Vale la pena di prendere sul serio le riflessioni del vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della CEI, riportate in un articolo che compare sul n. 7/8 di Rivista del Clero Italiano, storica testata di Vita e Pensiero. Il titolo è già un programma: Insegnamento, religioni, spazio laico. Verso un nuovo statuto dell’ora di religione nella scuola pubblica.
Tra i motivi che, a suo parere, spingono a pensare a un nuovo statuto dell’ora di religione c’è la consapevolezza di vivere un pluralismo religioso del tutto inedito, nel quadro di quello che papa Francesco insiste a definire un cambiamento d’epoca: «uno statuto che contribuisca alla creazione di una civitas ecumenica, capace di riconoscere e apprezzare le differenze. In questa luce la Chiesa cattolica potrà fare un passo indietro, rinunciando a uno spazio che le spetta di diritto in nome del Concordato, per aiutare la società a fare un passo avanti».
Oggi – sostiene il vescovo – è necessario un insegnamento che riconosca e includa le altre confessioni e religioni, senza trascurare quanti, in ricerca, non sono legati ad alcuna religione: «In questa prospettiva si può immaginare l’insegnamento della religione in chiave interreligiosa. Anzi, di più: se la cultura religiosa è chiamata a essere parte delle conoscenze e delle competenze dello studente in formazione, possiamo ipotizzare un insegnamento della religione per tutti, superando l’equivoco della facoltatività».
Si aprono, ora, diversi interrogativi, ma l’autorevolezza della firma e le ragioni della proposta non possono essere facilmente accantonati. «Come essere Chiesa in uscita nello spazio pubblico?», si domanda – e ci domanda – don Derio. Si aprirà un dibattito al riguardo? Me l’auguro vivamente. Qui scelgo di toccare appena alcuni punti, per contrubuire a rilanciare la questione. Chiaramente delicata, ma insieme strategica.
Le ragioni di una reticenza
È impressionante la reticenza con cui, in ciò che resta del mondo cattolico, si riflette sulla situazione dell’ora di religione cattolica (tecnicamente, IRC) nelle scuole italiane. Meglio, potremmo dire non si riflette, per più di un motivo: paura di perdere un privilegio acquisito da tempo, scarsa volontà di aprire un possibile contenzioso con lo Stato, sottovalutazione del calo progressivo di quanti aderiscono all’IRC, e si potrebbe continuare.
Una questione che, peraltro, s’intreccia con altre delle quali, pure, ben poco (e male) si ragiona: dal dramma cronico dell’analfabetismo religioso all’amara constatazione di quanto pesi sulla fragile identità cattolica dei nostri connazionali l’assenza della conoscenza della Bibbia nei circuiti culturali, e non solo in quelli. Fino al relativo interesse con cui pensiamo al ruolo della scuola, conclusasi la stagione gloriosa dell’associazionismo cattolico di impegno pedagogico e didattico, di cui fa fede la morìa delle riviste specializzate e dell’editoria storica non meno che delle figure di riferimento. Quella scuola che, del resto, permane l’unico ambito sociale in cui sono destinati a transitare prima o poi tutti gli italiani, in veste di discenti, docenti o genitori…
Post-secolarizzazione
Per cogliere la necessità di uno sguardo nuovo sulla religione a scuola, basterebbe partire da un dato oggettivo. La revisione del Concordato fra Santa Sede e Repubblica italiana del 1984, quella che ha rifiutato l’ipotesi sul tappeto, detta «doppio binario» (un insegnamento curriculare per tutti e uno facoltativo gestito dalle singole confessioni religiose) e che ha sancito l’attuale situazione dell’IRC, fu pensata e firmata in un contesto storico e culturale abissalmente distante da quello odierno, in cui – per dire – erano ancora in piedi il Muro di Berlino e le Twin Towers a New York, la secolarizzazione sembrava aver trionfato sul bisogno di sacro e con essa la sensazione che più modernità equivalesse a meno religione.
Ora, al crollo simbolico e reale di quei muri si accompagna ciò che chiamiamo post-secolarizzazione, e la convinzione diffusa che con le religioni (al plurale) non si possa non fare i conti sul piano sociale e culturale, in un quadro di religiosità fluide, porose, post-moderne. A partire proprio da quel plurale – le religioni –che rappresenta lo scenario con cui è necessario confrontarsi per quanti intendano cogliere gli attuali segni dei tempi.
