
Intervista al Professor Riccardo Burigana, direttore del Centro Studi per l’Ecumenismo, in prossimità delle celebrazioni della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) e della Giornata del dialogo ebraico-cristiano (17 gennaio).
- Il titolo della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani quest’anno è una domanda: «credi tu?». Qual è la parte dell’ecumenismo nel dare la risposta?
Quest’anno la Settima parte, come accade da decenni, da un passo della Scrittura – “Credi tu questo?” (da Giovanni 11, 26) – ma ruota intorno al 1700° anniversario della celebrazione del Concilio di Nicea. È un invito a ripensare alle origini del cristianesimo per guardare all’oggi. Tanto più che questo anniversario richiama un tema centrale del cammino ecumenico contemporaneo, ossia: al di là delle Scritture, cosa veramente insieme crediamo?
La confessione di fede diventa uno dei temi su cui i cristiani si sono confrontati nel corso della storia, sempre ripensando a Nicea. Talvolta la professione di fede di Nicea è stata usata a fini apologetici. Ma, a partire dalla metà del XIX secolo – ossia da quando è iniziato il movimento ecumenico contemporaneo – rappresenta la vera “stella polare” a cui riferirsi.
Ricordiamo che il dialogo tra i cristiani che allora pensavano Cristo in maniere molto diverse, non è nato semplicemente per porre fine alle divisioni, bensì perché, pur con sensibilità diverse, si è sentito il bisogno di annunciare uno stesso Cristo al mondo. Potremmo dire che l’ecumenismo è iniziato allora, ed è una esperienza che rende la fede viva, dinamica, che richiama la dimensione globale dell’annuncio di Cristo al mondo, cosa che papa Francesco – di questi tempi – ha ben presente e più volte ha ribadito.
Alla vostra precisa domanda, rispondo, allora, così: il movimento ecumenico ha dato e continua a dare un grande contributo affinché tutti i cristiani restino a meditare la centralità della fede in Cristo, che è il cuore pulsante della vita individuale e comunitaria. E Cristo – oggi come sempre – è il Messia, principe della pace, secondo Isaia 9,6.
- Vedi davvero questa progressione nell’ecumenismo?
Il movimento ecumenico si è sviluppato su vari livelli, in molte direzioni, con una sua globalità e dinamicità. C’è l’ecumenismo degli incontri ufficiali, ai più alti livelli dei capi delle Chiese. Questo ecumenismo mi pare che abbia consentito ormai di uscire dalle pretese di un tempo: «ho ragione io, quindi sei tu che devi cambiare!». La purificazione della memoria e la cura delle ferite, reciprocamente prodotte, hanno trovato grande impulso nel Giubileo del 2000, pur essendo, già allora, un tema centrale da decenni nel dialogo tra cristiani. Questi passi sono stati determinati dalla riflessione teologica e hanno aperto nuove prospettive verso l’unità nella diversità.
Accanto al livello “ufficiale”, c’è quello della quotidianità vissuta. Su questo ci si interroga: ci si chiede quanto sia diffuso, non avendone talvolta precisa percezione. In Italia come altrove, sono innumerevoli le esperienze locali di cristiani che, pur non essendo ancora in piena comunione, si cercano e si incontrano, per testimoniare Cristo insieme: da queste esperienze di ecumenismo quotidiano è nato uno stile ecumenico, fatto di reciproca accoglienza e di dialogo caratterizzato dalla franchezza delle diverse visioni, sempre al fine di rendere più efficace l’annuncio e la testimonianza.
La Chiesa cattolica ha celebrato poche settimane fa il sessantesimo anniversario della Unitatis Redintegratio che è una fonte preziosa e unica per incarnare lo stile ecumenico – di unità nella diversità – a partire dalle comunità locali, là dove i fedeli concretamente vivono la loro fede. Il decreto conciliare è stato pensato per i cattolici, per aiutarli a scoprire come vivere la vocazione alla comunione e così favorendo il ripensamento radicale delle forme e dei contenuti della partecipazione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico contemporaneo.
