Nuovo Levante: verso dove?

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Siria, Damasco ed il Levante

Siria sotto tutela

In Siria gli Stati Uniti hanno tolto alcune sanzioni che paralizzavano la vita economica avvicinando l’implosione armata del Paese. Si tratta di quelle che si potevano togliere con un decreto presidenziale: per le altre, che richiedono il voto del Congresso statunitense, si è deciso di prendere tempo.

Così la Siria resta sospesa, ora può sopravvivere, anche grazie alla decisione europea di seguire la scelta americana, ma non ci sono ancora le condizioni per attrarre i grandi investimenti indispensabili a ricostruire il Paese. Serviranno mesi.

Per i siriani che hanno fretta di vedere avvicinarsi un vero futuro si tratta di tanto tempo; per la politica forse è il tempo necessario per attrezzare l’esercito nazionale a gestire la grande preoccupazione, l’emergenza Isis, e riorganizzare la sicurezza nazionale, soprattutto in termini di polizia centrale e scioglimento delle milizie.

Questo dovrebbe comportare l’assorbimento dei contingenti armati curdi e drusi, risolvendo le questioni politiche che costoro pongono in termini di qualche autonomia amministrativa, e capire come regolarsi con i russi ancora presenti nella zona costiera, dove è forte la presenza di un’altra comunità, gli alawiti, che per via dei passati rapporti di diversi di loro con il regime degli Assad sente i russi come garanti della loro sicurezza contro lo spirito di vendetta di settori della coalizione islamica di governo.

In questo quadro Stati Uniti e Turchia hanno stabilito un coordinamento bilaterale chiaro, che porterà al dispiegamento di soldati turchi in molte regioni della Siria, dal nord al centro. Saranno dunque i turchi a ridisegnare lo Stato siriano. Ankara inoltre ha sin qui risolto il cuore delle controversie con Israele nel sud della Siria, con un negoziato diretto, accettato dall’autorità siriana.

Dunque Washington si affida ad Ankara per gestire questa fase transitoria, nella quale la Siria appare un soggetto sotto la tutela di “garanti”. Il grande negoziato interno, quello tra Damasco e i curdi, sarà probabilmente supervisionato da Ankara e Washington – si vedrà quanto lo scioglimento del PKK consentirà un accordo soddisfacente per entrambi.

Ma il rapporto tra turchi e americani ormai è solido. E soprattutto è scritto nel documento del gruppo di lavoro turco-americano che presto i siriani fuggiti in Turchia potranno tornare in patria, e questo interessa molto a Erdogan per motivi di politica interna. L’inviato speciale americano in Siria poi è soprattutto l’ambasciatore in Turchia.

Ankara così ha ottenuto ciò che desiderava; i sauditi attendono che si realizzino sul terreno le condizioni per investire in Siria e assicurarsi il dominio economico; Damasco ha evitato l’implosione del Paese e il governo di al-Sharaa è in carica per qualcosa che sembra molto simile al disbrigo degli affari correnti.

Libano: istituzioni e coesistenza

Intanto a Beirut, Paese strettamente connesso dalla geografia con la Siria, il governo e il presidente della Repubblica procedono di concerto verso la grande riforma del sistema politico, annunciato da mesi dal Capo dello Stato, quando ha detto che è ora di attuare integralmente gli accordi di pace che posero fine trentacinque anni fa alla guerra civile libanese.

Quegli accordi prevedono che si costituirà un sistema bicamerale, mentre oggi c’è il monocameralismo confessionale. Nel sistema prefigurato dagli accordi pace l’attuale Assemblea Parlamentare sarà una delle due, eletta ancora su base confessionale, per garantire tutte le comunità di fede presenti nel Paese, ma a questa si affiancherà una Camera eletta a livello nazionale su base esclusivamente di voto politico.

Questa è la formula d’oro che da trent’anni, inattuata, indica la via per costruire un sistema di vera coesistenza: garanzie alle Comunità, diritti alle persone. Le comunità garantite nella loro esigenza di essere sicure che nessuno potrà escluderne anche una sola nel futuro non sarebbero più gabbie, ma luoghi di formazione di diverse consapevolezze che si esprimerebbero diversamente nel voto politico per la Camera.

È quanto è scritto negli articoli 22 e 24 della Costituzione Libanese, che recepisce e assume al suo interno gli accordi di pace. Il varo di questa riforma risulterebbe all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri.

Se il Presidente Joseph Aoun e il premier Nafaz Salam riusciranno nei prossimi giorni, o settimane, a incardinare questa riforma con una deliberazione governativa da sottoporre poi al voto parlamentare, saremmo alla vigilia di una svolta storica, o almeno di una grande chance, non solo per il Libano.

I vecchi signori delle tessere del Libano paralizzato nel confessionalismo totale, che la Costituzione invita da decenni a superare, seguiranno il Presidente Joseph Aoun e il premier Salam, magari in cambio di qualcosa?

Gli stati del Levante

Questa formula è, di tutta evidenza, la base di partenza per la rinascita pluralista di questi Stati, una delle poche che possa prospettare un futuro che superi il vizio di fondo del sistema confessionale, la chiusura, quasi impermeabile ai fermenti sociali che ci sono.

Il Levante è stato tormentato dalla richiesta di fedeltà al leader in cambio di protezione da lui offerta alle varie comunità.

La nuova democrazia a due motori offrirebbe a tutti la possibilità di sentire garantite le comunità, ma lascerebbe anche le persone libere di esprimersi, senza la paura di mettere in pericolo la propria comunità di origine.

Se ciò accadesse in Libano potrebbe essere un modello, anche per la Siria, per portarla un giorno fuori dalla tutela dei comitati esterni.

E gli altri? La partita libanese, passata con successo la sfida delle elezioni amministrative che si sono svolte regolarmente in tutto il Paese, appare davvero possibile e potrebbe avere un valore non solo libanese.

È a Beirut che si sceglie se si vuole investire sul futuro e sul vivere insieme.

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