La memoria del passato e gli orrori del presente

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alice weidel

Tino Chrupalla e Alice Weidel a una convention della AfD, 11 gennaio 2025 (Sebastian Kahnert/dpa via AP)

Il giorno della memoria – celebrato in tutto il mondo il 27 gennaio, giorno della liberazione di Auschwitz – è stato istituito nel 2005 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per non dimenticare le vittime dell’Olocausto e per ammonire l’umanità sul pericolo sempre presente che quegli orrori possano ripetersi.

«Mai più!» è lo slogan che da allora risuona in questa ricorrenza. Oggi, a vent’anni di distanza, dobbiamo constatare che, mentre la prima di queste due finalità si è realizzata anche quest’anno, la seconda no.

Tristemente emblematico, a conferma di ciò, il fatto che in Germania, il 29 gennaio – solo due giorni dopo la solenne commemorazione delle atrocità commesse durante il regime nazista –, Friedrich Merz, il leader della CDU, il maggiore partito tedesco (e probabile prossimo cancelliere), non ha esitato ad allearsi con Alternative für Deutchland (AfD), la forza politica che più direttamente ha raccolto l’eredità di quel regime.

È la prima volta nella storia e la scelta di Merz rompe un tabù che i partiti democratici tedeschi avevano sempre rispettato, sdoganando così AfD, da sempre accusata di essere neo-nazista. A determinare la convergenza è stato il comune intento di far passare un provvedimento che restringe drasticamente il diritto di asilo ai migranti.

L’estrema destra filo-israeliana

Ormai da tempo l’estrema destra tedesca, concentrandosi sull’islamofobia, ha accantonato il tradizionale antisemitismo, anzi ha addirittura dato il suo appoggio allo Stato d’Israele nel suo scontro col mondo islamico per la questione palestinese.

Al punto che nel 2020 Yair Netanyahu, figlio maggiore dell’attuale primo ministro israeliano Benjamin, è diventato letteralmente il «ragazzo immagine» di AfD per aver attaccato la «cattiva» Unione Europea, che, a suo giudizio, con la sua politica verso i palestinesi e gli arabi in genere era nemica di Israele e di «tutti i paesi cristiani europei».

Il sostegno dell’estrema destra a Israele, in nome dell’islamofobia, non è un’esclusiva tedesca, ma si sta sviluppando in tutta Europa. Accanto ad Alice Weidel dell’AfD, leader di estrema destra come Geert Wilders nei Paesi Bassi, Marine Le Pen in Francia, Nigel Farage nel Regno Unito e Viktor Orbán in Ungheria sono apertamente schierati con lo Stato ebraico.

Il sostegno esplicito ed entusiasta al sionismo è diventato un principio ideologico per la maggior parte di questi partiti, scenario impensabile dalla prospettiva di cinquanta o addirittura trent’anni fa.

Su questa linea è anche la destra italiana, la prima, dopo quella ungherese, ad arrivare al governo, che nella guerra di Gaza ha fornito a Israele il proprio pieno appoggio politico e militare. Lasciandosi dietro le spalle le leggi razziali del fascismo, questo nuovo razzismo ha di mira non gli ebrei, ma gli immigrati provenienti dall’Africa e dall’Asia, automaticamente catalogati come islamici (senza tener conto che un buon numero di essi sono in realtà cristiani).

Quando, in seguito all’invasione russa, migliaia e migliaia di ucraini vennero in Italia, il più acceso sostenitore della «difesa dei confini», il vice-premier Matteo Salvini, non ha più parlato di «invasione», anzi in una particolare circostanza, si diceva «felice di sapere che entro sera altri 50 fra bimbi e famiglie scappati dall’Ucraina partiranno in pullman per venire in Italia».

A chi gli faceva notare l’incoerenza con le sue accanite battaglie contro i migranti, ha risposto: «Mentre spesso si parla di guerre finte, questi profughi sono veri e scappano da guerre vere».

