
Che cosa può fare la filosofia nell’epoca dell’intelligenza artificiale? Non è solo una domanda provocatoria, ma l’interrogativo che guida il libro di Adriano Fabris, La filosofia nell’epoca dell’intelligenza artificiale. Come ci aiuta a vivere in ambienti tecnologici (Carocci, 2025). Filosofo morale e da tempo attento osservatore del rapporto tra etica e digitale, Fabris propone una riflessione che non si limita a spiegare concetti o a descrivere scenari, ma cerca di offrire criteri di orientamento per la vita concreta.
Il punto di partenza è chiaro: viviamo in ambienti tecnologici sempre più pervasivi, e la nostra quotidianità si svolge in interazione costante con algoritmi, piattaforme e sistemi di intelligenza artificiale. In questo contesto, il rischio maggiore non è soltanto quello di affidare alle macchine compiti un tempo riservati agli esseri umani, ma soprattutto quello di perdere la capacità di distinguere, giudicare e scegliere in modo consapevole. È qui che, secondo Fabris, la filosofia si rivela indispensabile: non come esercizio astratto, ma come arte del discernimento.
Il volume affronta con chiarezza alcune questioni fondamentali. In primo luogo, Fabris invita a riflettere sul significato di parole che usiamo con troppa leggerezza, a partire da intelligenza. Che cosa distingue l’intelligenza umana da quella artificiale? E quali equivoci rischiamo di generare quando usiamo lo stesso termine per realtà così diverse? Non è un dettaglio linguistico, ma un nodo che tocca la nostra stessa identità.
Un secondo snodo è rappresentato dal celebre «gioco dell’imitazione» proposto da Alan Turing. Fabris mostra come, ancora oggi, gran parte del dibattito sull’IA ruoti intorno a quella prova, che riduce l’intelligenza alla capacità di imitare comportamenti. Ma l’umano è davvero riducibile all’imitazione? E che cosa accade a una società che valuta se stessa secondo parametri algoritmici, perdendo di vista la creatività, la libertà e la responsabilità?
Al centro del volume troviamo anche la questione della verità nell’epoca delle fake news. È un tema che risuona con forza non solo filosofica, ma anche teologica. Fabris mette in guardia dal rischio che la sovrabbondanza di dati e informazioni non produca maggiore chiarezza, ma piuttosto smarrimento e manipolazione. Qui emerge un richiamo che, pur non dichiarato, si accorda con la tradizione biblica e cristiana: la verità non è mai solo un fatto, né un possesso individuale, ma una relazione che libera e responsabilizza. «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32) resta un criterio che illumina anche la nostra epoca digitale, ricordandoci che senza la ricerca onesta della verità ogni società finisce per cedere alla manipolazione e alla violenza.
Il cuore del libro, tuttavia, è l’elaborazione di principi etici per orientare il rapporto con l’intelligenza artificiale. Fabris non propone un nuovo codice normativo, ma un atteggiamento di fondo: abitare le tecnologie senza subirle né idolatrarle. È un invito a discernere, a scegliere responsabilmente come e quando lasciarci aiutare dalle macchine, e a non rinunciare mai alla libertà umana. La filosofia, in questa prospettiva, diventa un esercizio di libertà interiore, che trova un’eco nella dimensione spirituale del discernimento cristiano: vigilanza, responsabilità, attenzione alla dignità dell’altro.
Lo stile del volume è sobrio, lineare, accessibile. È un testo che parla a un pubblico ampio: studenti, professionisti del digitale, decisori politici, ma anche lettori che desiderano comprendere il proprio posto in un mondo attraversato dall’IA. La brevità (160 pagine) ne favorisce la fruibilità senza sacrificare la profondità.
Certo, non è un’opera esaustiva. Alcuni temi, come le disuguaglianze economiche generate dall’automazione o le discussioni sulla coscienza artificiale, vengono trattati solo per cenni. Ma questa è una scelta precisa: il libro vuole essere una bussola, non un’enciclopedia.
Nel panorama attuale, dominato da slogan entusiastici o catastrofici sull’IA, la voce di Fabris si distingue per equilibrio e lucidità. Non si tratta di idolatrare né di temere le macchine, ma di comprendere come possano entrare in relazione con la nostra umanità.
La filosofia, suggerisce l’autore, è oggi più necessaria che mai, perché ci ricorda che il vero compito dell’uomo non è imitare, ma discernere, giudicare e scegliere il bene. È un compito che trova corrispondenza anche nella prospettiva teologica, laddove l’uomo è chiamato a custodire e orientare il creato con responsabilità, senza dimenticare che ogni progresso tecnico resta inscritto in una vocazione più grande: quella alla verità e alla giustizia.
La filosofia nell’epoca dell’intelligenza artificiale è dunque un testo prezioso, perché non si limita a denunciare o ad entusiasmare, ma invita a pensare, a valutare, a scegliere. È una lettura consigliata a chiunque desideri affrontare con serietà la sfida culturale ed etica dell’IA, senza dimenticare che, in ultima analisi, la dignità dell’uomo non è mai delegabile a una macchina.
- Pubblicato sul blog Trascendente Digitale, 6 novembre 2025





