
Nei giorni scorsi – in vista della terza assemblea nazionale (cf. qui su SettimanaNews) – è stato diffuso il documento di sintesi del Cammino sinodale italiano «Lievito di pace e di speranza», frutto di un percorso travagliato e non privo di eclatanti sorprese.
Sappiamo bene, infatti, come la vera innovazione introdotta dal Cammino sinodale risiede proprio nell’aver creduto e adottato un metodo sinodale: una esperienza di partecipazione che ha inteso coinvolgere capillarmente il territorio e tutte le componenti del popolo di Dio; un cammino condiviso che ha permesso di delineare un quadro ricco, articolato e profondamente realistico della Chiesa ita-liana attuale.
Il documento di sintesi rappresenta e offre una ricca mappa di una Chiesa, quella italiana, faticosamente (più che felicemente) in cammino. Un complesso sistema ecclesiale consapevole delle sfide del presente e desideroso di affrontarle con il Vangelo come bussola.
La sinodalità cambia l’entropia del sistema ecclesiale
Per provare a cogliere non solo i punti chiave del documento ma, soprattutto, il suo potenziale impatto, vorrei utilizzare una analogia con quanto accade nei sistemi fisici. Immaginiamo di fare un piccolo simpatico esperimento: prendiamo un bel bicchiere alto riempito per metà di caffè, in cui mettiamo delicatamente della panna sopra al caffè. Quindi, in un secondo momento, di mescolarli insieme con un cucchiaino.
All’inizio il sistema è a bassa entropia. L’entropia è una misura del grado di disordine o casualità di un sistema e tende ad aumentare nel tempo. Essa indica la tendenza naturale di un sistema di passare da uno stato ordinato a uno disordinato. Nella prima situazione, come si può notare, caffè e panna pur essendo a contatto, convivono l’una sopra l’altro, distinguendosi abbastanza chiaramente: vi sono, in altre parole, relativamente pochi modi per riorganizzare gli atomi nella panna e nel caffè senza modificare il loro aspetto macroscopico.
Un sistema con molte modalità di riorganizzazione senza apparenti variazioni macroscopiche ha alta entropia; uno con poche modalità, bassa entropia.
In questo caso, il sistema è, pertanto, a bassa entropia, ovvero ordinato e con poche occasioni di aumentare il «disordine». Ma se, agitando il tutto con un cucchiaino, cominciamo a scambiare la panna con il caffè, il nostro bicchiere assume un diverso aspetto (seconda situazione). Alla fine, tutto è mescolato insieme e l’entropia è relativamente alta: potremmo scambiare qualsiasi punto della miscela con qualsiasi altro punto e il sistema resterebbe essenzialmente invariato. L’entropia è aumentata nel corso del processo proprio come ci aspettiamo in base al secondo principio della termodinamica.
L’aumento dell’entropia non è necessariamente contrario all’aumento della complessità: all’inizio, quando la panna galleggia sopra il caffè, il sistema è semplice, a bassa entropia e bassa complessità. Dopo aver mescolato, nella terza situazione, tutto appare di nuovo uniforme e semplice, ma ad alta entropia. È nella fase intermedia, quando panna e caffè si intrecciano in filamenti intricati, che il sistema appare complesso. Dunque, la complessità cresce tra la bassa e l’alta entropia, per poi di-minuire.
Giri di cucchiaino
L’analogia con il sistema ecclesiale e la sua organizzazione pastorale appare, ci auguriamo, abbastanza evidente: veniamo da una situazione in cui il «mondo ecclesiale» era pensato e proposto in modo semplice e ben distinto tra le sue parti e rispetto al «mondo», un sistema ecclesiale a bassa entropia, che si sforzava di rimanere tale. Oggi ci troviamo nella fase intermedia, caratterizzata da complessità e trasformazione, e sarebbe vano tentare di mantenere le cose come in precedenza, quando le realtà erano distinte e separate.
Ma con quale «cucchiaino» è stato innescato e alimentato il rimescolamento?