Una spiegazione che prescinde totalmente dalle reali situazioni che generano l’emigrazione e lascia chiaramente capire che si è benvenuti in Italia solo se si è bianchi e cristiani.

Deportazioni dei migranti e sostegno a Netanyahu

Il ciclone Trump, ha confermato questo collegamento tra la lotta contro i migranti (anche se in un contesto diverso: i suoi non sono bianchi, ma cristiani sì) e l’appoggio ad Israele. Della prima è eloquente sintesi la fotografia postata dalla Casa Bianca, e che ha fatto il giro del mondo, degli uomini in fila, in catene, come criminali o bestie.

Trump ha parlato della «più grande deportazione» della storia americana e si propone addirittura di allestire un campo di detenzione per loro a Guantanamo, il famigerato penitenziario americani dove vengono richiusi e – per comune ammissione – torturati i sospetti terroristi.

Del sostegno incondizionato ad Israele si è avuta subito una prova quando il nuovo presidente ha chiarito qual è la sua idea del futuro della Palestina. Niente due Stati, come prevedeva la risoluzione dell’ONU del 1947 e come finora la diplomazia mondiale aveva auspicato, bensì deportazione – ritorna questo concetto! – degli abitanti di Gaza (circa due milioni e mezzo) nei paesi arabi vicini (che naturalmente hanno subito rifiutato).

Una proposta che ha suscitato l’entusiasmo dei due leader dell’estrema destra israeliana, il ministro dell’economia Bezalel Smotrich e l’ex ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir, che da tempo pressano per approfittare di questa guerra per cacciare i palestinesi e aprire Gaza ai coloni israeliani.

A proposito di coloni israeliani, Trump ha anche annullato le sanzioni stabilite dal suo predecessore contro quelli della Cisgiordania che avevano occupato illegalmente, con la violenza, le terre dei palestinesi, spianando così la strada a ulteriori aggressioni che è veramente difficile far passare sotto l’etichetta del «diritto di Israele a difendersi».

Una tendenza che accomuna l’Occidente

In realtà la duplice tendenza ad alzare muri contro i migranti e ad appoggiare Israele si può riscontrare oggi nella maggior parte dei governi occidentali (con la sola eccezione della Spagna e dell’Irlanda).

Alle accuse rivoltegli per il provvedimento anti-migranti fatto passare con l’appoggio di AfD, Merz ha replicato: «Io chiedo cosa facciano di diverso da quello che io propongo la Danimarca, la Svezia, la Finlandia, l’Italia, i Paesi Bassi, tanti Paesi europei che sono nella nostra stessa Unione Europea». L’Europa si sta barricando.

Contemporaneamente, appoggia Israele. Non, si badi bene, il popolo ebreo, ma specificamente Netanyahu e il suo governo, scavalcando le posizioni di dissenso che all’interno dello Stato ebraico da tempo si levano contro la gestione della guerra.

Sono molto significative a questo proposito, le risposte della maggior parte dei governi europei alla recente decisione della Corte penale internazionale di emettere un mandato di arresto per il primo ministro israeliano e per il ministro della guerra Ioav Gallant «per crimini di guerra e crimini contro l’umanità».

A colpire non è tanto quella di un paese dell’Est come l’Ungheria, dove già il diritto è ampiamente sopraffatto dalla politica e il cui premier ha subito chiarito che la sentenza della Corte penale «non avrà alcun effetto», invitando addirittura il premier israeliano a Budapest. Più impressionanti sono le reazioni di quelle democrazie occidentali, che negli ultimi due anni e mezzo si sono hanno fatto della difesa dei diritti umani una bandiera nel loro strenuo impegno a sostegno del popolo ucraino contro l’aggressione russa.