Materia incandescente e spinosissima, ovvio, soprattutto in stagioni, quali la nostra, ricca di identitarismi e di sordità reciproche fra nuovi clericalismi e laicismi impenitenti, molto più che di dialogo e di ospitalità. Proprio per questo, peraltro, l’ambito scolastico sarebbe chiamato a un supplemento di responsabilità, pena il divenire lo spazio principe per strumentalizzazioni e banalizzazioni varie.
Pensiamo, ad esempio, ad annose querelle che si ripresentano stancamente, e puntualmente, ogni anno, come presepe sì – presepe no e velo sì – velo no…
L’ignoranza della Bibbia
L’inatteso pluralismo delle confessioni di fede che ci sta attraversando e ha ormai messo radici è infatti destinato a porre a dura prova la tradizionale ignoranza italiana in campo religioso, invitando l’universo della scuola e della formazione permanente a un impegno più serio e approfondito al riguardo.
Sarà impossibile, in ogni caso, continuare a considerare il fatto religioso come un elemento puramente individualistico o folkloristico, privo d’influssi culturali, economici e sociali.
Come ogni novità, un panorama simile potrà provocare paure e indurre a chiusure intellettuali, e lo sta facendo, ma altresì stimolare a un autentico salto di qualità, se sarà vissuta con la necessaria laicità (dato che una laicità aperta è il presupposto di ogni sano pluralismo).
Ecco dunque, in Italia e in Europa, in negativo, i preoccupanti indizi di un risorgente antisemitismo, di un’islamofobia e di un antiziganismo montanti, di un’intolleranza crescente nei confronti dell’immigrazione dalle nazioni più povere, di un razzismo più o meno strisciante, e così via. Ma anche segni di speranza e buone pratiche…
Quasi vent’anni fa, nell’ottobre 2007, il Ministero dell’Istruzione metteva a punto un documento dal titolo emblematico – La via italiana alla scuola interculturale – in cui si poteva leggere: «A titolo esemplificativo, in attesa di ulteriori approfondimenti collegati alle nuove indicazioni e alla revisione dei curricoli della scuola, si segnala la necessità di superare le proposte marcatamente identitarie e eurocentriche nel campo dell’insegnamento della storia, concettualizzando il nesso storia-cittadinanza; di considerare la geografia un’occasione quanto mai privilegiata per la formazione di una coscienza mondialistica; o l’opportunità di allargare lo sguardo degli alunni stessi in chiave multireligiosa, consapevoli del pluralismo religioso che caratterizza le nostre società e le nostre istituzioni educative e della rilevanza della dimensione religiosa in ambito interculturale» (corsivo mio).
Si trattava, direi, di un buon punto di partenza… rimasto, di fatto, lettera morta. Di fronte a tale scenario, in costante trasformazione, il sistema ipotizzato all’epoca dal Concordato Craxi-Casaroli appare oggi giocoforza inadeguato, complice de facto non solo dell’odierno stato di analfabetismo religioso ma anche dell’ignoranza quasi assoluta della Bibbia, Grande codice dell’immaginario occidentale.
Cose sotto gli occhi di tutti, volendo essere intellettualmente onesti: peraltro, visto che mi capita spesso di avere a che fare con docenti di IRC in genere preparati, dotati di buona professionalità e disponibili al confronto con il cambiamento, ma anche consapevoli del disagio che essi stessi vivono quotidianamente, credo si tratti di una questione di sistema, non di persone né di programmi. Inevitabilmente, la loro è una materia dimezzata… ben al di là delle statistiche sugli avvalentisi.
Inoltre, il prima possibile, sarebbe importante sanare quell’increscioso vuoto culturale o insulto pedagogico, come è stato definito, creato dalla pressoché totale assenza di una qualche materia alternativa, che, per esclusiva competenza statale, dovrebbe comunque essere assicurata, nel curricolo degli alunni che non si avvalgono dell’offerta confessionale.
Il Fattore R
Compete al sistema scolastico il ruolo di alfabetizzare la totalità degli alunni sulle grandi aree dell’esperienza umana, compresa l’area dell’universale esperienza simbolico-religiosa, alla cui lettura critica si dedicano, con serietà di metodi e plausibilità di risultati, non poche scienze storiche, filologiche, ermeneutiche, teologiche, e così via.
Mi pare evidente, in tale prospettiva, che l’aspetto della confessionalità dell’insegnamento religioso in Italia risulti anacronistico, a cominciare dalla stessa sua dizione, Insegnamento della religione cattolica, come se quella cattolica fosse una religione e non una confessione cristiana accanto alle altre. Così come il meccanismo attuale di scelta dei docenti, che registra il protagonismo dei vescovi ma sovente mette a disagio chi è coinvolto (per più di un motivo, essendo una gabbia insieme dorata e precaria).
