Odio senza fine

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Distribuzione di cibo nella Striscia di Gaza (foto LaPresse).

Il 28 gennaio del 2024, Nello Scavo descriveva su Avvenire la tragica situazione che si trascina da anni in Cisgiordania, non solo nei villaggi palestinesi, ma anche in quelli abitati da altre appartenenze etniche e religiose. Stessa cosa nel sud del Libano.

Il villaggio cristiano di Taybeh – antica Efraim – è in via di spopolamento a causa delle incursioni e delle insolenze di israeliani, che, a poco a poco, hanno circondato il villaggio fino a rendere inaccessibile una chiesetta bizantina posta su un poggio fuori dal paese.

“Casa nazionale del popolo ebraico”

È la sorte condivisa da decenni negli insediamenti palestinesi, che vengono attaccati, distrutti o resi inabitabili, a profitto di occupanti israeliani violenti, spesso bonariamente definiti nelle cronache come “coloni”, anziché usurpatori di beni altrui.

La deriva “messianicista” – termine volutamente storpiato – ha incrementato episodi di violenza e di discriminazione nei confronti anche degli arabi israeliani, circa il 20% della popolazione su circa 10 milioni di residenti dello “Stato ebraico” di Israele: uno Stato che, pur avendo adottato un sistema elettorale proporzionale insieme al segreto dell’urna, di fatto sancisce molteplici fratture sociali, religiose e linguistiche.

La separazione etnico-religiosa si riflette anche nei partiti; non vi sono molte iniziative di collaborazione tra parti diverse e avverse per indirizzi politici fondati su religione e appartenenza etnica. Tale frammentazione rende molto difficili gli equilibri politici.

Lo Stato di Israele non ha mai adottato una Carta Costituzionale, ma è bensì retto da una Legge Fondamentale costituita da 14 leggi che si sono susseguite nel tempo, dal 1948.

Il 18 luglio 2018 la Knesset ha approvato la legge che definisce ufficialmente lo Stato come “Casa nazionale del popolo ebraico”, introducendo di fatto una discriminazione per nulla democratica nei confronti dei cittadini arabi e delle altre comunità minori. È stato ripristinato sia il calendario ebraico, con la decisione di riconoscere la lingua ebraica quale lingua dello Stato, riducendo le minoranze linguistiche alle “lingue speciali”, cioè a poco più di dialetti.

Le storiche contrapposizioni tra palestinesi di varia appartenenza religiosa non ebraica e cittadini ebrei hanno subìto, dall’assassinio di Yitzahk Rabin, il 4 novembre del 1995, un lento ma continuo processo di radicalizzazione che ha portato alla situazione attuale di odio e di intolleranza senza limiti di ragionevolezza.

I cittadini arabi palestinesi di Cisgiordania, di Gerusalemme o comunque residenti in Israele, sono sottoposti a continue prevaricazioni e umiliazioni che hanno fatto da prodromo alle violenze scatenatesi con il massacro di oltre 1.200 cittadini ebrei inermi, il 7 ottobre del 2023, da parte dei terroristi di Hamas; tra le vittime vi erano diversi pacifisti aperti al dialogo tra israeliani e palestinesi.

La fazione terroristica di Hamas, “Movimento di resistenza islamica”, che si contrappone all’Autorità Nazionale Palestinese, ANP, di Abbas, ha conquistato il potere su Gaza nelle elezioni del 2006. Ne è seguito un conflitto armato con Fatah fedele all’autorità dell’ANP. Così, dal 2007, Hamas spadroneggia sulla striscia di Gaza, usando minacce ed eliminazioni degli oppositori interni. Le ripetute azioni delle varie intifade, partite dai territori palestinesi della Cisgiordania, e le violente reazioni dello Stato ebraico, hanno segnato questi ultimi 20 anni.

Il nuovo corso di Israele è capeggiato, dal 29 dicembre 2022, dal governo di Benjamin Netanyahu, personaggio indagato in Israele, insieme alla moglie, per corruzione e intralcio di testimonianze. Ora lo stesso primo ministro è sotto mandato di arresto da parte della Corte Penale Internazionale per “crimini di guerra e contro l’umanità” reiteratamente perpetrati contro la popolazione inerme della Striscia di Gaza.