A cominciare dalle dichiarazioni della nostra presidente del Consiglio: «Approfondirò in questi giorni le motivazioni che hanno portato alla sentenza. Motivazioni che dovrebbero essere sempre oggettive e non di natura politica». Dove è chiara l’insinuazione che la sentenza dell’Aja sia motivata da ragioni politiche, come quelle dei giudici italiani sui migranti. In ogni caso – ha assicurato la nostra premier – «un punto resta fermo per questo governo: non ci può essere una equivalenza tra le responsabilità dello Stato di Israele e l’organizzazione terroristica Hamas».

Ma non è stata solo l’Italia a mostrarsi molto restia a rispettare la sentenza della Corte. Una dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri di Germania, Francia e Regno Unito affermava che non vi è alcuna giustificazione per cui la Corte penale internazionale debba adottare misure contro i leader israeliani e si esprime preoccupazione per le implicazioni della sentenza sulla stabilità regionale. Come se la cancellazione deliberata e sistematica di una popolazione non fosse avvenuta sotto i nostri occhi.

Ma, cosa ancora più grave, dal punto di vista giuridico, come se il valore delle sentenze della Corte, a cui tutti questi Stati aderiscono e creata per avere un punto di riferimento super partes nelle questioni internazionali, dipendesse dalle loro valutazioni di parte.

Quale antisemitismo?

Alla luce di questi innegabili dati, acquista un significato ambiguo la denuncia del diffondersi dell’antisemitismo. Ce n’è uno inaccettabile, contro cui bisogna continuare a non abbassare la guardia.

Ma ce n’è un altro attribuito a chiunque critichi il governo israeliano.

E proprio l’estrema destra, inclusi i neo-nazisti, con la pretesa di combattere questo antisemitismo, giustifica il massacro dei palestinesi e la pulizia etnica di Gaza, nonché la progressiva «purificazione» degli Stati Uniti e dell’Europa da tutti coloro – prima di tutto gli islamici – che con la loro presenza «inquinano» la purezza della civiltà occidentale e danno il loro appoggio alla causa palestinese .

Ogni fenomeno storico è diverso dai precedenti. Ma è certo che il quadro che si profila, e che già si realizza, ha alcune cose in comune con l’Olocausto: altri lager, come in Libia, altri massacri sistematici di uomini, donne e bambini, come a Gaza, altre deportazioni, come negli Stati Uniti e presto, sempre più, anche in Europa.

E questa volta dalla parte degli aguzzini ci siamo noi, i paesi «democratici», e gli stessi ebrei, quelli che stanno compiendo queste atrocità oppure che, dentro e fuori lo Stato ebraico, le giustificano, e che però, per fortuna, non possono fare dimenticare tanti altri ebrei che, dentro e fuori lo Stato ebraico, si oppongono a questa logica disumana.

Questo non impedisce agli aguzzini di oggi di continuare a mettersi nei panni delle vittime di ieri. Vedendo il filmato che rappresentava la giovane israeliana liberata da Hamas strattonata e schiacciata dall’immensa folla che stava attorno (restando peraltro illesa), Netanyahu – dopo quindici mesi in cui per suo ordine 47mila persone innocenti, di cui la maggior parte donne e bambini, sono state uccise, e due milioni e mezzo di abitanti sono stati privati del cibo, dell’acqua, e delle medicine, hanno visto distrutte le loro case e morire i loro cari che sono ancora sotto le macerie – , è rimasto indignato e ha parlato di «inimmaginabile crudeltà».

Il ricordo di ieri non deve essere perduto, ma non può farci chiudere gli occhi su quello che accade oggi. C’è un antisemitismo autentico che dobbiamo continuare a combattere con tutte le nostre forze, ma ce n’è uno, che altro non è se non un alibi per nascondere le colpe di oggi e che dev’essere denunciato, per non ritrovarci, il giorno della memoria del prossimo anno, a gridare «Mai più!» , insieme ai neonazisti.

  • Dal sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu), 31 gennaio 2025

auschwitz

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Un commento

  1. Aldo Ciaralli 11 febbraio 2025

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