Sarebbe un segnale importante se la Conferenza episcopale, sulla linea dell’analisi del vescovo Olivero, accettasse di avviare una ridiscussione con le autorità competenti, in un dibattito franco e aperto: ne guadagnerebbero i docenti di IRC, condannati a percepirsi e a essere percepiti necessariamente di serie B rispetto agli altri a dispetto dell’avvenuta messa in ruolo di diversi fra loro, ma anche gli studenti tutti (certo, si potrebbe rispondere, ma l’attuale Parlamento avrebbe interesse ad affrontare una questione così spinosa? non c’è che da verificarlo…). Per non parlare – e si dovrebbe farlo – del regime di facoltatività dell’insegnamento religioso, che fa acqua da ogni parte e non fa giustizia del legittimo diritto degli studenti italiani di ricevere dalla scuola, tutti nessuno escluso, una seria competenza sul Fattore R (come Religione), elemento decisivo per capire le dinamiche storiche del mondo ma anche la condizione geopolitica odierna. Come è apparso evidente negli ultimi anni, cercando di cogliere le ragioni profonde dei conflitti fra Russia e Ucraina e di quello israelopalestinese, ad esempio.
Il Libro sacro degli altri bambini
«La Chiesa desidera entrare nella scuola» – scrive don Derio – «per contribuire non tanto a educare dei credenti, ma dei cittadini. Cittadini capaci di abitare questo tempo, plurale e post-secolare. Capaci di capire questo tempo e di impegnarsi a costruire una società in dialogo nelle differenze, in pace».
In tale prospettiva, credo occorra muoversi nell’ottica di un sistema multireligioso in cui sia lo Stato, attraverso i suoi docenti, a educare alla cultura religiosa delle diverse fedi, ovviamente tenendo anche conto dell’incidenza preponderante della cultura cristiano cattolica nel nostro Paese, sul piano storico, sociale e antropologico. Un insegnamento di tutte le religioni, aconfessionale e destinato a tutte/i, senza alcuna facoltatività.
Realisticamente, esso potrebbe essere tenuto dagli attuali docenti di IRC, in attesa che si formino e crescano anche insegnanti provenienti dalle università, sottoposti allo stesso regime degli altri docenti, con regolari concorsi (da qualche anno, fra l’altro, c’è stato il ritorno degli insegnamenti di teologia nel sistema universitario italiano, a centocinquant’anni dalla soppressione nelle università italiane di quelle facoltà di teologia che ci sono da sempre in Germania, Svizzera, Belgio, Inghilterra, e perfino in Francia). Sarebbe la fine di un’anomalia tutta italica, figlia di una stagione superata e, ritengo, non più destinata a riproporsi.
Da parte mia (sono per formazione docente di lettere nei licei), penso sia opportuno che, per evitare di essere inserita in un quadro di multiculturalismo separatista – con relativo rischio di balcanizzazione delle diverse ore delle singole religioni –, un’ipotesi del genere debba trovare la sua collocazione all’interno di una prospettiva pedagogica interculturale e dialogica (pena il rischio di trovarsi di fronte, in un prossimo futuro, all’ora di islam, quella di buddhismo, e così via). Perché solo una scuola che favorisca e promuova il dialogo interreligioso e interculturale sarà in grado di contribuire a rafforzare il fondamento della civiltà e della convivenza sociale.
Con ragione Amos Luzzatto, il grande intellettuale ebreo scomparso alcuni anni fa, sosteneva che ogni bambino ha il diritto di leggere il Libro sacro degli altri bambini, «poiché fino a quando i cattolici leggeranno solo il vangelo, gli ebrei solo la Torà e i musulmani solo il Corano sarà impossibile realizzare una vera integrazione a scuola e nella società».
Possiamo parlarne, finalmente?