Il mandato di arresto internazionale nei suoi confronti viene ignorato dai Paesi – Italia inclusa – che, pur avendo firmato lo Statuto di Roma, ipocritamente, aggirano la questione dei mandati di arresto per mantenere buone relazioni con Israele, buon acquirente di armi e di munizioni, oltre che Stato legato da numerose partnership di Intelligence.

L’inerzia degli stessi firmatari dello Statuto di Roma dimostra quanto le istituzioni internazionali, a partire dalla stessa ONU, vengano tranquillamente ignorate e svuotate di significato, in un periodo in cui il multilateralismo viene disdetto giorno dopo giorno, non solo per la questione dei dazi trumpiani, ma anche per l’inadempienza delle normative di autocontrollo e di autoregolamentazione dei singoli Stati firmatari, in difesa e tutela dei diritti umani: ai criminali viene garantita carta bianca e impunità.

La vendetta come azione politica

In diritto si valutano le situazioni di conflitto con criteri di proporzionalità e di ragionevolezza tra causa e reazione: principio posto a fondamento di ogni Paese che si voglia dire democratico e in cui le funzioni e i compiti siano distinti tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Mentre la reazione di Israele all’orrendo massacro dell’ottobre 2023 ha assunto proporzioni inammissibili, sia per la distruzione di infrastrutture essenziali per la sopravvivenza della popolazione, sia per i massacri perpetrati ciecamente su bambini, donne, vecchi, uomini non combattenti, giornalisti e cooperanti non appartenenti alla milizia terroristica di Hamas.

Torma alla mente il detto medioevale che giustificava i massacri commessi durante le guerre di religione nel cuore dell’Europa cristiana: “uccidere tutti, perché Dio seleziona i suoi”.

Sino ad oggi la vendetta – e non la guerra – ha causato, secondo l’UNICEF, la morte e il ferimento di 50.000 bambini, oltre a donne e uomini, madri e padri, innocenti.

L’esercito israeliano colpisce con tutta la potenza dei suoi arsenali militari riforniti e garantiti da Washington e dall’Europa, senza distinguere tra miliziani di Hamas e popolazione civile, perpetrando di fatto un massacro inaudito e ingiustificato da ogni ragione militare.

Le istituzioni internazionali sono impedite nell’accesso di Gaza e della Cisgiordania perché identificate come target “nemico” di Israele e quindi eliminabili, anche fisicamente. Nessuna informazione viene consentita a stampa e osservatori imparziali. L’impunità permette ogni eccesso in nome della vendetta.

Uno Stato in cambiamento

Israele, costituito originariamente per la gran parte da immigrati ebrei dall’Europa e dalle Americhe, prima e dopo il 1947-1948, nel tempo ha accolto ebrei provenienti da paesi arabi, quali Tunisia e Marocco e falascià dell’Etiopia.

Dalla caduta del muro di Berlino e dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, sono aumentate notevolmente le migrazioni dall’Est Europa e dai paesi baltici. Da queste regioni sono giunte grosse comunità askenazite, accompagnate da movimenti ultraortodossi, anche sefarditi. Questi gruppi attualmente costituiscono il 13% degli ebrei d’Israele divenendo determinanti per la formazione del governo.

La contropartita è fatta di concessioni, tra cui l’apertura di scuole e di luoghi di studio della Torah che consente una vita condotta in modo separato dal resto della popolazione, perché il rispetto integrale della Legge Mosaica, l’approccio astorico all’attesa messianica e il rispetto rigoroso di tutte le pratiche religiose, sono di supporto all’attuale politica di Israele.

Gli ultraortodossi Haredim, “i tremanti di fronte a Dio”, esentati dal servizio militare fino a poco tempo fa, provenienti, in buona misura, dalla Lituania e dall’est Europa, hanno segnato lo spostamento “a destra” della politica israeliana e la sua crescente intolleranza. Da certi gruppi vengono ritenuti eretici gli stessi ebrei laici o di altre correnti religiose democratiche.

Così si arrivano a giustificare le uccisioni e i massacri a motivo della difesa del popolo ebraico, perché i “nemici vanno eliminati sino alle più giovani generazioni”. L’orrore percepito, vissuto e denunciato da parte delle popolazioni delle democrazie occidentali non scalfisce la logica devastante di un genocidio che mira alla eliminazione di un popolo di oltre 2 milioni di persone.