- Oggi ci sono le guerre, con cristiani schierati da una parte e dall’altra: quanto pesano sulle buone intenzioni ecumeniche?
L’escalation della guerra in Ucraina con l’invasione russa nel febbraio 2022 ha segnato profondamente le Chiese e quindi il cammino ecumenico: le immagini della benedizione delle armi non hanno fatto certamente bene ai cristiani nel mondo. Di fronte a questa tragedia, tanti cristiani non hanno solamente espresso la condanna della guerra a parole, ma hanno anche aperto la loro casa a coloro che erano costretti a scappare.
Ci sono state, dunque, parole e gesti, con i quali i cristiani, insieme, hanno preso la distanza – chiesta dal Vangelo – dalla violenza. Si sono moltiplicate le prese di posizione in questo senso degli Organismi ecumenici, benché ciò abbia avuto poco risalto mediatico rispetto alla crudezza delle immagini di lacerazione religiosa.
Non ci nascondiamo poi che ci sono Chiese che ancora – ad esempio sulla pena di morte, sull’accoglienza dei migranti (chiunque essi siano), sulla parità di genere e altro – pongono problemi ad altri cristiani che sono impegnati, con tanta gioia e passione, nel movimento ecumenico.
Sono convinto, tuttavia, che il dibattito attorno a queste difficoltà, può rinvigorire nei cristiani il desiderio della unità, al punto che si possa alzare la voce e dire che è giunto il tempo – ora – di “fare un balzo in avanti” nel cammino ecumenico.
L’impegno per la costruzione della pace è, da sempre, l’orizzonte dell’ecumenismo contemporaneo: esemplare mi sembra il fatto che è caduta nel vuoto la richiesta, formulata da alcuni cristiani, di espellere il Patriarca di Mosca dal Consiglio Ecumenico delle Chiese. La storia del Consiglio aiuta a capire questa scelta: al momento della sua fondazione, ad Amsterdam nel 1948, furono invitati tutti i rappresentanti delle Chiese, anche quelli delle Chiese evangeliche tedesche che avevano attivamente collaborato col nazismo.
L’esigenza del dialogo ininterrotto non omette la condanna, senza ombra di dubbio, dei metodi della violenza: questa non può, in nessun modo, mai, essere giustificata col Vangelo in mano. Certo, questo è, purtroppo, accaduto nel passato, ma proprio il movimento ecumenico sta a testimoniare che i cristiani del XXI secolo sono per la pace e si sentono impegnati a costruire la pace su condizioni di giustizia.
Il dialogo tra le religioni
- Ecumenismo e dialogo interreligioso, in quale rapporto stanno oggi?
In questa stessa Settimana di preghiera – che per la Chiesa cattolica sta dentro l’anno giubilare – viene rilanciata, con forza, l’idea che i cristiani possono e debbono camminare insieme, per proporsi con una sola voce nel dialogo alle altre religioni. Papa Francesco sta trovando sintonia, su questo punto, con numerosi leader cristiani.
Ecumenismo e dialogo interreligioso sono ambiti diversi, così come chiaramente indica il magistero della Chiesa Cattolica dal Concilio vaticano II, ma sempre più affiora nel movimento ecumenico la necessità di riflettere insieme, da cristiani, sul patrimonio dei valori – dalla libertà religiosa, alla pace, alla cura dell’ambiente – che possono essere condivisi con gli appartenenti ad altre tradizioni religiose, per ripensare la comunità umana contemporanea globale.
Nei primi passi di quest’anno giubilare, numerose sono le iniziative predisposte a creare o sviluppare un dialogo a tre voci, tra cristiani, ebrei e musulmani: non si tratta, in alcuni casi, di novità, ma di passaggi che assumono nuove e più elevate prospettive. Si può dire che, da questo punto di vista, si sta andando oltre i raggiungimenti dell’incontro tra le religioni ad Assisi, voluto da Giovanni Paolo II nel 1986.