Un primo decisivo intervento è stato il Concilio Vaticano II, ormai sessant’anni fa. Il «cucchiaino conciliare», prendendo atto dei segni dei tempi avviò una rilettura del rapporto Chiesa-mondo e dei rapporti interni tra le componenti del popolo di Dio. Il processo innescato da quell’evento è un punto di non ritorno: l’entropia del sistema ecclesiale prese ad aumentare, così come la complessità: basti pensare alle sfide dell’evangelizzazione ed alle tensioni che abitano le nostre realtà cristiane.
Come fa notare Diotallevi, esperto sociologo della religione, «anche se il cammino avviato dal Vaticano secondo dovesse subire una sconfitta, non si tornerebbe semplicemente alla chiesa preconciliare. Essa è comunque finita e manca ogni condizione interna ed esterna per ricostruirla» (La chiesa si è rotta. Frammenti e spiragli in un tempo di crisi e opportunità, Rubbettino, 2025).
Il secondo, decisivo rimescolamento lo ha dato il recente giro di cucchiaino sinodale, avviato nel 2023, di cui il documento di sintesi «Lievito di pace e di speranza» è l’esito più recente: non un sinodo qualsiasi ma un «Sinodo sulla sinodalità», che porta decisamente verso la terza situazione, ovvero a un cambiamento del sistema ecclesiale caratterizzato sia da una alta entropia che da una relativa bassa complessità.
Curare le piaghe
Non ci interessa in questa sede proporre una recensione del documento. Piuttosto, vorremmo rimarcare come esso si inserisce ed esprime un ulteriore punto di non ritorno nella rivisitazione del sistema ecclesiale italiano.
La terza parte del testo è, da questo punto di vista, forse la più interessante: si concentra sull’organizzazione della vita ecclesiale e sulla corresponsabilità nella guida delle comunità, suggerendo di ripensare il volto e la forma delle parrocchie affinché diventino realtà più missionarie e accoglienti. Essa sollecita inoltre a valorizzare gli organismi di partecipazione e a promuovere stili di guida maggiormente collegiali e meno clericali.
Le questioni sollevate dal Documento sono strategicamente aperte e decisive: non si tratta solo di valutare il lavoro svolto, ma di interrogarsi sul futuro della Chiesa italiana e sulla sua capacità di rispondere alle attese del nostro tempo. Le risposte dipenderanno dal modo in cui le comunità sapranno continuare a vivere uno stile sinodale, fatto di scelte pastorali profetiche, decisioni condivise e percorsi di rinnovamento. Una indiretta ma chiara risposta, forse, alla domanda «per chi è e – prima ancora – di chi è il cammino sinodale? È affare dell’apparato ecclesiastico (rimpolpato di ‘opera-tori pastorali’) o è affare dell’intero popolo di Dio che cammina in questo tempo in questa sto-ria?» (Diotallevi, ibidem).
Nelle raccomandazioni il documento mette il dito nelle principali «piaghe» che affliggono il corpo ecclesiale e l’azione pastorale, tra cui emergono:
- la riflessione sulle strutture diocesane e sul loro necessario rinnovamento, rivedendo l’organizzazione delle curie diocesane nell’ottica di una pastorale più unitaria e integrata, essenzializzando e razionalizzando i Servizi e gli Uffici pastorali,
- il richiamo a che i Servizi e gli Uffici pastorali e amministrativi garantiscano la dimensione spirituale del lavoro comune e maturino un orizzonte condiviso con momenti di conversazione e discernimento nello Spirito;
- la riarticolazione delle parrocchie o unità pastorali in «comunità di comunità», piccole comunità vicine alla vita delle persone, tra loro coordinate, che favoriscano esperienze evangeliche di comunione e di servizio;
- una presenza più significativa delle donne nei processi decisionali e nei ministeri;
- la particolare attenzione alla formazione dei ministri ordinati, dato il loro costitutivo apporto al-la vita sinodale e missionaria delle comunità, che dovrà esprimersi già dall’accoglienza di un giovane in Seminario;
- l’offerta di percorsi di formazione permanente alla corresponsabilità ministeriale, pensati da équipe formative competenti allargate a laici e laiche, per far maturare competenze nel lavoro in gruppo, nell’esercizio dell’autorità e del potere in una logica di servizio, nella gestione dei conflitti, nella cura delle relazioni;
- un’animazione più sinodale delle comunità, costituendo «gruppi o équipe ministeriali» (diaconi, laiche e laici, sposi, consacrate e consacrati) o «animatori di comunità» che, collaborando con il parroco, curino l’animazione pastorale e liturgica delle comunità più piccole una gestione trasparente e solidale dei beni ecclesiastici come elementi fondamentali della credibilità ecclesiale;
- l’urgenza di rinnovare le proposte per l’Iniziazione cristiana di bambini e ragazzi, superando quanto oggi appare segnato da linguaggi e modalità obsolete.
