
Un anno si chiude, un altro se ne apre. Staccato l’ultimo foglietto dal calendario a strappo, ci apprestiamo ad inaugurarne uno nuovo. Cosa ci aspetta nell’anno che verrà, cosa succederà nelle nostre vite, cosa accadrà nel mondo? Lo sguardo tenta la sfida dell’oltre – oltre i confini di oggi, oltre i limiti del tempo che ci è dato e che ci diamo, oltre le ansie e le paure per il domani. Si chiama speranza, e prende le forme dei nostri desideri e i colori dei piccoli grandi progetti che sostengono i nostri passi e le nostre scelte quotidiane.
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Non sempre è facile mantenere uno sguardo capace di speranza. Troppo accanimento attorno a noi, troppo vociare confuso e violento, troppa violenza se non nei gesti, nelle parole. Troppe parole sguaiate, sguainate come spade. Troppe contese, troppi contrasti. Polemiche e polemiche e ancora polemiche. Tutti a lanciarsi nell’agone di un polemos che indefinitamente si autoalimenta, tutti a cercare nella parola altrui la virgola sbagliata da brandire come un coltello insanguinato.
Non è facile tenere lo sguardo sul domani del mondo, quando il mondo è un affastellarsi di parole d’ordine che di continuo materializzano disordini e brutalità che annientano vita, bellezza e possibilità di futuro.
A che punto siamo della storia? A che punto è la notte? Quanto resta di questa notte che forse è appena iniziata, o forse sta finendo, chissà?
Torno a leggere Esiodo, quella manciata di versi della Teogonia in cui, alla fine del proemio, il poeta chiede alle Muse di narrargli «come dapprima nacquero gli dèi e la terra/ e i fiumi e l’infinito mare che con l’onda infuria/ e gli astri rilucenti e l’ampio cielo in alto». Alla richiesta di Esiodo, le Muse rispondono dipanando nel canto, ex archès, dal principio, la genesi degli dèi: dapprima Chaos, poi Gaia, poi Eros…
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Dapprima Chaos, l’apertura primigenia, lo spazio vuoto originario, lo spalancato nulla, il vacuo niente che precede l’ente e lo permette. Poi, dopo la vacuità di Caos, la solidità della Terra, ampia e materna, alta e profonda – Olimpo nevoso e Tartaro caliginoso. E poi Eros, il più bello degli dèi immortali, principio e premessa di ogni divenire.
Torno a leggere Esiodo e cerco di leggere il mondo – questo mondo sempre più vuoto di senso e di valori, sempre più lacunoso e inconsistente e caotico. Prima Chaos, e poi Gaia, e poi Eros…
Leggo la genesi in Esiodo, e poi ancora ritorno ai versetti iniziali della Bibbia, il Bereshit bara Elohim che apre Genesi: ἐν ἀρχῇ ἐποίησεν ὁ θεὸς τὸν οὐρανὸν καὶ τὴν γῆν. In principio fece Dio il cielo e la terra.
Lascio che le parole mi tocchino dentro – ἡ δὲ γῆ ἦν ἀόρατος καὶ ἀκατασκεύαστος καὶ σκότος ἐπάνω τῆς ἀβύσσου. La terra era invisibile e informe e c’era oscurità al di sopra, fin sul bordo, dell’abisso. La tentazione è fermarsi lì, sul bordo, dove tutto è skotos, tenebra e oscurità; la tentazione è cedere al buio che ricopre ogni cosa e non avere più occhi per scorgere il sorgere della luce.
A che punto è la notte, sentinella?
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Raccontarono le Muse ad Esiodo che da Caos nacquero Erebo tenebroso e la nera Notte, e che poi Notte, unitasi ad Erebo in amore, generò Etere luminoso e il Giorno. Il giorno nasce dalla notte, la luce dal buio. Prima fu sera, poi fu mattina.
Protesi su questo lembo di nulla, osiamo l’azzardo della speranza, sapendo che è proprio lì, sull’orlo dell’oscuro senza fondo, che può risuonare divino il fiat lux.
Inizia un nuovo anno. Mi sporgo sul bordo dell’anno che finisce e affino lo sguardo, a cercare e aspettare, ancora e sempre, la luce.
Questa notte non è più notte davanti a te: il buio come luce risplende.