- Nella stessa Chiesa cattolica ci sono molte resistenze in proposito. La via di papa Francesco non è da tutti condivisa.
Francesco ha gettato semi, ha avviato percorsi innovativi con una personale rilettura del Concilio vaticano II e della sua recezione e, per questo, ha sollevato perplessità e critiche anche all’interno della Chiesa Cattolica: alcuni continuano a pensare che il dialogo possa indebolire la missione della Chiesa.
Ma la “fraternità” di cui parla papa Francesco nasce da una profonda comunione ecclesiale, segno dell’ascolto della stessa Parola di Dio
- Anche sul tema della comune cura del creato Francesco sta incontrando forti resistenze. Qual è la posizione dell’ecumenismo?
La tematica è ampiamente diffusa ormai tra i cristiani tutti: tante Chiese si muovono sulla stessa linea di Francesco, perché in questi anni c’è stato un recupero molto forte della riflessione sul rapporto tra creato, creatura e creatore.
Si tratta di un tema che ha assunto anche una dimensione interreligiosa, con la scoperta di quanto le religioni hanno in comune. Molte religioni, senza partire la libro della Genesi o dai Padri del deserto, sanno porre al loro centro la questione del rispetto dell’ambiente e della vita tutta di cui siamo parte.
In Italia, le ricerche del Centro Studi per l’Ecumenismo sulle iniziative del Tempo del creato, dal 1° settembre e il 4 ottobre, mostrano quanto si sia venuto radicando e diffondendo questo tema con una connotazione ecumenica e/o interreligiosa. Dagli incontri di preghiera, alle tavole rotonde di approfondimento, alla formulazione di proposte concrete, alla realizzazione di piccoli gesti, queste iniziative indicano quanto nelle chiese e fuori dalle chiese ci sia un grande interesse per le sorti del creato e delle creature che ci vivono; c’è fermento e c’è anche preoccupazione.
Dalle Sacre Scritture, il movimento ecumenico ha saputo trarre il fondamento della “giustizia ecologica” denunciando i processi economici che guardano solo al profitto immediato, senza riflettere sull’oggi e sul domani, sul dono del creato che rende possibile la nostra vita.
Sul tema del creato si misurano pure le divisioni tra cristiani: non mancano infatti coloro che, proprio a partire dalle Sacre Scritture, contestano queste iniziative, rilanciando l’idea che l’uomo è padrone del creato per mandato divino.
- Altri motivi di contraddizione – nella stessa Chiesa cattolica – ci portano al conflitto israelo-palestinese. Il punto di vista ecumenico, qual è?
È chiaro che le tragiche vicende di questo conflitto stanno rendendo più difficile il dialogo con l’ebraismo che, da decenni, si sta confrontando con una pluralità di aspetti; mi piace ricordare che il primo schema per il ripensamento dei rapporti tra la Chiesa Cattolica e il popolo ebraico, voluto da Giovanni XXIII per il futuro concilio – portato poi avanti dal cardinale Bea nella fase preparatoria del Vaticano II – non giunse neppure a essere discusso: nel giugno 1962 venne ritirato per le “conseguenze politiche” che questo schema poteva avere, nonostante fosse stato redatto per finalità teologiche.
Ci apprestiamo dunque alla Giornata del dialogo ebraico cristiano di questo 17 gennaio (iniziative diocesane, qui): siamo giunti alla XXXVI edizione e, forse, è venuto il tempo di fare un bilancio di quanto è stato fatto e detto in questo cammino, iniziato nel 1990, dopo che il Consiglio permanente della CEI aveva approvato l’idea di una Giornata annuale dedicata all’approfondimento della conoscenza del popolo ebraico.
