La legge sul fine vita è in discussione al Senato. Diffuso, in questi giorni, uno schema «che per ora è un’ipotesi di lavoro per arrivare a un testo che abbia la condivisione più allargata. Affermando due principi cardine: il primo, che la vita è un diritto inviolabile e indisponibile, il secondo è l’eccezionalità del ricorso al suicidio assistito».
Una risposta alla reiterata richiesta della Corte Costituzionale a legiferare. In considerazione anche dei vari interventi regionali sul suicidio medicalmente assistito. Questi ultimi in ordine sparso. Una sorta di regionalismo differenziato sul fine vita che genera non poche perplessità e critiche. Che non coinvolgono solo riflessioni bioetiche ma che ineriscono a diritti fondamentali costituzionalmente tutelati.
Una sintesi possibile?
Lo schema in oggetto – proposto dai relatori delle Commissioni 2a (Giustizia) e 10a (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) in sede redigente – cerca di fare una prima sintesi in merito a «definizione, oggetto e finalità in conformità alla sentenza della Corte Costituzionale n. 242/2019». Si richiamano alcuni criteri preliminari ed essenziali, su cui poi sviluppare un testo completo che affronti i vari e problematici aspetti. A fronte dei cinque disegni di legge (DdL) e delle tre petizioni presentati in Senato. Tenendo conto che i vari DdL, pur richiamando tutti le pronunce della Corte costituzionale e le principali leggi di riferimento, prevedono ricadute significativamente differenti.
Potremmo dire, in rapida sintesi, che i diversi DdL in discussione rispondono a tre diverse finalità se confrontati alle sentenze della Consulta (Sentenze n. 242/2019 e n. 135/2024). Una prima finalità, per alcuni DdL, è ampliare l’efficacia precettiva del giudicato costituzionale fino a proporre l’introduzione sia del suicidio medicalmente assistito che dell’eutanasia. Altra finalità, per il DdL che riprende il testo già approvato nella scorsa legislatura alla Camera, è invece quella di recepire l’efficacia precettiva del giudicato costituzionale. E poi, altro DdL che propone la modifica della legge sul Consenso informato e Disposizioni Anticipate di Trattamento (Legge n. 219/2017) così da riconsiderare, invece, l’efficacia precettiva del giudicato costituzionale.
Emerge il sostanziale interrogativo: qual è il limite, e prima ancora c’è un limite, tra «l’oggettività» di un valore (come la vita, la salute) e la «soggettività» delle interpretazioni e delle rivendicazioni dei singoli titolari? In altri termini, si pone ineludibile la diversa prospettiva del rapporto tra dignità e diritti individuali. Da un lato la dignità è rimessa all’autodeterminazione, rappresenta un principio soggettivo e il suo valore è contestualizzato (empowerment o potenziamento dei diritti individuali). Dall’altro la dignità è al disopra dell’autodeterminazione, rappresenta un principio oggettivo e il suo valore è a vocazione universale (constraint o limite ai diritti individuali).
Cure palliative e trattamenti di sostegno vitale
Fatte alcune preliminari considerazioni, ritorniamo allo schema della legge sul fine vita. Si riprendono i criteri già indicati dalla Corte Costituzionale nella sentenza sul caso DJ Fabo (Sentenza n. 242/2019) e ribaditi nella successiva Pronuncia (n. 134/2024). Secondo cui solo a determinate condizioni non è punibile, ai sensi dell’articolo 580 del Codice penale, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio. E infatti, l’art. 2 dello schema richiama la conformità delle definizioni, dell’oggetto e delle finalità proprio alla sentenza n. 242/2019 Corte costituzionale.
Nello specifico, l’art.2 dello schema riporta che «la presente legge disciplina la facoltà di accesso al percorso di fine vita assistito da parte di una persona maggiorenne affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che reputa intollerabili, tenuta in vita o dipendente da trattamenti di sostegno vitale, già inserita in un programma di cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38, capace di prendere decisioni autonome, libere e consapevoli».
Alcune osservazioni. Rispetto alle sentenze della Corte, di cui si richiamano tutti i criteri, nella bozza si rimarca il ruolo delle cure palliative che rientrano tra i criteri imprescindibili perché il suicidio assistito non sia punibile. Vale a dire che la persona «sia già inserita in un programma di cure palliative».