Tutti aspetti – ci si permetta l’affondo – sui quali il Centro Studi Missione Emmaus, pur nella sua minuscola realtà, ha anticipato i tempi, accompagnando numerosi interlocutori ecclesiali (curie e clero diocesani, congregazioni e istituti religiosi, assemblee sinodali, Caritas, consigli pastorali e uffici) con un crescendo di richieste, a conferma di quanto sia avvertita l’esigenza di nuovi approcci pastorali.
Le sfide del cammino futuro
Il futuro della sinodalità si configura, come si può immaginare, quale attività complessa, onerosa e rischiosa, che implica la necessità di confrontarsi con imprecisioni, contraddizioni e difficoltà tipiche di un aumento del «disordine libero e creativo» nel sistema ecclesiale, processo che chiede attenzione e capacità di guida e modalità di gestione condivise. Occorre operare al riguardo opportune azioni di discernimento rispetto ai diversi livelli operativi nel processo di partecipazione comunitaria:
- Burocratico: l’attività viene eseguita per dovere, senza apportare elementi di innovazione o manifestare particolare coinvolgimento, limitandosi alla raccolta di dati e prevedendo il coinvolgimento della comunità esclusivamente tramite figure istituzionali e in occasioni consultive.
- Utilitaristico: secondo questa prospettiva maggiormente proattiva, la collaborazione con la comunità è considerata principalmente uno strumento per ottimizzare l’efficienza dei servizi, senza tuttavia attribuire rilevanza all’ascolto autentico o al coinvolgimento attivo.
- Idealizzante: qui la partecipazione viene riconosciuta come valore teorico, senza tuttavia affrontare in modo concreto le eventuali criticità e complessità: si adottano metodologie partecipative innovative, confidando che la sola loro applicazione sia sufficiente a conseguire i risultati sperati, ma incontrando difficoltà nella traduzione delle proposte in azioni efficaci.
- Accompagnamento innovativo: è la posizione più evoluta, in cui si valorizzano le tensioni dei soggetti coinvolti e si promuove la gestione costruttiva delle differenze e dei conflitti, al fine di generare risultati concreti e progressi significativi nel contesto di riferimento.
È importante sottolineare che queste quattro logiche rappresentano tipologie astratte: nella realtà concreta, si presentano spesso in modo combinato e sfumato. Tuttavia, mantenere consapevolezza di questi gradienti aiuta a orientarsi nei processi di partecipazione e rinnovamento comunitario.
Il coraggio di pensare, la volontà di fare
Questo esito del Cammino sinodale sarà capace di avviare un processo di reale rinnovamento?
Nella meditazione introduttiva all’Assemblea (Atti 15,22-31), Sabino Chialà, priore di Bose, ha ricordato come il coraggio di pensare sia fondamentale nella e per la Chiesa. Gli anziani di Gerusalemme e i fratelli, di fronte alle novità, non si fanno paralizzare dalla paura, ma si radunano, riflettono e pensano insieme. Oggi la Chiesa italiana ha anch’essa un urgente bisogno di non temere il pensiero critico e la riflessione comunitaria.