Più che parlare dell’ora di religione, di cui si discute senza grandi progressi da almeno quarant’anni, parlerei di educazione religiosa, come parte del compito educativo della scuola
Nel lontano 1987 il sottoscritto era giovane studente gesuita a Posillipo e, nel corso di una serie di incontri di studio ad uso interno, partecipò a una discussione con l’illustre giurista Francesco Paolo Casavola sul tema ora di religione a scuola. A tale illustre giurista, il sottoscritto sottopose – 37 anni fa, si consenta di rimarcare! – la necessità di sgombrare ogni equivoco cripto-catechetico dall’ora di religione così indegnamente realizzata (e non certo a causa dei docenti) perché vittima di un equivoco confessional-funzionale che ne affossa lo statuto e l’intento culturale, proclamato a parole ma smentito nei fatti. L’illustre giurista fulminò l’incauto studentello, usando gli argomenti che la CEI sta raccontando da anni, petizioni di principio insostenibili e smentite dal declino inesorabile di una formula che è la somma di tutti gli equivoci e di tutti i politicismi ecclesial-governativi possibili.
L’ora di religione così com’è merita solo di morire – ed è quello che infatti sta avvenendo. Pensa la CEI che rilasciarla al suo destino e conduzione autenticamente culturali sia “mollare terreno” e perdere chances cripto-catechetiche? Si sbaglia. O la religione, e in concreto le religioni, diventano ambito di studio e ricerca – e allora devono avere lo statuto curriculare identico a tutte le altre discipline – oppure la formula attualmente in vigore si esaurirà da sola, perché intrinsecamente contraddittoria sul piano culturale, insostenibile su quello civile, ridicola e umiliata/umiliante su quello curricolare-didattico.
Quando mancano il coraggio di guardare oltre l’orticello (sempre più smilzo) e la mancanza di fiducia nella libertà di pensare a tutto campo, ci si riduce a quella povera cosa che è l’attuale ora di religione cattolica. Un residuo destinato all’estinzione. In tanti ambiti la storia della Chiesa insegna che purtroppo Roma ha fatto suo con 200 anni di ritardo quello che per 200 anni ha combattuto. Inutilmente a quel punto, perché nessuno sapeva più che farsene di tale cambiamento. nel frattempo molti hanno dovuto soffrire per una tale miopia (quando non proprio malafede), lontana anni luce dal quel Vangelo della libertà che si vorrebbe predicare.
Esiste una ricerca a livello nazionale sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, dalle elementari alle secondarie di secondo grado?
Lo strazio con cui la cosiddetta religione è insegnata (si fa per dire) è inenarrabile. L’ora di religione è un tempo di “liberi tutti” durante il quale alcuni danno retta all’insegnante, la maggior parte studia, legge, gioca a carte (sic).
Con ciò otteniamo di ricoprire l’insegnante di indecorosa mancanza di rispetto, la disciplina oggetto di insegnamento di nessuna considerazione e, ciò che è più grave, la “religiosità” in sé, di strafottente disprezzo, proprio in un’età in cui i giovani sono alla ricerca di riferimenti credibili e coerenti.
Che l’insegnamento della religione sia sopravvissuto nella revisione del concordato Craxi/Casaroli è il mitico piatto di lenticchie con cui il clero pensava di salvare un po’ di potere. Povera classe clericale, quanto male fa alla causa che vorrebbe difendere! Per miopia, per grettezza spirituale, per oggettivi limiti culturali!
E a proposito della Bibbia a scuola come principio e fondamento della nostra civiltà, ricordate che un comunista convinto (per questo di per sé poco stimabile, ma “rien n’est parfait”) come il professor Tullio De Mauro aveva dichiarato, quand’era ministro della Pubblica Istruzione (per fortuna per l’espace d’un matin) che secondo lui si sarebbe dovuta introdurre a scuola la lettura integrale della Bibbia.
Infine, come non ricordare che nella nostra classe c’erano due ragazzi ebrei che non avevano chiesto l’esonero e seguivano con noi le lezioni di religione? Le quali, a onor del vero, erano tenute da un degnissimo sacerdote che non ci parlò mai di sesso, mai di divieti, mai di apparizioni, ma che ci aiuto a trovare il senso della religiosità nella vita dell’uomo.
A proposito di ignoranza della Bibbia, trovo sorprendente che noi italiani siamo nel buio totale. Non parlo solo di chi si professa laico o ateo, ma di chi frequenta abitualmente la chiesa. Lo trovo grave non solo da credente, ma da italiana e da insegnante in pensione, perché la conoscenza della bibbia è fondamentale dal punto di vista culturale e non conoscendola si resta all’oscuro dei suoi legami con la storia, con la filosofia, per non parlare della musica e delle produzioni artistiche. E concordo sulla proposta del Vescovo Olivero perché effettivamente l’insegnamento della religione cattolica così come è pensato non contribuisce se non a creare steccati e riserve. E lascia fuori dal dibattito e dalla conoscenza chi di un insegnamento di questo genere vuole restare fuori (oserei quasi dire “giustamente”).