Tuttavia, inserire la persona in un programma di cure palliative significa prima di tutto offrire la possibilità concreta, fattiva di potervi ricorrere. Come esplicitato dalla legge in materia di Consenso informato e Disposizioni Anticipate di Trattamento, «il rifiuto o la revoca di un trattamento sanitario non possono comportare l’abbandono terapeutico perché sarà sempre assicurata l’erogazione delle cure palliative». Tenendo conto che le cure palliative sono, oltre che un diritto sancito dalla legge, un adempimento obbligatorio per il sistema sanitario. Per il fine vita nonché per le fasi precoci delle malattie inguaribili ad evoluzione sfavorevole.
Il ricorso alle cure palliative era stato ribadito dalla Corte già nell’ordinanza n. 207/2018 e richiamato nelle successive pronunce. Occorre infatti in ogni caso assicurare, anche attraverso la previsione delle necessarie coperture dei fabbisogni finanziari, che «l’opzione della somministrazione di farmaci in grado di provocare entro un breve lasso di tempo la morte del paziente non comporti il rischio di alcuna prematura rinuncia, da parte delle strutture sanitarie, a offrire sempre al paziente medesimo concrete possibilità di accedere a cure palliative diverse dalla sedazione profonda continua, ove idonee a eliminare la sua sofferenza – in accordo con l’impegno assunto dallo Stato con la legge n. 38/2010 – sì da porlo in condizione di vivere con intensità e in modo dignitoso la parte restante della propria esistenza». In una recente ricerca, pubblicata su Population and Development Review, si rileva che dove vengono messe in atto le cure palliative, il ricorso al suicidio assistito o all’eutanasia cala drasticamente.
Inoltre, lo schema proposto riprende, sempre dalla Consulta, anche il criterio della dipendenza da Trattamenti di Sostegno Vitale (TSV) senza poter, almeno in questa prima fase, specificare che cosa debba intendersi per TSV. Per altro la legge sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento aveva definito nutrizione artificiale e idratazione artificiale trattamenti sanitari. Senza tralasciare il successivo intervento della Corte che ha riconosciuto «il diritto fondamentale del paziente a rifiutare ogni trattamento sanitario praticato sul proprio corpo, indipendentemente dal suo grado di complessità tecnica e di invasività. […] quali, ad esempio, l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali […] sempre che la loro interruzione determini prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo» (Sentenza n. 134/2024).
Anche per quanto riguarda i TSV il dibattito bioetico e giuridico è serrato.
Le diverse forme di sofferenza
Last but not least. Una riflessione di ordine concettuale non certo secondaria. Nelle sentenze della Corte si riporta, tra i criteri imprescindibili e necessari per la non punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito suicidario, che «la persona sia affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o [mio il corsivo] psicologiche che trova assolutamente intollerabili». Ricorrendo alla congiunzione disgiuntiva si deduce che sono incluse sia le patologie irreversibili fonte di sofferenze fisiche sia patologie quali, ad esempio, le gravi depressioni psichiche resistenti al trattamento.
Nello schema proposto in Senato, invece, si riporta la formulazione: «sofferenze fisiche e [mio il corsivo] psicologiche». Ricorrendo questa volta alla congiunzione copulativa è da intendersi che «sofferenze fisiche e psicologiche» siano direttamente correlate e compresenti. Le conseguenze alla luce di queste considerazioni sono intuibilmente differenti e rilevanti.
In conclusione, possiamo dire che siamo in una fase iniziale nella stesura di un testo che possa rappresentare una proposta completa da poter valutare. Una sintesi, ove possibile, dei vari DdL tenendo conto che rilevano obiettivi contrapposti. Comunque, tanti e vari gli altri aspetti che devono essere ancora presi inconsiderazione. E per niente secondari. È un percorso prevedibilmente non breve né privo di evidenti contrasti. Lo schema proposto rappresenta «una svolta, sì, ma con cautela», come già emerso nel dibattito di questi giorni.
