Congo: forza e lutto delle donne

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La crisi provocata dai combattimenti nell’est della Repubblica Democratica del Congo ha lasciato una scia di emozioni, ferite insopportabili e vittime inconsolabili abbandonate dai loro cari, da un lato, e dal governo congolese e dalle agenzie umanitarie,  dall’altro.

Questa crisi di sicurezza si sta ripercuotendo soprattutto sulle ragazze e sulle donne che fuggono dagli scontri tra i ribelli dell’M23 e le FARDC (Forces Armées de la République Démocratique du Congo) nell’estremo nord della provincia del Nord Kivu, in particolare nei territori di Rutshuru e Masisi, e dalla misteriosa nebulosa ADF/NALU nell’estremo Nord della provincia.

In tutte queste aree, le donne e le ragazze sono le più vulnerabili e le vittime di violenza, sfruttamento, abusi sessuali e altre forme di sfruttamento.

In fuga dalla guerra, queste donne vengono private di tutto e nei luoghi di rifugio trascorrono la notte, a volte all’addiaccio, in condizioni subumane.

Dove sono le organizzazioni femminili, e i difensori dei diritti delle ragazze e delle donne nel Nord Kivu in particolare e nel Paese in generale? La situazione delle donne e delle ragazze vittime degli orrori della guerra nell’Est della Repubblica Democratica del Congo richiede un’attenzione particolare sia all’interno che all’esterno della provincia e del Paese. In tutte queste aree afflitte dall’insicurezza, le donne stanno diventando veri e propri bersagli per uomini armati che terrorizzano e umiliano la società attraverso questo tipo di pratiche.

Per sostenere e proteggere le donne in situazioni di guerra, è fondamentale sottolineare la necessità che gli stati o le autorità pongano fine alla guerra e sensibilizzino la società e svolgano attività nella comunità per far comprendere il ruolo della donna come garante dell’unità familiare in tutte le culture.

  • Laetitia Vusara, giornalista che vive nella regione Nord del Kivu.

Non c’è niente di più disgustoso al mondo delle lacrime di una donna, di questa sorella, moglie e madre che abbiamo davanti, che non smette mai di piangere per quello che sta passando ogni momento. In tempo di pace come in tempo di guerra, piange e le sue lacrime sono così frequenti che ci abituiamo e a volte ci stancano.

La modernità ci ha resi così ciechi e insensibili da dimenticare che le lacrime di una donna sono un barometro della nostra umanità. Guardate le lacrime di una donna, le lacrime che provocate, e scoprirete se siete virtuosi o cinici, uomini o mostri.

La sofferenza, il maltrattamento e la disparità non definiscono la donna. La donna è fonte di gioia e felicità, abbellisce il paesaggio umano, è l’unico canale di procreazione, in lei si nasconde un amore così grande e profondo, perché non ha mai amato a metà.

La donna di Beni, vedova tormentata e traumatizzata dalle continue violenze e atrocità dei «senza cuore»; che vive, con la paura nel ventre, in questa situazione miserabile che si può definire «genocidio»; che trascorre i suoi giorni e le sue notti all’addiaccio, riuscendo, nonostante tutte le sue difficoltà, a soddisfare i bisogni dei suoi figli orfani, merita, oggi, di essere fatta piangere di gioia e non di dolore.

Queste lacrime che esprimono la sofferenza del popolo di Beni in particolare, e il dolore di tutta la popolazione dell’est della Repubblica Democratica del Congo in generale, scorrono sotto lo sguardo impotente dei politici che si accontentano di riempirsi le tasche con milioni di euro, invece di concentrare i loro sforzi per porre fine, una volta per tutte, alle scorribande dei gruppi armati che non fanno altro che gettare il popolo congolese nella vergogna e nella vulnerabilità.

Le donne sono portatrici di vita, l’hanno ricevuta da Dio. È quindi necessario proteggerla e proteggere così l’intera umanità.