Grazie a Brunetto Salvarani, che ha rilanciato la proposta di Derio Olivero (che pure ho letto: purtroppo non è pubblicata in Open Access, quindi temo che raggiungerà pochissime persone). Mentre capisco bene i motivi addotti, non mi convince molto la soluzione che viene abbozzata.
1. In primo luogo, come molto giustamente qui hanno detto Fabio Cittadini, Raffaele Licenziato, Sara Mainardi, e altri nel gruppo FB Supporto IRC/IDR dove l’articolo è stato rilanciato), l’IRC attuale ha già una notevole connotazione pluralistica e interreligiosa.
2. In secondo luogo, se davvero si volesse tentare il grande salto da un «insegnamento della religione cattolica» ad un «insegnamento delle religioni» (proposta che ho già letto moltissime volte!), si passerebbe da qualcosa di difficile a qualcosa di difficilissimo, da tutti i punti di vista. A meno che il sottinteso sia che un «insegnamento delle religioni» (o comunque lo si volesse chiamare) potrebbe finalmente diventare obbligatorio e pienamente curricolare, e che questo risolverebbe l’enorme problema di percezione oggi esistente: ma non sono sicuro che questa proposta muova da questa ipotesi.
3. In terzo luogo, temo che vi sia un certo equivoco quando si accosta un approccio interreligioso (visto con occhi cristiani!) ad un approccio di studio scientifico delle religioni (quale avviene per esempio in un’Università statale). Le due cose sono entrambe lecite e degne, ma non hanno davvero quasi nulla in comune. Per limitarmi ad una rozza battuta: uno studente che ad un qualsiasi esame di Storia delle religioni in un’Università statale dicesse «Tutte le religioni sono strade che portano a Dio, tutte le religioni sono in fondo per la pace e per l’amore» sarebbe immediatamente bocciato.
In conclusione, a me pare più sensato, come implicitamente o esplicitamente hanno scritto altri, sforzarsi di migliorare ciò che esiste. I margini mi pare che ci siano e siano molto grandi. Se la Chiesa cattolica farà un «passo avanti» verso un’insegnamento serio, appassionato, aggiornato, credo che tutti gliene saranno grati.
Non mi trovo d’accordo con le sue conclusioni. Nel mondo plurale, fin troppo se vogliamo, nel quale viviamo in occidente, l’idea di usare spazio della scuola pubblica per portare avanti una religione di stato, con fine in qualche modo pastorale, non è più percorribile. Non si tratta di migliorare l’istituo dell’ora di religione, si tratta di superarlo. E’ inutile nascondersi dietro ad un dito: sappiamo tutti che il tempo speso dai discenti nella presenza in classe in ora di religione è considerato nulla, se non meno di nulla, tanto che quel frangente è atteso per ripassare, prepararsi all’interrogazione dell’ora successiva, etc.. Nessuno il valore ponderale nella valutazione complessiva dello studente, scarsissimo il valore dato dai colleghi all’interno di qualsiasi collegio docenti in merito all’insegnamento. Sfido a sostenere il contrario. E’ necessario un bagno di realtà: l’unico vero problema nel superare questo istituto sarà semmai il ricollocare coloro che vi sono impiegati, per il resto credo nessuno se ne accorgerà.
… e cosa dire della valutazione che non fa media? Tanti paletti da superare …
Continuo a pensare che i vescovi dell’ ora di religione non sappiano nulla. Di sicuro le linee guida non aiutano a comprendere il mio punto di vista, grazie a Dio non solo mio. Fortunatamente si insegna religione con la conoscenza didattica e metodologica, strumenti che ci aiutano a contestualizzare e togliere tutto “il sacro” presente nelle linee guida ministeriali approvate da una CEI che in 40 anni di presenza a scuola non si é mai degnata di essere accanto ai docenti. Il pluralismo lo insegnano già da molto tempo, tanto che nella mia carriera ho avuto alunni di diversa religione, perché a scuola non si fa catechismo.! Ovviamente essendo cultura ,di cultura si tratta dall’ italiano, alla storia alla musica , all’arte perché la nostra storia culturale è a braccetto con quella spirituale. Le nostre opere più belle sono nelle chiese, il grande Caravaggio lo ammiriamo nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, Giotto ad Assisi il Mantegna a Firenze, per fare qualche nome. Se il musulmano o l’ induista viene in Italia per lavorare e ha figli nella scuola, accetta di fare italiano e matematica e tutto ciò che ci riguarda come cultura, deve accettare l’ ora di religione come cultura per le ragioni scritte sopra. Se i docenti non sono in grado di fare questo si tolgano. Il punto negativo é in un Concordato che non tutela la disciplina ,ha fatto si che venisse intesa come ora di catechismo tanto da permettere ora alternativa, uscite, esoneri durante l’anno calpestando la disciplina e i docenti.