Il successo del Cammino sinodale, e la sua capacità di avviare un reale processo di rinnovamento della fede, dipenderanno molto dalle parole che saranno pronunciate. Ma ancor più dai gesti e dai segni che le accompagneranno: se i semi contenuti nel documento saranno sostenuti e alimentati da voci coraggiose di credenti, il rinnovamento potrà diventare realtà e non rimanere lettera morta.
Coloro che hanno preso parte al sinodo saranno realmente disposti e capaci di mettere in pratica quanto proposto e deliberato? Sapranno affrontare la sfida della concretezza quotidiana traducendo in azioni ciò che lo Spirito ha suggerito?
Senza dimenticare che la responsabilità di avviare questi processi rimane nelle mani dei Vescovi, i quali continuano a detenere il potere decisionale: una responsabilità grande, in cui il rischio di perde-re la loro credibilità è alto, considerando che «chi pone mano all’aratro e poi si volta non è adatto per il regno di Dio».
L’entropia del sistema ecclesiale è definitivamente cambiata.
Roberto Mauri è membro del Centro Studi Missione Emmaus. L’articolo qui ripreso è stato pubblicato sul blog del Centro Studi lo scorso 31 ottobre 2025






Mi sembra assai prematuro definire fallimentare l’esperienza di questo sinodo, e non di può fare a meno di ritenerlo un tentativo di spengere quanto è in fieri. In questo articolo mi sono sembrati molto interessanti sia l’immagine dell’entropia, che è la descrizione di una dinamica, e, a differenza di quanto avviene nel processo chimico-fisico nel nostro caso non si finalizza a una morte omeostatica allorché giunta alla definizione tombalmente “pacifica” di un novo stato di fatto (a beneficio di che di chi?) ma piuttosto mantenersi in una condizione interattiva di reciproca interattiva, nonché continuativa mescolazione dei suoi elementi. Tale focalizzazione prospettica pare attraente, benché anch’essa sul piano astratto. Per quello che riguarda la tipizzazione dei quattro atteggiamenti già ora possibili quanto reali, mi pare che, anche se l’accompagnamento è la realizzazione forse più personalizzata e positiva di una visione idealizzata, essa nel propri accesso all’ innovazione corra il rischio di portare con sé la traccia dell’antica abituale influenza pedagogica lasciata dall’autorità / prestigio edificante da parte della figura del “precettore” di moderna memoria. Niente di meglio che affrontare insieme un cammino, quanto dico si riferisce alle numerose notazioni che a margine delle prime risultanze sinodali parlano di attaccamenti troppo tenaci a moduli da sorpassare e classiche resistenze al nuovo che cerca di nascere
Secondo me l’articolo legge l’entropia come una forma di quiete, mentre di fatto l’entropia è il massimo del disordine raggiunto. Esempio classico: il bicchiere che cade per terra e va in mille pezzi. Per riaggiustarlo (cioè per contrastare l’entropia) serve molta energia, prendere i pezzi, fonderli di nuovo, dare nuova forma. Non a caso la seconda legge della termodinamica è associata alla freccia del tempo. E’ praticamente impossibile che un bicchiere frantumato ritorni integro da solo. Da qui l’idea che il tempo scorra sempre in una sola direzione. (poi ci sono anche altre teorie, ma non è questo il punto.)
E l’energia non è gratuita, rilascia a sua volta altra entropia (sotto forma di scarto) ecc. Quindi il sinodo ok, ma serve impegnarsi per metterlo in pratica, non aspettarsi che cada qualche novità (di che tipo poi? come se in duemila anni non ci fossero già state situazioni simili a quella attuale) dal cielo..
Sotto un ponte non scorre mai la stessa acqua e sessant’anni di distanza (come tra l’ ultimo concilio ecumenico e questo sinodo, vedi) non sono pochi. Già poter rifare il punto come facciamo in questo momento coglie – o registra – nei segni del tempo la messa in atto di un cambiamento.
