
Solitudine non è stare da soli; anzi, un prete spesso ha fin troppa gente accanto, o tra i piedi.
Solitudine è non sapere a chi affidare quella tua cotta estiva, quella preoccupazione che non puoi rivelare dal pulpito, quel gran pasticcio che hai combinato stanotte, quel problema con una parrocchiana insistente, con un catechista invadente, con un confratello pettegolo o con il vescovo invidioso che ti tratta come una pedina.
Calpestando, per esigenze funzionali, i tuoi bisogni umani, relazionali, spirituali e psicologici. Quante vocazioni, usate ma ignorate nel profondo, appassiscono così! Non è forse pure questo “cultura dello scarto”?
Solitudine è dover essere sempre a disposizione, altrimenti la gente pensa male. E lo fa comunque, anche quando effettivamente sei a disposizione.
Solitudine è dover tenere per te le cose, reprimere rabbia e frustrazione, rispondere sempre “tutto bene, grazie”, perché non puoi permetterti di dire che stai male senza che qualche impiccione indaghi sulla tua vita, o si precipitino a salvarti schiere di divote crocerossine.
Solitudine è essere – dover essere, agli occhi degli altri – innanzitutto un ruolo, quello del clero: e quel ministero che ti rende una persona separata.
Questo vale per tutti: non abbiamo bisogno di persone che ci chiedano superficialmente come stiamo, ma di persone che ci sembrino sufficientemente capaci di accogliere, senza giudicare né scandalizzarsi, qualsiasi risposta potremmo dare.






La solitudine del prete? Perché isoliamo così il problema… gli altri non sono soli…. perfino gli sposati, uomini e donne? C’è una solitudine esistenziale a cui dovremmo educare, aiutando a trasformarla in risorsa, dono, possibilità non solo il prete, quanti giovani sono soli!!!!! Quanto limitante è far credere che il matrimonio risolva… abbiamo bisogno di relazioni significative di tanti tipi, e come cristiani di poter camminare con altri…
Bah… questa lettera è per tutti quei preti che non sono integrati come persone .. e integrati intendo dal punto di vista umano, psicologico, spirituale… un prete “sano”, un uomo sano, integro in tutte le sue parti vive tutto quello che è descritto nella lettera senza chissà quali patemi o frustrazioni… il
Dramma è che spesso la formazione del futuro prete non è preoccupata o non è efficace nel realizzare questo cammino di integrazione… che è in divenire per tutta la vita…
La solitudine del prete è insita nella sua vocazione e scelta di vita, condizione che però non ti fa sconti sulla tua umanità a tutto tondo … Il problema è di non costruirti una doppia vita, una pubblica e l’altra privata dove tutto è lecito e permesso … Nonostante tutto sarà importante mantenere una coerenza con se stesso, con ciò in cui credi e annunci …
La solitudine di un prete innamorato che non trova pace e della sua amata che non può parlarne con nessuno e deve soccombere, sperare che un giorno lui continui ad amare Dio e decida di fare verità attraverso lei.
Quanta solitudine per entrambi, per non deludere le aspettative di nessuno, per non scontrarsi con un sistema obsoleto.
Caro amato mio, continuiamo a pregare
Solitudine è la contropartita obbligata di una posizione (accettata) di potere, che nel caso del prete è canonicamente assoggettato ad altro potere. Nessuna reciprocità, quella che invece è solo possibile in una posizione di servizio: una mano lava l’altra.
Sono perplesso: “solitudine é”… non cercare nel rapporto con Dio l’orientamento, nella direzione spirituale il discernimento, nella fraternità presbiterale il confronto, nelle amicizie vere il sostegno. Se poi la “solitudine” un prete la subisce al di là e a causa del proprio stato di vita, beh allora il problema mi pare un pelino più radicale e con l’Ordine sacro forse ha poco a che fare. Per carità, non vorrei passare per un “giudice da tastiera”, ma cedere a un facile sentimentalismo probabilmente potrebbe confondere più che illuminare!
Tolta l’esagerazione iniziale sulla cotta estiva – in fin dei conti i preti di tutte le stagioni hanno indossato veste e cotta -, l’esposizione riguardo la solitudine del prete mi sembra proprio azzeccata. Chissà che qualche vescovo diocesano, qualche superiore ecclesiastico, anche emerito, o qualche fedele laico non possa trovarvi uno stimolo per un esame di coscienza e una conversione tardiva.
Sono d’accordo con te su tutto, eccetto sulla posizione del “fedele laico”. Mi chiedo e chiedo anche a te: cosa posso fare io da laica o cosa può fare ogni altro laico o laica per non far sentire “solo” un prete, oltre a volergli bene?
La solitudine che parola che evoca molte cose e per un prete dovrebbe essere quasi la normalità ma i preti non sono super uomini è vero si mettono a disposizione degli altri ma come tutti hanno le loro pulsioni si innamorano e sono in qualche caso anche loro amati dopo tutto la chiesa riconosce l’amore come Dio e quindi nessun giudizio lasciamo che l’amore trionfi sempre.
Esatto la penso.anch’io cosi… una volta ora non ricordo a quale epoca i sacerdoti si sposavano. Penso non ci sia niente di male… nei comandamenti non ve scritto, sono regole che ha fatto la chiesa e penso centri l’eredità. E le offerte dei fedeli
La solitudine è la controtestimonianza della comunità specialmente per un presbitero. Prendere le distanze dalla Chiesa neotestamentaria è stato deleterio ed ora la “Parola non può essere incatenata” si prende la sua rivincita. La comunità è la carta d’identità del cristianesimo per cui, se si vuole la riforma della Chiesa, questa deve essere rivolta prima di tutto a rivedere una forma che porti la Chiesa a passare dalla comunità dottrinale alla comunità di vita, e riportare al centro soprattutto per i candidati al presbiterato; ne va’ della credibilità testimoniale.
Solitudine e non essere riconosciuto come persona pensante dall’autorità. Solo sei ubbidiente sei un bravo prete. È questa la valorizzazione umana e spirituale che serve per evitare la solitudine. Diversamente cerchi altre vie che possono portarti a scoprire il diverso da te, l’altro/a che portano anche a nuova vita di sentimenti vissuti e mai provati perché hai sempre sopra naturalizzato. Bisogna scendere dal piedistallo e mescolarsi, diversamente sarai sempre analizzato.