Chi può salvare il Libano? I primi ad avvertire l’urgenza di farlo dovrebbero essere i libanesi, anzi, i leader politici libanesi. Se avessero l’onestà di ammettere, almeno in cuor loro, che hanno tutti sbagliato, e di grosso, a non prendere in considerazione le offerte per un dialogo nazionale portate a Beirut poche settimane fa dal Segretario di Stato vaticano, card. Parolin, potrebbero decidere oggi stesso di riunirsi e scegliere con estrema urgenza un nuovo Presidente della Repubblica.
Il Libano arriva infatti a questo tornante nuovamente drammatico della sua storia senza un Presidente, senza un governo nella pienezza delle sue funzioni. Chi parla di guerra o di pace con Beirut in queste ore, parla con il Presidente del Parlamento, che al riguardo non dovrebbe avere voce in capitolo come tale, solo perché lui è il ventriloquo di Hezbollah, il suo alleato fedele che ha trattato per mesi con l’inviato americano.
Dunque il Libano non esiste! Eppure solo lo Stato, se esistesse, potrebbe proporsi come garante. Ma garante di cosa? Innanzitutto dell’applicazione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, votata nel 2006 proprio su iniziativa lungimirante e coraggiosa del capo del governo di allora, Fouad Siniora. Prevede il ritiro di ogni miliziano – quindi anche di Hezbollah – al di sopra del fiume Litani, che si trova a 45 chilometri dal confine con Israele.
L’attuale governo libanese, emanazione senza più poteri – perché in carica solo per gli affari correnti mancando il Presidente della Repubblica – di Hezbollah, non ne parla mai. Se il nuovo Capo dello Stato e il nuovo governo, nella pienezza delle sue funzioni, lo proponessero, nelle prossime ore, forse non tutto sarebbe perso. Si tratterebbe di applicare una risoluzione dell’ONU e quindi di schierarvi subito l’esercito nazionale, unica e sola formazione armata autorizzata, in quello spazio decisivo, al fianco del contingente dell’UNIFIL.
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Chi non ha capito il viaggio del Segretario di Stato vaticano, la sua permanenza per quattro giorni a Beirut, chi ha boicottato il suo meeting interreligioso promosso proprio alla luce dell’applicazione di tutte le risoluzioni dell’ONU, quindi anche della 1701, oggi dovrebbe almeno mordersi le mani.
E non si tratta solo di Hezbollah. Ma anche dei leader cristiani che contavano sui voti del potente attore in armi, ben rappresentato in Parlamento, per vincere la corsa presidenziale. Il Presidente in Libano va eletto dal Parlamento e non ci si riesce da due anni. I cristiani hanno motivo di interrogarsi mentre il Paese rischia di essere travolto dai fati.
Questa nuova leadership libanese, urgentissima per rappresentare un Paese che rischia di morire, potrebbe assumersi il compito di spiegare al mondo che quella presenza ostile alla democrazia libanese, visto che ha assassinato l’ex premier, il musulmano Rafiq Hariri, come tante figure di spicco cristiane e poi distrutto il porto di Beirut, oggi va contenuta, non devastata. Questo potrebbe assumere nelle sue conseguenze il sapore drammatico di uno conflitto confessionale in Libano, essendosi Hezbollah intestato la rappresentanza degli sciiti. Che rimangono parte costitutiva del Libano.
L’impressione che il Vaticano sia stato l’unico a tentare un’operazione onesta, di grande visione, per salvare il Libano, aiuta a ritenere che il mondo delle religioni possa ancora svolgere un ruolo. Ci sarebbe bisogno anche di una rinnovata presenza politica musulmana, che è possibile, soprattutto per la parte sunnita, che ha nell’ex premier Fouad Siniora una figura di spicco internazionale, di grande credibilità e visione.
In onestà va detto che, sebbene sempre diviso su linee egoiste, il fronte libanese degli avversari di Hezbollah aveva cominciato, dopo anni, ad alzare la voce, denunciando che il partito di Nasrallah stava sequestrando la politica nazionale di difesa escludendo tutti gli altri. Non è questo il punto dell’oggi? Non è questo che dovrebbe emergere da Beirut, indicando però il contenimento di Hezbollah in limiti compatibili con la sovranità nazionale?
Dal 2000 a oggi Hezbollah è rimasto in armi come forza di resistenza contro l’occupante, che però si era ritirato dal Libano. La loro scelta era legata all’espansionismo. È evidente che questo è accaduto con la copertura dei Capi di Stato e dei governi che da allora si sono succeduti, e i Capi di Stato sono per antico patto cristiani.
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L’ultima annotazione da fare riguarda il significato del Libano per l’islam e più in generale per il Mediterraneo e per il pluralismo. L’esempio arabo di pluralismo, con difetti enormi e a tutti noti, è il Libano.
Questo piccolo, superstite, malato esempio di cosmopolitismo connaturato a tutto il Levante è una luce accesa per il mondo arabo; quello che è stato il grande Levante cosmopolita è rimasto in questo piccolo Stato, sempre trascurato. Beirut soprattutto è il simbolo di un mondo cosmopolita che qualcuno vorrebbe si stia trasferendo tra Abu Dhabi, Dubai e altre città avveniristiche.
Difficile dire se sia vero, se sia almeno una possibilità di prospettiva. Ma il Libano e soprattutto Beirut sono un baluardo, per quanto fiaccato proprio da Hezbollah (ma non solo) in tanti decenni, che andrebbe capito e difeso con una cura diversa, per quel che significa per un domani più vasto. La speranza, in queste ore di distruzione, forse da capolinea, è che a Beirut la politica alzi la testa e decida di dire: «lo Stato esiste!».