Lucio Romano è medico chirurgo e docente di Bioetica. Componente Comitato Scientifico «Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica». Senatore della Repubblica nella XVII Legislatura. Apparso su Appunti di cultura e politica, 14 marzo 2025
Nel dibattito sul fine vita, spesso si introducono elementi religiosi a favore o contro; certo, occorre rispettare le ragioni di chi crede e di non crede. Ma il tema di cui si discute, anche in Parlamento, in questi giorni riguarda, anzitutto, questa vita, come è conosciuta alla gran parte degli uomini e delle donne, anche con il suo carico di sofferenze. A riguardo, occorrerebbe stabilire qual è l’indice di sofferenza sopportabile, oltre il quale ciascuno sarebbe libero di determinare il proprio destino. Vi sono certamente valutazioni soggettive di cui si deve tener conto (la capacità variabile di sopportazione, anche in ragione del proprio stato di salute psichica), ma concorrono valutazioni obiettive in funzione delle terapie del dolore che concretamente sono state messe in campo nel percorso di cura. Ora, il tema della sopportazione sembra prevalere nelle argomentazioni a favore del suicidio medicalmente assistito, mentre permangono pareri favorevoli all’eutanasia. Malattia e sofferenza accompagnano le riflessioni sul fine vita; tali condizioni, nelle loro fasi acute, croniche e critiche, vengono considerate difficili da superare e da accettare; ma così non è, se si considera queste situazioni totalmente parte della vita umana. La condizione della malattia non riduce il valore dell’essere umano, anche se provato, non diminuisce la sua persona; anzi, dinanzi ad una persona gravemente ammalata tutti noi proviamo grande rispetto, perché la vita rivela il suo volto incomprensibile di profonda fragilità, il suo mistero di dolore, ma non per questo da ripudiare. Consideriamo, quindi, attentamente la situazione, anche giuridica, dell’ammalato e dei suoi bisogni di cura, prima di assumere decisioni tanto gravi in merito.
Mi sembra molto utile il vincolo della creazione di reparti di cure palliative in numero sufficiente da evitare liste d’attesa. Mi sembra ancora difficile nel dibattito pubblico, la comprensione della differenza fra suicidio assistito ed eutanasia, Non si riesce a concepire che se una persona desidera morire non é probabilmente ma necessario ucciderlo se la tecnologia lo aiuta.
Spero che finalmente si arrivi a una legge che riconosce alle persone sofferenti e senza speranza di guarigione il diritto di mettere fine a una condizione disumana e ingiusta. Spero che finalmente anche l’Italia compia questo grande passo di civiltà.
Sappiamo dall’esperienza di altri Paesi che una qualsiasi legge sul fine vita, anche con molti paletti, può essere lo spiraglio tramite cui può essere attuata l’eutanasia. In Italia, Paese in cui i giudici non hanno problemi ad andare oltre quello che c’è scritto nella legge, il rischio è più concreto che altrove. Per questo, a mio avviso non è possibile alcuna legge sul fine vita eccetto una che vieti esplicitamente l’eutanasia.
I giudici, nel nostro paese sono, pur forse ancora per poco, un potere indipendente a garanzia per tutti noi; sappiamo che c’è chi preferirebbe che questo contraltare al potere esecutivo non esistesse, così da concludere defintivamente la transizione di questa democrazia agonizzante in una post democrazia che avrà tratti, nelle migliore delle ipotesi, di una oligarchia.
Eutanasia? Magari vi fosse una legge seria in tal senso; sarebbe rasserenante per tutti sapere di poter dare termine al proprio calvario, si presentasse. Gli stoici, ovvero coloro che sceglieranno il calvario, potranno decidere consapevolmente di sottoporvicisi e soffrire guadagnando il paradiso, mentre altri, i fragili, potranno decidere con medesima consapevolezza se rischiare l’inferno terminando l’agonia; questa interpretazione vale per coloro che credono, particolarmente secondo la narrazione cristiana. Per coloro che non credono, oggigiorno la maggior parte, il problema non si pone. Dunque dobbiamo rinunciare al fine vita assistito ed all’eutanasia per un manipolo di ferventi che vogliono imporre con violenza ad altri il proprio punto di vista ideoligico, la propria lettura della vita e della sofferenza; questo non si può chiaramente accettare e non si può verificare se non in un regime teocratico. Se vi saranno leggi chiare ci sarà chi potrà usarle, giustamente, in modo tale da decidere per sé il proprio cammino in questa vita ed eventualmente nella vita oltre la vita, se ci sarà; nessun altro ha il diritto di farlo e parlare a vanvera mancando di rispetto alla sofferenza.