  • Furaha Apipawe, studentessa di economia presso l’Università UCG di Butembo.

Ogni anno l’8 marzo è tradizionalmente dedicato alla difesa dei diritti delle donne. Le donne del mondo in generale, e dell’Africa in particolare, non comprendono a sufficienza il significato profondo di questa giornata e sono combattute tra celebrazioni festive e consapevolezza della situazione delle donne e della lotta per l’uguaglianza di genere.

Nella Repubblica Democratica del Congo, quest’anno la giornata ha avuto una connotazione molto particolare. Lontano dal solito clamore che ha ridotto l’8 marzo a un evento folcloristico, questo giorno è stato meditativo. E al posto dei «pagnes» [termine usato per definire il tessuto annodato solitamente intorno alla vita diffuso nell’Africa sub-sahariana − ndr] − che spesso sono fonte di discordia in molte coppie − tutte le donne del Paese hanno indossato il colore nero; un colore di lutto e di solidarietà con le tante donne che ogni giorno perdono la vita nell’est del Paese e con le altre che sono costrette a lasciare le loro case e i loro campi temendo per la propria vita e fuggendo dai mostri portatori di morte che si sono insediati nella regione.

Sono molte le donne che vivono nell’indegnità, private di tutto e abbandonate al loro triste destino. La guerra le ha private di ciò che hanno di più caro: la loro dignità. È contro questa indegnità che le donne della Repubblica Democratica del Congo hanno protestato. Una voce e un appello a chi ha il potere di fermare questa calamità, e una dimostrazione di forza a queste donne che stanno lottando per la sopravvivenza delle loro famiglie.

Indossare il nero è una cosa; ma c’è bisogno di azioni concrete per cambiare la situazione, per scuotere coloro che hanno acquisito il gusto del sangue nella loro mania di cattiveria, affinché questa guerra abbia finalmente fine. Infatti, quando è troppo è troppo. Una donna che muore è di troppo. Una persona di troppo.

  • Lucienne Mokili, giornalista dell’Agenzia congolese.

La situation de la femme dans un contexte de guerre

La crise sécuritaire à l’Est de la République Démocratique du Congo laisse derrière elle des émotions, des plaies insupportables et des victimes inconsolables abandonnées par leurs proches d’un côté et par le gouvernement congolais et les organismes humanitaires de l’autre côté.

Cette crise sécuritaire pèse très lourdement sur les jeunes filles et les femmes en particulier qui fuient les affrontements entre les rebelles du M23 et les Forces Armées de la République Démocratique du Congo FARDC dans le petit nord de la province du nord Kivu notamment dans les territoires de Rutshuru, Masisi et la mystérieuse nébuleuse ADF/NALU dans le grand nord de la province. Dans toutes ces entités, les femmes et les jeunes filles sont plus vulnérables et victimes des violences, exploitation, abus sexuels et autres formes d’exploitation.

En fuyant la guerre, ces femmes sont dépourvues de tout, dans leurs milieux de refuge, elles passent nuit parfois à la belle étoile, dans des conditions infrahumaines. Où sont passées ces organisations féminines, ces défenseurs des droits de la jeune fille et de la femme dans le Nord-Kivu en particulier et au pays en général ?

La situation que traversent les femmes et les jeunes filles victimes des affres de la guerre dans l’Est de la République Démocratique du Congo nécessite une attention particulière tant à l’intérieur qu’à l’extérieur de la province et du pays. Dans toutes ces entités en proie en l’insécurité, les femmes deviennent ainsi de véritables cibles pour les hommes armés qui terrorisent et humilient la société par ces genres de pratique.

Pour soulager et protéger la femme en situation de guerre, il urge de mettre l’accent sur la nécessité des états ou des autorités de mettre fin à la guerre et de sensibiliser la société et mener des activités dans la communauté en vue de faire comprendre aux uns et aux autres le rôle de la femme celui de garante de l’unité familiale dans toutes les cultures.