Proprio per le vicende degli ultimi mesi, che hanno portato a silenzi e lacerazioni anche in Italia, si poteva temere una Giornata “dimezzata”. Non mancano realtà che hanno deciso di rinviare il tradizionale incontro dedicato, ma, allo stato attuale della raccolta delle informazioni, ci sono già 25 diocesi direttamente coinvolte, talvolta con più incontri nello stesso luogo: da Acireale a Milano, passando per Brindisi, Firenze, Modena, Bologna, Parma e Treviso, senza dimenticare Roma.
Io penso che ritornare a leggere insieme le Scritture comuni – definendo sin dal principio un percorso condiviso in vista del 17 Gennaio – possa soccorrere in questo «percorso difficile anche per Dio», secondo la recente definizione dell’amico Brunetto Salvarani che, da anni, si spende in questo dialogo, che tanto ha da offrire ai cristiani, agli ebrei e alla società tutta.
Iniziative
- Quali manifestazioni del programma ecumenico ci fanno ben sperare?
La mappatura è in corso d’opera. Il Centro Studi per l’Ecumenismo, fondato nel 2008, con sede a Firenze, ha sinora raccolto le iniziative di 114 diocesi (qui): talvolta c’è un solo incontro diocesano di preghiera, perché questa è una Settimana di preghiera, appunto, per pregare insieme. Spesso il vescovo è presente in questi incontri, secondo una tradizione che si è venuta consolidando in questi anni.
Dal quadro, ancora del tutto provvisorio, emergono alcuni elementi: la riflessione sul Concilio di Nicea, sulla sua attualità e sulla sua importanza per il cammino ecumenico, con un’attenzione particolare alla centralità della Trinità nella vita credente; il rinnovato impegno per la costruzione della pace quale testimonianza ecumenica di primordine; il desiderio di un maggior coinvolgimento dei giovani proprio perché sappiano cogliere le ricchezze delle diverse confessioni cristiane.
Su questo aspetto dei giovani mi piace segnalare che a Bologna è in programma un pomeriggio nel quale i ragazzi della catechesi e dei gruppi scout con le loro famiglie sono chiamati a visitare le Chiese cristiane non cattoliche della città: un pomeriggio che si concluderà con un momento di preghiera ecumenica.
Anche quest’anno ci sarà una preghiera nazionale: si terrà a Napoli, con la partecipazione dei rappresentanti delle Chiese cristiane in Italia, accolti dal cardinale Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli e da mons. Gaetano Castello, vescovo ausiliare, da anni impegnato nella costruzione di un dialogo nella fraternità evangelica. Mentre a Bari, la conclusione della Settimana di preghiera coinciderà con l’inizio di una “Conversazione tra cattolici e ortodossi nello Spirito Santo”, grazie alla Comunità di Gesù, fondata e guidata da Matteo Calisi, per approfondire, non solo da un punto di vista teologico, Theosis e charismata.
Infine, segnalo, anche se molto si dovrebbe dire ancora sulle iniziative locali, che il 21 gennaio inizierà, con un intervento di mons. Erio Castellucci – dal titolo: Nicea oggi. La fecondità del Concilio per una Chiesa in cammino, il percorso 325-2025: il Concilio di Nicea e i cristiani in cammino verso l’unità – un convegno promosso dall’Eparchia di Lungro, la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e dal Centro Studi per l’Ecumenismo in Italia «pensato per quanti vorranno intraprendere o approfondire un percorso formativo, completamente gratuito, sulla centralità della dimensione ecumenica nella testimonianza di Cristo nel XXI secolo», come ha ricordato mons. Donato Oliverio, vescovo dell’Eparchia di Lungro.






È il nostro un magnifico tempo ecumenico: proprio quando le umane difficoltà al dialogo aumentano, è l’ora dell’ecumenismo a ogni livello (spirituale, dottrinale, fraterno…). Non possiamo interrompere quanto lo Spirito ha iniziato e portato avanti in questi anni, non possiamo assolutamente cedere al pessimismo, dobbiamo guardare con fede, speranza e carità al presente e al futuro.