L’Europa distrutta dalle frontiere

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Il 10 gennaio 2024, il treno Milano-Parigi ha ripreso a circolare dopo essere stato sospeso per più di quattro mesi a causa di una frana sui binari nelle Alpi francesi.

Per il momento si tratta di una linea sostitutiva che consiste in un treno da Milano a Oulx con una fermata a Torino, un autobus da Oulx a St Jean de Maurienne che attraversa il confine di Stato e un secondo treno da St Jean de Maurienne a Parigi.

In totale sette ore e trenta di viaggio che sono state però accolte con gioia dagli utenti abituali della linea, tra cui io e il mio ragazzo, che volevamo ritornare in Francia dopo le vacanze di Natale passate a Torino. Ma la tratta inaugurale si è rivelata più complessa del previsto, alla frontiera.

Il ritorno delle frontiere

Con il bus si arriva alla cittadina frontaliera di Modane, dove dal 2015 ci sono regolarmente i controlli di polizia. Questa volta prima i francesi, poi gli italiani che chiedono a tutti, due volte, i documenti.

Di solito la polizia italiana è piuttosto morbida, ma nel giorno dell’inaugurazione tutti vogliono fare bella figura. Per far ripartire la linea, infatti, ci spiegherà in seguito il capotreno, «è stato necessario firmare un accordo tra i ministeri dei trasporti dei due Paesi, le prefetture dei due versanti delle Alpi…».

Anche se la Convenzione di Schengen del 1990 ha sancito che, nei 26 paesi che vi partecipano, dovrebbe sussistere una «zona di libera circolazione» senza controlli alle frontiere, dal 2015 il valico di frontiera tra l’Italia e la Francia ha ripreso un aspetto doganale, con controlli su tutti i mezzi di documenti e bagagli.

Uno scenario che per la mia generazione, nata alla fine degli anni Novanta, era confinato ai racconti dei nostri genitori relativi agli anni Ottanta.

Per paura dei migranti 

La reintroduzione di questi controlli è dovuta alle migliaia di migranti che tentano – a piedi, in autobus, in treno – di attraversare le Alpi e aumentano a vista d’occhio lo stato di militarizzazione di queste valli, nonché lo stato di violenza per coloro che tentano la traversata.

Al secondo controllo, sul nostro bus, la tensione sale: una ragazza che si rifiuta di consegnare i documenti. Occhiali, capelli biondi e occhi azzurri, dice in italiano, con accento francese, che non c’è nessuna legge che la obblighi e che «nel mondo ci sono tante guerre, tante cose brutte, che ce ne sono anche per questo».

È una spiegazione contorta, ma capisco cosa intende: l’inasprimento delle frontiere interne dell’Europa conduce a una tensione tra gli Stati che crea razzismo, violenza e, se vogliamo, predispone alle guerre ai confini dell’Europa.

In più, dal punto di vista giuridico, la ragazza ha ragione: se negli accordi Schengen si può derogare alla regola del non-controllo, introducendolo in momenti di pericolo, questi non possono persistere più di due anni e otto mesi.

Nel 2022 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha infatti richiamato all’ordine la Commissione per questa pratica, ormai diffusa a molte frontiere interne dell’Unione, e ora spetterebbe alla Commissione intervenire.

Ma di fronte al potere degli Stati membri, la Commissione preferisce non agire, lasciando la situazione alla frontiera in un limbo giuridico che fa di questa ragazza una persona teoricamente nel giusto, ma praticamente nella merda.

«I documenti»

I poliziotti puntano allora sulla retorica della colpa: «Signorina, sta facendo perdere tempo a tutti», ma sono interrotti da un telefono che sbuca dai sedili filmando.

Uno di loro se ne accorge e ordina: «Non ti è permesso filmare!». Ma il regista del video pronto per essere spedito sui social, dice: «Me lo state dicendo solo perché sono transessuale! Prima l’ho vista controllare con sospetto la mia carta d’identità».

Il poliziotto non sa bene cosa rispondere: «Sì, beh, ma non potete filmare, è contro la legge!» (quale legge, anche qui, non si capisce). Nel frattempo, la ragazza no border si è ammutolita e la tensione è salita di una tacca.

Un giovane sui vent’anni comincia allora a gridare da un capo all’altro del bus: «Puttana! Dagli i documenti, perché come è vero Iddio se non li dai, non scendi da questo bus con le tue gambe!».

Un altro poliziotto allora gli si avvicina e, severo, gli chiede i documenti per fare una foto, ma una ragazza davanti a lui, vedendo che si trattava di un documento marocchino, si interpone dicendo che quello è «razzismo di sistema» e che su questo confine ne se vede fin troppo.

A questo punto nel bus tutti discutono: le contraddizioni della nostra epoca – woke e anti-woke – si condensano in quei minuti infiniti, al buio, sotto la neve, al confine tra la Francia e l’Italia. Io sono ormai disorientata, quando la polizia dà alla ragazza un ultimatum: o consegna i documenti o scende dall’autobus. Marie, dice di chiamarsi così, si rifiuta.

L’Europa che si distrugge

«Signori, dovete cortesemente scendere tutti dall’autobus» dice allora uno di loro. In quel momento capisco che la situazione è grave, che una volta fuori, sotto la neve insieme agli altri passeggeri, vedrò Marie strattonata e portata fuori con la forza.

Non riesco a resistere. Senza rendermene conto, mi alzo, supero i poliziotti e mi ritrovo davanti agli occhi di Marie, pieni di lacrime. La ringrazio per la sua azione coraggiosa.

Le dico che ha ragione, perché conosco queste valli, la situazione istituzionale e so che questa frontiera è diventata violenta, che la gente muore nella neve e che si deve fare qualcosa. Ma aggiungo anche che le stanno per fare del male, quindi di dare di documenti. Incredibilmente, la convinco.

Nell’autobus vuoto siamo rimaste noi due con la polizia e l’esercito arrivato apposta per lo sgombero. Marie dice che vuole dare i suoi documenti a una donna. Si fa avanti una poliziotta della nostra età e così il viaggio, dopo un’ora e un quarto di dramma, può proseguire.

Quando scendiamo alla stazione di St Jean de Maurienne, noto che altri passeggeri sono andati a parlare con Marie. Le raccontano che anche loro utilizzano la linea da anni e che il controllo dei documenti è diventato irragionevole. Marie mi sorride, forse perché vede che una piccola parte del mondo è davvero cambiata oggi.

Tuttavia dal punto di vista istituzionale la questione rimane ancora in sospeso, con delle proroghe pseudo-legali di sei mesi in sei mesi e delle elezioni europee alle porte in cui nessuno parla del ritorno delle frontiere.

Mentre invece sono già tornate, per effetto del panico dei migranti, ma stanno distruggendo il concetto di Europa, per tutti.

  • Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 1 febbraio 2024

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Un commento

  1. Giovanni Di Simone 5 febbraio 2024

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