Le religioni sono roba da Medioevo, ai nostri giorni non se ne dovrebbe più parlare. Io educherei i bambini a ragionare con la propria testa, interessandosi sin dalla più tenera età alla scienza e alla tecnologia, altroché fargli il lavaggio del cervello con le favole religiose.
Credo sia molto utile l’insegnamento delle religioni (tutte) e in tutte le scuole e classi. La società crescerebbe, non solo in conoscenza, ma anche in cultura generale così da trovarsi formata al sano ragionamento e quindi in grado di discernere nelle varie situazioni della vita, visto quanto sia difficile trovare la giusta quadra.
Anche io penso che la società sta cambiando con altre religioni che bisognerebbe considerare. Sarebbe importante fare un corso anche x noi insegnanti x conoscere meglio le altre.
E’ evidente che personale formato in sedi confessionali non sarà mai accettato da chi appartiene ad un altro credo o confessione . E’ altrettanto evidente che la mancanza di un insegnamento teologico in università pubbliche va a detrimento sia della qualità della ricerca teologica italiana , sia della sua rilevanza in contesti multiculturali . E’ evidente che in futuro ci sarà una sempre più marcata flessione degli “avvalentesi”. E’ altrettanto evidente che ben pochi nella gerarchia cattolica sono disposti ad affrontare il problema . Onore a chi solleva il problema e si pone in un orizzonte di futuro prossimo e dimostra quel senso di prospettiva che manca a troppi cattolici italiani.
Sono un insegnante di religione nella scuola secondaria superiore da oltre 30 anni e concordo con la proposta di cambiare lo statuto epistemologico dell’IRC rendendo la materia laica e aconfessionale a patto che subentri una gradualità capace di guardare oltre e non sacrificare posti di lavoro. Di fatto il cambiamento è già avvenuto (e questo la CEI lo sa molto bene) in quanto la disciplina è insegnata per oltre il 90% da laiche e laici (la maggior parte con titoli sia statali che ecclesiastici) che conoscono molto bene le istanze di una società plurale e multirazziale. Ma il vero cambiamento lo ha dettato la necessità di arginare la fiumana di studenti che per alcuni anni ha scelto di non avvalersi dell’IRC. È in questo senso che la maggior parte degli insegnanti ha poi reso più “laico” il proprio insegnamento nel tentativo di captare l’attenzione degli alunni. Riconosco che non è una modalità politically correct ma spesso la società è i bisogni delle persone arrivano prima dei tempi della politica.
Ripensare una situazione oltremodo complessa, per i risvolti giuridico-gestionale-pedagico, è sempre utilie; assai più difficile modificarla. Tanto più se il farlo, nella logica qui suggerita, implica una vera e propria rivoluzione per genitori, alunni (nelle diverse fasi scolastiche), e docenti. Temo inoltre che in una società post-secolare l’interesse a una educazione multireligiosa obbligata sia sempre declinante e frequentata di malavoglia dagli alunni. Per i laicisti poi brillerebbe l’idea dell’abolizione con, un corposo risparmio per le casse dissestate dello Stato. Megllio perfezionare e qualificare l’esistente, ammesso che ci si riesca per tanti motivi. Impegnare adesso Vaticano E Cei in una perigliosa modifica dei Patti, che potrebbe comportareil cambiamento anche di altri aspetti, pare impresa assai ardua, anche per le prevedibili e strumentali risse partitiche che ne seguirebbero Un Nicora non si trova facilmente in giro.
Concordo sul fatto che il termine I.R.C. tragga in inganno ma sia chi ha scritto l’articolo, che so persona di raffinata intelligenza, sia il vescovo Derio forse – sottolineo forse – dovrebbero leggersi e rileggersi le indicazioni nazionali per la materia per scoprire che ha già una ventatura ecumenica e pluralistica. D’altronde basta sfogliare un qualsiasi testo di I.R.C. (che deve avere approvazione dalla CEI) per rendersene conto. Nel mio piccolo connoto molto la materia in termini ecumenici e non solo (cfr. i video dei miei studenti in https://www.youtube.com/@theologicalmind)