
Anni fa pubblicai un ampio saggio sul dramma dello sterminio nazista, o Shoah, il cosiddetto – e, a mio avviso, erroneamente – “olocausto” ebraico. Già allora il termine “olocausto” risultava inaccettabile sia per gli ebrei sia per i cattolici che, dopo la Seconda guerra mondiale, cercavano di superare profonde divisioni.
Tutti concordavano: lo sterminio di sei milioni di ebrei e di altri tre milioni tra rom, disabili, omosessuali, cattolici e comunisti, perpetrato dalla Germania nazista, non aveva nulla a che vedere con l’“olocausto” dell’antica religione greca, quando animali – o cento buoi, nella “ecatombe” – venivano bruciati sugli altari per placare l’ira degli dèi. Né con il sacrificio rituale descritto nell’Antico Testamento, quando Mosè ordinò ad Aronne di mantenere un fuoco perpetuo sull’altare affinché, bruciando montoni, si producesse “un profumo soave per Yhwh”.
Chiamare “olocausto” la “soluzione finale” nazista era – ed è – una distorsione insopportabile, se non una bestemmia. Da qui, la scelta condivisa di usare il termine ebraico “Shoah”, che significa catastrofe, afflizione, desolazione e spopolamento, e che, in questo contesto, indica lo sterminio nazista.
Oggi richiamo questo termine perché, a mio avviso, descrive anche ciò che lo Stato di Israele sta compiendo, da quasi due anni, nella Striscia di Gaza. È un appello – temo vano – al Governo israeliano e a quella parte di società civile israeliana che ancora conserva sensibilità e rispetto per la memoria della Shoah.
Le origini dell’attuale tragedia
So bene che all’origine di questa nuova “Shoah” del popolo palestinese vi è stato l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, con l’uccisione di circa 1.200 persone e il sequestro di 250 ostaggi, alcuni poi liberati. Sono consapevole della rete di tunnel che consente ad Hamas di condurre una guerriglia difficile da contrastare per l’esercito israeliano, e del fatto che molti ostaggi ancora vivi potrebbero trovarsi nascosti lì.
Hamas – movimento islamista politico e militare – dopo aver vinto le elezioni del 2006 ed espulso Fatah, ha preso il controllo della Striscia nel 2007, rendendo una parte della popolazione ostaggio delle sue stesse scelte, nonostante la maggioranza dei palestinesi consideri l’esercito israeliano un esercito di occupazione.
Il calcolo del Governo israeliano
Non ignoro che l’attuale Governo israeliano, in particolare i suoi esponenti di estrema destra, ha mostrato totale disprezzo per le pressioni internazionali e nessun reale interesse a un accordo per la liberazione degli ostaggi. La priorità sembra essere l’espansione territoriale, prima di essere costretti ad accettare un cessate il fuoco o una soluzione politica.
Fin dall’inizio di questa guerra, la risposta militare israeliana è stata sproporzionata: basti ricordare le dure parole dell’allora capo della diplomazia europea, Josep Borrell.
La domanda che si pongono uomini e donne di buona volontà in tutto il mondo è: cosa possiamo fare per fermare questo sterminio? C’è chi propone gesti simbolici e disperati, come recarsi al confine tra Egitto e Gaza per forzare l’ingresso dei convogli umanitari, o unirsi alle file di chi attende cibo per rallentare, anche solo per poche ore, la macchina di morte. Sono tentativi che, più che incidere sul corso degli eventi, servono forse a placare per un istante la nostra impotenza.
Un appello finale
A me resta soltanto la parola.
Al Governo israeliano dico: non macchiate la memoria di sei milioni di ebrei con il vostro espansionismo.
Alla parte sensata del popolo israeliano: fate tutto ciò che è in vostro potere per evitare che cresca il numero di coloro che iniziano a disprezzare la memoria della Shoah, lo sterminio nazista dei vostri stessi concittadini.






Grazie a Jesús Martínez Gordo, per avere indicato lo scopo di questa nuova Nakba (catastrofe): “l’espansione territoriale”, la terra. Quanta? La Grande Israele? Terra abbandonata dagli ebrei, abitata, coltivata per quasi due millenni da genti apparentate con gli israeliti.
Per questa terra, Israele non sopporta raccomandazioni ne presta ascolto alle ” pressioni internazionali”. Per questa terra si pone fuori dalla comunità internazionale; infanga e svilisce la Shoah, dimentica gli ostaggi. Non è forse già in atto “Il suicidio di Israele?”. Come in una battuta di caccia, l’IDF sta riunendo le prede per sterminarle. Quale futuro per il cacciatore?
Grazie a Jesús Martínez Gordo, per l’appello chiaro, sofferto. L’impotenza ci obbliga ad assistere alla mattanza. Cosa dovevamo e dobbiamo chiedere ai nostri governanti, oltre alle loro parole, smentite dai fatti.
Trovo la ricostruzione e la conclusione di questo articolo bilanciata e rispettosa delle parti. Soprattutto della Storia che riguarda la Shoah nazista di cui Israele è stato vittima e di cui oggi dovrebbe fare tesoro perché non si ripeta una tragica e indimenticabile pagina della storia dell’umanità, soprattutto non sia lui adesso il carnefice