Il metodo ricorda la tragedia delle popolazioni cristiane di Turchia, soprattutto il genocidio degli armeni, ritenuti non affidabili nella loro fedeltà allo Stato ottomano prima, e dei Giovani Turchi poi. Il metodo dell’annientamento per fame, per marce forzate sino all’esaurimento di tutte le forze, o per rassegnazione alle violenze, ricalca le orme dei genocidi già avvenuti.

Le comunità ebraiche della diaspora balbettano ora qualche dissenso, ma per lo più tacciono e stanno a guardare. La dimensione prettamente religiosa, ebraica, dell’involuzione dello Stato di Israele ne ha fatto uno stato teocratico in competizione con altri Stati teocratici del Medioriente. La pace è ritenuta sconfitta religiosa, più che risultato della politica.

Manipolazione delle Scritture

Non si può ignorare il fatto che nella Bibbia – Torah e Antico Testamento – in alcune sue parti frutto di narrazione storica dell’epopea di un popolo – la violenza viene giustificata o incoraggiata da “Dio” stesso.

 Nei discorsi ufficiali in Israele si fa sempre più riferimento ai passi biblici in cui “Dio” ribadisce la difesa armata e in cui la vendetta è legittimata per il popolo di Israele. Il massacro diventa parte dell’opzione militare. Alcuni esempi: l’invito fatto a Giosuè di sterminare per vendetta il popolo degli Amaleciti (Es 17,8-16) – «E Giosuè sconfisse Amalek e la sua gente, passandoli a fil di spada»; il massacro di tremila ebrei a motivo della fusione del vitello d’oro (Es 32,27-29) di cui «”Dio” fu compiaciuto»; la consegna, da parte del “Signore Dio”, dei Cananei nelle mani di Israele perché fossero «votati allo sterminio» (Numeri 21,3).

Nel delirio della supposta legittimazione divina, ora Israele cede a massacri, violenze, negazione di umanità e di dignità per coloro che non appartengono al popolo: una lettura dei testi biblici a proprio uso e consumo, che volutamente ignora altre grandi parti della Torah, così come le parole di denuncia di Israele da parte dei profeti.

Il popolo ebraico ha indubbiamente subìto, specie da parte dei cristiani, nel corso della storia, molte ingiustizie e massacri, il cui culmine è costituito dalla Shoah. Ma ora la politica e la prassi dello Stato d’Israele stanno generando non tanto il ritorno all’antisemitismo del passato, quanto l’avversione alla sua stessa religione, oltre che la delegittimazione di questo Stato ebraico: autocratico sino all’estrema teocrazia violenta.

Tale memoria è destinata inevitabilmente a destrutturare la doverosa memoria delle sofferenze del popolo ebraico, che sarà ricordato, d’ora in poi, pure come compartecipe di crimini commessi contro l’umanità. La paventata deportazione di milioni di individui non può non richiamare alla memoria, la deportazione di Babilonia. Dopo le vittorie militari arrivano le sconfitte umane e la memoria svanisce nello sdegno e nella vergogna.

Il torcicollo dell’Europa

L’Europa di fronte alla tragedia del popolo gazawi e dei palestinesi della Cisgiordania, finge di essere dalla parte delle vittime mentre foraggia e rafforza il persecutore.

La facile accusa di antisemitismo nei confronti di chi condanna le usurpazioni e le violenze di Israele denotano una sottile forma di complicità, interessata.

Certo occorre contrastare, prevenire e punire le attività negazioniste della Shoah, ben presenti soprattutto nelle destre politiche europee, con violenze verbali e fisiche, nei confronti dei cittadini di appartenenza ebraica e dei loro luoghi di culto.

Ciò non toglie che la libertà e la coscienza democratica di milioni di persone debbano condannare e stigmatizzare i crimini contro l’umanità che lo Stato d’Israele sta commettendo su Gaza e in Cisgiordania. I segnali di uno stato teocratico, intollerante e violento ci sono tutti. Purtroppo.

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3 Commenti

  1. Maria Laura Innocenti 17 giugno 2025
  2. Maria Laura Innocenti 17 giugno 2025
  3. Christian 9 giugno 2025

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