Cammino sinodale: la svolta buona

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Sabato 25 ottobre, nella cornice del Giubileo delle equipe sinodali e degli organismi di partecipazione, si è tenuta a Roma la Terza e imprevista Assemblea nazionale del Cammino sinodale delle Chiese in Italia. Imprevista perché per chiudere i quattro anni del Cammino è stato necessario allungare i tempi, riscrivere il Documento di sintesi e sottoporlo al voto, dopo che i delegati alla Seconda Assemblea nazionale (31 marzo-4 aprile) avevano giudicato inadeguato il testo delle Proposizioni presentato come sintesi del percorso e proposto centinaia di emendamenti.

La Presidenza della CEI lo aveva allora ritirato. Un passaggio faticoso rivelatosi però una preziosa esperienza ecclesiale, che fa ben sperare a proposito dell’auspicata conversione sinodale e missionaria. Lo ha ricordato il presidente del Comitato nazionale, mons. Erio Castellucci, aprendo i lavori dell’Assemblea: «Il testo che ora votiamo è il risultato di questi quattro anni. È, in particolare, il risultato del passaggio dalla seconda alla terza Assemblea, un passaggio che non era previsto. (…) La seconda Assemblea, che quasi tutti noi abbiamo vissuto con iniziale smarrimento ma finale consenso, ha chiesto alle nostre Chiese e alla CEI un momento di sosta e ulteriore riflessione, per non perdere la ricchezza del Cammino compiuto fino a quel punto. (…) Non è stato un passo indietro, quell’Assemblea, ma un passo in avanti: verso una maggiore corresponsabilità, nella libertà di potersi esprimere anche in dissenso. È stato un rinvio coraggioso, nel quale tutti abbiamo letto la voce dello Spirito».

Rimane la domanda su come si sia arrivati alla prima sintesi, quella delle Proposizioni. Mons. Castellucci ha preso su di sé la responsabilità di quel documento, prodotto in fretta e senza il coinvolgimento del Comitato nazionale, il quale aveva ricevuto il testo finale soltanto pochi giorni prima dell’assemblea e lo aveva fortemente criticato in un incontro online dai toni decisamente accesi. Tornando sul tema, in apertura dell’Assemblea, il vescovo di Modena ha nuovamente escluso la «malafede» di qualcuno: non si è trattato di un tentativo di normalizzare dall’alto il Cammino, ma è stata piuttosto «la fretta di decidere» ad avere «condizionato la preparazione delle Proposizioni, che non sono state riconosciute adeguate a esprimere il percorso fatto». Respingendo così alcuni giudizi che erano trapelati nello scontento generale dei delegati, suscitato anche dalla pubblicazione tardiva del testo.

Allora (3 aprile), il blog Silere non possum aveva avanzato una sua ricostruzione dei fatti.

Il voto sul nuovo Documento

La riscrittura del Documento di sintesi ha richiesto tempo, energie e pazienza. Ha coinvolto stavolta tutto il Comitato nazionale e ha impegnato per qualche mese i gruppi di redazione (per le diverse parti del documento) in uno scambio prolungato con la Presidenza, tra proposte ed emendamenti. Ne è risultata una formulazione più ampia, molto pensata e pesata nelle parole, in parte ancora prigioniera di una certa retorica, ma capace di custodire la novità emersa lungo il cammino, così da renderla riconoscibile ai delegati che sono stati chiamati ad approvarlo.

Un «inventario di esuberante complessità», lo ha definito il teologo Pierangelo Sequeri (su Avvenire, 25 ottobre), frutto di un lavoro volutamente polarizzato sull’ascolto, che «enuncia un repertorio di temi» da sviscerare, ma «non è ancora la formulazione di un itinerario». Questo si definirà nei prossimi anni, attraverso – come suggerisce Sequeri – «la pazienza del pensiero» (l’intelligenza della fede, compito della teologia) e l’affinamento di prassi che dovranno dare corpo a una «corresponsabilità differenziata», ma effettiva, dentro la vita delle comunità. «Non credo che un Documento sulla sinodalità, giustamente polarizzato sull’ascolto, possa andare più avanti di così. Il tempo è così venuto per la pazienza del pensiero, che si salda con la spregiudicatezza dell’ascolto. Si tratta ora di sapere se per la Chiesa è venuto il tempo di questa pazienza del pensiero, che deve offrire alla necessaria spregiudicatezza dell’ascolto il solco lungo il quale è saggio seminare e necessario far lievitare» (Sequeri).

Il Documento di sintesi è stato votato nel suo insieme, nelle sue parti e in tutte e singole le proposte formulate nei 75 punti. Ha ricevuto alla fine un consenso molto ampio da parte di una variegata Assemblea, composta di vescovi, preti, consacrati e consacrate, e laici e laiche provenienti da tutte le diocesi italiane. Sul testo complessivo si sono registrati alla fine 781 voti favorevoli su 809 votanti (che all’inizio della giornata erano quasi 900).