Vero, e rispetto a questo cambiamento il Concilio rimane una bussola, che indica la direzione verso cui muoverci. In un mondo che nel frattempo è cambiato.
https://www.avvenire.it/idee-e-commenti/da-newman-a-leone-una-luce-gentile-come-guida_100503
Ci sono molte metafore che possiamo utilizzare: mappe, costellazioni. Anche legate al giardino: seme, cura, raccolto..Tutto questo richiede una forma di impegno, che tanto più è condiviso tanto più è proficuo. Alla fine questo è sinodalità, percorrere una strada in comune..
L’ impressione dei parrocchiani è stata dapprima positiva, poi gradatamente neutra, infine abbastanza negativa o, ancora peggio, indifferente. Nessuno parla del sinodo. Anche negli incontri diocesani e foranei del clero nessuno ne parla se non per le sole indicazioni tecniche venute da Roma per il prosieguo dell’ esperienza. Nessun sacerdote e diacono è stato preparato all’ evento sinodale, sia in seminario che nell’ imminenza del Sinodo. In sostanza si è avuta l’ impressione di una calata voluta dall’ alto…🤔😕
Ci vogliono équipe sinodali in una prospettiva inclusiva capace di andare verso le periferie spogliandosi di qualsiasi pretesa autoritaria e ponendosi in ascolto delle istanze che solo una comunità in uscita può recepire valorizzando le diversità di orientamenti in un’ottica di parità e apertura scevra da ogni forma residuale di patriarcato e capace di una visione non gerarchica o piramidale ma circolare e accogliente. Capito?
Un fallimento esaltato come l’alba di un mondo nuovo. Peccato che la Cei spinga probabilmente dietro pressioni di vescovi che spingono. Ideologia sessantottina ai massimi vertici. Preghiamo Maria e adoriamo il Ss.Sacramento. questo è fondamentale. Nella Chiesa oggi c’è chi fa il Sinodo e chi fa il cristianesimo. Sono due cose ben diverse. La revolucion no pasarà. W Cristo Re
Piano con i sessantottini: alcuni ne sono usciti
Di quanti specchi abbiamo ancora bisogno per arrampicarcici sopra? Il sinodo è stato un verboso, costoso e inconcludente baraccone: ora che l’assalto alla diligenza è fallito, si vive di vaghe prospettive future, recriminazioni, bilanci moralistici che accusino chissà quali colpevoli per le mancate rivoluzioni. Si è voluto costruire una torre senza i mattoni: ora, alla stanchezza dei nostri parroci si unisce la delusione di destra (“quel che c’è di buono nella sinodalità c’era anche prima del magico slogan”) e di sinistra (“ma la chiesa sinodale non doveva essere un rinnovamento radicale?”).
Non ho ben capito il collegamento con l’entropia. Entropia indica disordine e per contenere il disordine serve molta energia, tanto più che potremmo facilmente sostenere che il massimo di entropia corrisponde alla morte termica.
Il problema di fondo è trovare energie per far si che l’entropia ecclesiale non aumenti in modo irreversibile secondo me, (con ogni cristiano che si allontana sempre di più da un centro aggregatore..)
Per mantenere bassa l’entropia serve energia, sulla Terra ad esempio l’entropia si mantiene ad un livello accettabile perchè riceve energia a basso costo dal Sole. Noi da dove prendiamo questa energia?
Dallo Spirito Santo
Certo, in termini di fede. In termini puramente umani rimane che per resistere all’aumento dell’entropia serve molto impegno. E penso che di base sia quello che chiede la Chiesa ai fedeli, al netto delle dispute tra attivisti assortiti: impegnatevi se non volete che tutto finisca in rovina..
E’ una richiesta più che una concessione..
Una esperienza di partecipazione che ha inteso coinvolgere capillarmente il territorio e tutte le componenti del popolo di Dio; un cammino condiviso che ha permesso di delineare un quadro ricco,
Capillarmente? Non è affatto vero!