  • Laetitia Vusara.
Les larmes de la femme de Beni

Il n’y a pas plus écoeurant dans ce monde que les larmes d’une femme, cette soeur, épouse et mère en face de nous ne cesse de pleurer pour ce qu’elle subit chaque instant. Pendant le moment de paix qu’en celui de guerre, elle pleure, ses larmes sont si fréquentes qu’on s’y habitue et parfois on s’en lasse.

La modernisation nous a rendu si aveugle et insensible au point d’oublier que les larmes d’une femme sont un baromètre de notre humanité. Scrute donc les larmes d’une femme, ces larmes que tu suscites et tu vas découvrir si tu es un vertueux ou un cynique, un homme ou un monstre.

Souffrance, maltraitance, et disparité ne définissent pas mieux la femme. La femme est une source de joie et de bonheur, elle embellit le paysage de l’humanité, elle est l’unique canal de procréation, en elle se cache un aussi grand et profond amour, car elle n’a jamais aimé à moitié.

La femme de Beni, veuve tourmentée et traumatisée par les continuelles violences et atrocités des « sans coeurs » ; vivant, la peur au ventre, cette misérable situation pouvant être qualifiée de « génocide » ; passant ses journées et ses nuits à la belle étoile, se débrouillant malgré toutes ses difficultés à répondre aux besoins de ses enfants orphelins mérite, aujourd’hui, qu’on la fasse pleurer de joie plutôt que de peine.

Ces larmes exprimant la souffrance de la population de Beni en particulier, et la douleur de toute la population de l’Est de la République Démocratique du Congo en général, coulent sous le regard impuissant de ces « Politiques » ne se contentant que de remplir leurs poches des millions et qui, pourtant, concentreraient leurs efforts pour mettre fin, une bonne fois pour toutes, à cette aventure des groupes armés qui ne fait que plonger le peuple congolais dans la honte et la vulnérabilité.

La femme est porteuse de la vie, elle l’à reçu de Dieu. C’est donc une nécessité de la protéger et protéger ainsi toute l’humanité.

  • Furaha Apipawe.
Le 8 Mars célébré en noir

Les habitudes ont consacré le 08 mars de chaque année à la journée de la défense des droits de la femme. Les femmes du monde en général, celle de l’Afrique en particulier, ne comprenant pas assez le sens profond de cette journée, sont écartelées entre des réjouissances festives et une prise de conscience de la situation de la femme et la lutte pour l’égalité des sexes.

En République Démocratique du Congo, cette journée a eu, pour cette année une connotation tout à fait particulière. Loin du tapage habituel qui réduisait le 08 Mars au folklore, cette journée a été méditative.

Et à la place des pagnes – qui d’ailleurs sont souvent une pompe de discorde au sein de plusieurs couples -, toutes les femmes du pays ont mis la couleur noire ; couleur de deuil et de solidarité avec les nombreuses femmes qui, les unes perdent leur vie chaque jour à l’Est du pays et les autres sont obligées de quitter leurs maisons et champs craignant pour leur vie et fuyant les monstres porteurs de la mort qui ont élu domicile dans la région.

Elles sont nombreuses en effet ces femmes qui vivent dans l’indignité, dépourvues de tout et abandonnées à leur triste sort. La guerre leur a arraché ce qu’elles ont de plus cher : la dignité. C’est donc contre cette indignité que les femmes de la République Démocratique du Congo ont protesté.

Une voix et un appel à ceux qui ont le pouvoir d’arrêter cette calamité et un coup de force à ces femmes qui se battent pour que survivent leurs familles. Portez le noir, c’est quelque chose.

Mais plus que cela, il faut des actions concrètes qui poussent à changer la situation, il faut arriver à bousculer ceux qui ont pris goût du sang dans leur mauvaise manie pour que finalement cesse cette guerre. En fait, elle est assez. Une femme qui en mourra sera de trop. Une personne qui y laissera sa peau est de trop.

  • Lucienne Mokili.
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