Vi sono state alcune tematiche che hanno registrato un numero più alto di voti «non favorevoli» (intorno al 20% dei votanti). Tra queste, due proposte legate alla pastorale inclusiva per persone omoaffettive (30[c] e [d]), due relative alla corresponsabilità delle donne, compresa la proposta di studiare la possibilità del diaconato femminile (71[b] e [c]), e tre relative alla ministerialità laicale, in particolare l’ipotesi di remunerare «persone impegnate regolarmente in un ministero ecclesiale, in ragione della propria competenza» (punto 72[d]), la proposta di richiedere la creazione in Italia del «ministero istituito della cura, dell’ascolto, dell’accompagnamento» (punto 72[b]) e la promozione di «forme ministeriali per l’animazione e il dialogo con il territorio» (punto 72[c]).

Sul tema degli abusi in ambito ecclesiale (punto 32) le proposte non contenevano novità rilevanti rispetto al quadro esistente, se non forse l’invito alle Chiese locali a collaborare «con istituzioni e società civile per il sostegno delle vittime e dei familiari e per assicurare il corretto svolgimento di ogni fase dell’accertamento della verità dei fatti» (32[c]). Sintomi di «territori» pastorali che ancora chiedono tempo, esplorazione e cura nella formulazione delle proposte operative. Ma «territori» non più evitabili. Tenendo conto che tutte le singole proposte hanno ricevuto un consenso superiore al 75%. Segno evidente di un’accettazione complessiva del Documento.

Verso gli Orientamenti pastorali

Il testo licenziato viene ora consegnato al discernimento dei vescovi italiani. Spetta a loro, nell’esercizio della loro peculiare responsabilità pastorale, individuare le priorità e formulare le linee operative per avviare la fase attuativa nelle diocesi (2026-2030). Quanto ai tempi, le assemblee della CEI saranno due e il documento attuativo (Orientamenti pastorali) sarà approvato nella seconda, prevista per il prossimo mese di maggio 2026.

Lo ha ricordato il card. Matteo Zuppi, presidente della CEI, chiudendo i lavori dell’Assemblea: «Una volta che questa Assemblea sinodale ha congedato il testo con il suo voto, è ora compito dei Pastori assumere tutto, individuare priorità, coinvolgere forze vecchie e nuove per dare corpo alle parole. Se il Cammino sinodale oggi è terminato, ci accompagnerà lo stile sinodale che ci spinge a realizzare nel tempo – consapevoli delle urgenze – quello che abbiamo intuito, discusso, messo per iscritto e infine votato». E con le parole del papa ha incoraggiato a entrare nella fase attuativa: «Guardate al domani con serenità e non abbiate timore di scelte coraggiose!».

Due osservazioni conclusive. Anzitutto, l’errore grave di prospettiva che ancora una volta i grandi media nazionali hanno commesso nel tentativo di interpretare l’evento riducendolo a qualche elemento particolare (omoaffettività, diaconato femminile, abusi…). «Chiesa italiana al voto su gay, donne, ruolo dei laici, abusi» (Repubblica, 24 ottobre); «La richiesta del sinodo italiano: “I vescovi sostengano manifestazioni contro l’omofobia”» (Repubblica, 25 ottobre); «Il Sinodo: la CEI sostenga gli eventi anti omofobia e violenza di genere» (Corriere, 25 ottobre) … La «svolta buona» del Cammino sinodale, invece, è l’immagine complessiva di una riforma che il processo sta delineando e che – nel suo insieme – disegna il quadro promettente di un ripensamento delle Chiese che avanza con sorprendente tenacia, sfidando scetticismo, sfiducia e resistenze. Toccherà ora alle Chiese locali e alle rispettive istanze di partecipazione liberare creativamente la novità e dare corpo alle richieste e avviare la conversione degli stili.

Il secondo elemento potrebbe essere una sottovalutazione – da parte delle Chiese – del valore di «profezia sociale», o anche di «profezia politica», del cammino sinodale dentro il contesto della crisi delle nostre democrazie liberali. Se il metodo e il lavoro di paziente ascolto e discernimento portato avanti in questi anni – senza dubbio da migliorare e da consolidare – rimanesse soltanto un modo di occuparci delle «questioni di casa» (intra ecclesiali) e non ne cogliessimo le potenzialità di positiva ricaduta sociale e politica, rischieremmo davvero di sprecare un patrimonio che – in obbedienza al Concilio – le Chiese stanno coltivando (con pazienza) per il bene di tutti.

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9 Commenti

  1. Emiliano 8 novembre 2025
  2. Kerigma 6 novembre 2025
  3. Maria Cristina 5 novembre 2025
  4. Giuseppina 5 novembre 2025
  5. Giovanni Di Simone 5 novembre 2025
  6. Non credente 5 novembre 2025
    • 68ina felice 5 novembre 2025
    • Giuseppina 5 novembre 2025
  7. Giuseppina 4 novembre 2025

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