
Andreas Espegren Masvie (foto di Matilde Solsvik)
Lo scorso 22 agosto, il sito di Avvenire pubblicava l’intervista seguente ad Andreas Espegren Masvie, scrittore e giornalista norvegese che ha reso noto il suo passaggio dalla confessione luterana a quella cattolica. Riprendiamo di seguito la reazione del teologo valdese Fulvio Ferrario e quella di risposta del teologo cattolico Giuseppe Lorizio, che offre un commento teologico alla vicenda per indicare alcuni passaggi problematici (www.pensarelafede.com).
Dal profilo FB di Fulvio Ferrario
Ci sono lingue, come il tedesco, nelle quali esiste una parola per la conversione al cristianesimo (o ad altra fede) e una per il cambiamento di confessione. Non so come sia in norvegese, ma non è così in italiano.
Quando però, quarantatré anni fa, ho deciso di diventare protestante, mi era chiaro che non si trattava di una «conversione»: ero diventato cristiano nella chiesa cattolica, in forza dell’annuncio e delle testimonianze ricevute in QUEL contesto e di un battesimo indelebile e irripetibile.
Diventavo protestante perché mi sembrava LA possibilità di continuare ad essere cristiano in un contesto diverso e a mio giudizio più corrispondente a quanto credevo di aver capito del Nuovo Testamento, specie per quanto riguarda la visione della chiesa. Dopo aver preso debita coscienza di che cos’è il protestantesimo, non ho avuto esitazioni sull’opportunità di questo passo.
Ricordo perfettamente anche il mio sollievo quando uno dei miei primi interlocutori, Paolo Ricca, mi ha confermato in questa convinzione: «Tu non ti converti. Sei già cristiano, o aspirante tale, come siamo tutti. Certo, il quadro ecclesiale è MOLTO diverso». Lo è, e ne sono lieto, come allora. Anzi, di più.
Anche a motivo di questa mia vicenda, il linguaggio, il tono e parecchi contenuti dell’intervista che qui riporto non mi hanno fatto piacere. D’ora in poi porterò con me questo testo e lo citerò a tutti coloro che mettono in guardia contro il «proselitismo» confessionale: quello degli altri, ovviamente.
Su un punto sono d’accordo con la persona intervistata: meglio il vero cattolicesimo di un protestantesimo clericale e gerarchico (è un rischio, a mio parere, soprattutto luterano, ma lo si può ritrovare anche nelle chiese presbiteriane, metodiste e battiste), smanioso di esibire foto dei propri capi in abiti talari e croci episcopali e di cibarsi delle briciole di paternalismo (che non è affatto riconoscimento, bensì l’esatto contrario) lasciate cadere dal tavolo delle gerarchie romane.
Tra l’originale e la (brutta) copia, vince sempre l’originale ed è giusto così.
Il protestantesimo ha senso solo se è protestante il che vuol dire anche cattolico nel vero senso del termine, cioè universale, non settario. La setta, che può essere romana o non, dice che ci si converte ad essa. La chiesa cerca di convertirsi a Gesù.
La risposta di Giuseppe Lorizio
Anch’io sono rimasto indignato per i toni trionfalistici che accompagnano la notizia del passaggio di una persona protestante al cattolicesimo, passaggio certamente legittimo, qualora la forma cattolica di cristianesimo si confaccia maggiormente alla spiritualità della persona.
Ciò che mi indigna è l’ignoranza teologica di chi ha scritto l’articolo e dell’intervistato, particolarmente visibile in almeno due espressioni: «conversione al cattolicesimo» e «ingresso nella Chiesa», con le annesse verità eterne ed immutabili. Anche in campo cattolico i teologi più avvertiti evitano nel passaggio da una chiesa all’altra di usare il termine «conversione», per esempio nel caso di Newman, così come si mette in discussione il termine persino nella vicenda dell’apostolo Paolo.
Quanto all’entrare nella Chiesa, si sottintende che prima non fosse nella Chiesa, eppure il soggetto era ed è battezzato. La notizia andava data con sobrietà e attenzione ecumeniche, ma come sappiamo l’ecumenismo batte la fiacca e anche in questo caso sembra vietato parlare di «comunione nelle differenze» (da cui il fallimento del nostro progetto PUL, del quale per fortuna rimangono i dieci volumetti della collana «Spiga»).
Tempi durissimi! Una protesta all’Ufficio ecumenico della CEI da parte di un vostro organismo forse può essere utile, in modo che siano loro a intervenire sul giornale.






Sono un abbonato ad Avvenire, giornale che leggo con piacere anche perché ricco di approfondimenti e attento a tante problematiche a livello mondiale che altri quotidiani spesso ignorano. Ho però notato che quando affronta problemi ecumenici, non è sempre all’altezza: certi articoli rivelano una conoscenza approssimativa della teologia delle altre confessioni e un uso non sempre corretto del linguaggio. Dispiace per ché la nostra gente di ecumenismo non sa niente e permangono in taluni diffidenze dovute a vecchi pregiudizi. E’ pertanto necessaria una corretta informazione. Vorrei suggerire ad Avvenire che i giornalisti che intendono trattare questo problema rafforzino e aggiornino le loro conoscenze oppure che si chiamino a collaborare persone più esperte (come non di rado avviene). L’ecumenismo deve essere considerato una dimensione essenziale della Chiesa. E loSpirito Santo ci sollecita.
