, qual è la concezione di giustizia affermatasi nel nostro Occidente?

La nozione che è a fondamento della concezione della giustizia, largamente prevalente nel mondo occidentale, è quella che si esprime col termine greco poinè. Originariamente il termine indica il contraccambio, la compensazione, il corrispettivo. Viene usato ad esempio per indicare la parte del bottino che spetta ai componenti di un esercito vittorioso.

Da cui, poi, il significato derivato, secondo il quale la poinè – diventata l’italiano pena, l’inglese penalty, il francese peine, lo spagnolo pena – è ciò che “spetta” a chi si renda responsabile di una colpa. Si tratta di una complessiva visione del mondo, inteso come un “ordine” che non deve essere violato.

  • In quale rapporto sta – tale concezione – col pensiero cristiano neotestamentario?

Emerge al riguardo un paradosso. Mentre il diritto penale moderno è fondato sul nesso colpa-pena, e dunque sulla necessità che l’eventuale violazione dell’ordine originario sia compensata da un movimento uguale e contrario, nella concezione cristiana il corrispettivo della colpa – e cioè del peccato – non è la pena, ma la sovrabbondanza della misericordia divina, come afferma Paolo nella Lettera ai Romani.

  • Perché la nostra immagine della giustizia è la donna bendata, con bilancia e spada?

La donna bendata doveva servire a sottolineare che la giustizia non “guarda in faccia” a nessuno. Ma ciò che si evidenzia è, all’opposto, la necessità che l’amministrazione della giustizia “veda” bene le differenze e colga le peculiarità dei casi specifici. Quanto alla spada, già Cesare Beccaria auspicava una giustizia mite, che non avesse bisogno della violenza della spada per imporsi.

  • La concezione costituzionale – italiana – è diversa?

Rispetto alla concezione retributiva della giustizia, fondata sul nesso colpa-pena, l’impostazione richiamata nell’articolo 27 della nostra Costituzione, secondo la quale le pene inflitte sono ammesse solo in funzione rieducativa, è certamente preferibile dal punto di vista umanitario, ma non è immune da aporie insuperabili, in quanto attribuisce allo stato una funzione “pedagogica” in senso lato, incompatibile con la rivendicata laicità del diritto penale.

***

  • Lei cita, in proposito, Simone Weil: quale la sua originalità?

Credo che l’affermazione che ritroviamo nei Cahiers di Simone Weil – «a causa dell’assenza di Cristo la mendicità in senso lato e l’atto penale sono forse le cose più atroci di questa terra, due cose quasi infernali. Hanno il colore stesso dell’inferno» – rappresenti bene in estrema sintesi le difficoltà e le contraddizioni immanenti nel diritto penale

  • Quali altri autori potrebbero aiutare ad elaborare un diverso pensiero sulla giustizia?

Un salutare antidoto all’unilateralità della concezione retributiva della pena si può ritrovare già in Nietzsche, nella seconda Dissertazione della Genealogia della morale. Resta peraltro la persistente attualità di Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria.

  • Come valuta, dunque, l’introduzione della giustizia riparativa nell’ordinamento giudiziario italiano? Lei ci vede qualcosa di cristiano?

La visione filosofica più esplicitamente affiatata con la cornice concettuale della giustizia riparativa è quella che riflette sulla nozione di perdono e sulla riconciliazione. È evidente come questo impianto concettuale sia omogeneo all’ispirazione generale che pervade il pensiero cristiano.

  • Lei pensa che l’attuale clima politico (e culturale) sia in grado di pensare una diversa giustizia?   

Il quadro politico odierno non è affatto favorevole ad una radicale riformulazione della concezione della giustizia. Soprattutto di fronte ad alcuni reati particolarmente odiosi, a livello del senso comune, prevale l’atteggiamento che è racchiuso nella formula “in galera e gettare via le chiavi”. La strada per venir fuori dalla giustizia intesa come vendetta sociale è ancora lunga e particolarmente accidentata.

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