L’unica cosa davvero importante è che il protagonista di questa storia abbia aderito alla sua religione per una scelta personale libera e consapevole, come dovrebbe essere sempre per tutti e come evidentemente non avviene quando si impone una fede a un neonato, battezzandolo o comunque avviandolo a una qualsiasi religione.
In effetti pensare che Avvenire sia da prendere sempre ” sul serio” fa un po’ sorridere. Se facciamo un paragone anche soltanto con La Croix francese, si notano grandi carenze e ” non corrispondenze”.
Ieri c’era un articolo su Paolo Ricca. Il problema non è Avvenire ma chi vuol sentirsi più ecumenico (o protestante) degli altri.
Al netto dei fiumi d’inchiostro, dopo mezzo millennio (dico: mezzo millennio) e torti evidenti (da ambo le parti), possiamo almeno riconoscere che di protestantesimi ce ne sono a decine (avventisti, calvinisti, luterani, metodisti, quaccheri, valdesi etc etc), mentre unica è la sede di Pietro? Newman – per dirne uno che si intendeva della fattispecie – non prese un’opzione equivalente ad altre
Se proprio vogliamo fare i puntigliosi potremmo dire che anche il cattolicesimo è un protestantesimo mascherato. Invece di dividersi in luterani, calvinisti, metodisti ecc. ci si divide in focolarini, domenicani, gesuiti..tutti con il proprio carisma. Solo si accetta di sentirsi parte di una stessa casa comune senza la pretesa di essere gli unici cristiani.
Tutti con la stessa fede, magari. Non risulta che per i domenicani i sacramenti siano quattro, per i gesuiti tre o che i focolarini neghino l’Assunzione di Maria…
tra i domenicani e gesuiti ci sono state dispute sulla grazia che ricalcano molto quelle intraprotestanti
egualmente ci sono state dispute sui sacramenti, soprattutto tra francescani e domenicani, che sono state il background di molte tesi protestanti (Bonaventura mette sul terreno alcune questioni che verranno poi riprese ed estremizzate da Calvino)
Il parere dei teologi F. Ferrario e G. Lorizio non tiene sufficientemente conto che Avvenire è un quotidiano a livello nazionale e non un testo di teologia: il linguaggio è indubbiamente indispensabile e fondamentale, è pure importante che sia corretto, ma bisogna anche che sia comprensibile al lettore medio. Diversamente è inutile.
Rispetto al protestantesimo il cattolicesimo attuale attira perché la Chiesa cattolica può vantare le proprie origini fin dall’evento Cristo, cosa che non avviene nella Riforma, la quale appare certamente un cammino di ricerca e di conversione, ma pure un “punto di vista” parziale su un fenomeno complesso come è quello della vicenda cristiana.
A proprio favore il cattolicesimo ha anche uno scenario di fondo teatrale, che piace particolarmente alla contemporaneità, perché persegue il protagonismo narcisista dell’attuale società del venire a galla dalla massa uniforme e dell’apparire importanti. Propriamente il fatto religioso non c’entra in nessun modo, si tratta invece di un bisogno psicologico delle singole persone: anche per questo il termine “conversione” è comunque fuori luogo.
Mi pare legittimo che un quotidiano cattolico presenti quanto accade nella società di oggi, è fuor di dubbio, invece, che i toni trionfalistici si riveleranno presto un boomerang. Perché queste “conversioni” non reggono allla sfida della croce e, come è stato facile il “trasferimento” dal protestantesimo al cattolicesimo, così non è detto che questo sia l’unico e il definitivo.
Penso che non sia conveniente rivolgersi all’unedi per una protesta, perché attualmente l’ufficio nazionale persegue finalità narcisistiche in linea con la mentalità religiosa contemporanea.
Al di là del termine Avvenire è uno dei giornali più equilibrati di Italia, aperto al dialogo non solo con Protestantesimo e Ortodossia ma anche con Ebraismo e Islam. Ieri c’era un articolo su Paolo Ricca e Sant’Egidio. Veramente di pessimo gusto questo attacco di Ferrario. Non so cosa stia accadendo a tutti quanti, ovunque si leggono solo litigi, critiche, scontri.
Vabbè Angela, addirittura. Avvenire è Avvenire, non è Irénikon.
https://www.avvenire.it/agora/pagine/paolo-ricca-e-sant-egidio-uniti-dalle-parole-di-gesu Eccolo e nomina pure lo stesso Ferrario.
Io sinceramente mi chiedo sempre di più a cosa serva diventare cristiani se il risultato è questo perenne stato di guerra, ripicche, gelosie, rivendicazioni.
Ora, al netto che in genere mi piace Ferrario, ho diversi studi suoi e lo leggo sempre con piacere, mi pare esagerato prendersela così tanto. L’articolo parla esplicitamente di conversione dal luteranesimo al cattolicesimo, stessa espressione utilizzata anche per J.H.Newman.
https://it.wikipedia.org/wiki/John_Henry_Newman
https://www.settimananews.it/chiesa/rosmini-i-rosminiani-e-la-conversione-di-newman/
Anche su questa testata pochi giorni fa. Come si dovrebbe dire? A