
Ci risiamo. Di nuovo lo ius scholae, ovvero la possibilità di legare il diritto di cittadinanza, per i migranti, al numero di anni di scuola frequentata. Sono volontario in una scuola di italiano per stranieri e non avrei parole se dovessi spiegare loro cosa sta succedendo. Se non fosse una questione di civiltà e accoglienza, potrebbe essere facilmente rubricata come chiacchiere da bar o da ombrellone, potrebbe solo suscitare qualche sorrisetto o battura ironica. Invece è una cosa seria, molto seria: riguarda il diritto di acquisire la cittadinanza al compimento di un ciclo di studi; per info rimando al report di Save the children (disponibile a questo indirizzo).
Una brutta aria
Lavoro con stranieri che studiano italiano nella nostra associazione (www.cercasiunfine.it). Non padroneggiano tanto la lingua e, soprattutto, non hanno tempo per seguire le chiacchiere di molti governanti. Invece respirano una brutta aria, specie in alcuni contesti come scuole, parrocchie, associazioni, trasporti e uffici pubblici ecc., che sembra crescere, anche grazie al cattivo esempio di chi ci governa. Mi riferisco a forme varie di sospetto verso di loro, rifiuto, razzismo, emarginazione, omofobia, negazione di diritti fondamentali.
Che lo si voglia o meno, i migranti sono persone. Sì, sono persone che meritano rispetto, e nei momenti di dolore e morte meritano pietà, come tutti gli esseri umani. Ma questo rispetto, questa pietà sembrano molto spesso mancare in alcuni politici italiani (più di destra che di sinistra). Anzi al rispetto subentra la manipolazione a fini elettorali, sia di chi manipola sia di chi dice che gli oppositori stanno manipolando. Non se ne può più di questo squallore. Ma perché non stanno zitti?
Il motivo è semplice: perché il loro razzismo, la loro mancanza di accoglienza e solidarietà (con buona pace della nostra Costituzione) piace a diversi italiani, loro fedeli elettori. Tra questi anche preti e vescovi, imprenditori, autisti dei mezzi pubblici, impiegati delle ASL e di uffici pubblici, dirigenti e tifoserie calcistiche, docenti e operatori sanitari, catechisti ed educatori, vicini di casa e parenti… una lunga lista. È quella degli italiani che si sono dimenticati di essere stati anche loro emigrati, per povertà, verso le Americhe o il Nord Europa. È quella di chi mangia rabbia e cattiveria, ad ogni pasto, e poi la sfoga in ogni ambito in cui vede pelle, occhi, abitudini diverse dalle sue. Alcuni di loro si ritengono anche cattolici. Problema da studiare, unitamente ai vari Putin, Trump, Vance, Orban, Hamas, Netanyahu che dicono di essere credenti. Certamente non credono nel Dio della fraternità universale e della pace, della giustizia e della solidarietà, visto le vergogne di cui sono autori.
Le cause di questo crescente razzismo sono tante e complesse. L’accoglienza, l’empatia, la comprensione verso gli stranieri (come verso i poveri e altre persone emarginate) sono frutti di un cammino personale e sociale dove ci si educa a non essere individualisti, a non pensare solo al proprio tornaconto, a comprendere come il futuro degli altri è legato al mio e che ci si salva solo insieme, dialogando e collaborando.
La patria e gli stranieri
Il nostro Paese è fondato sul lavoro come attività-valore di riferimento e sulla solidarietà come orizzonte etico e pratico, una solidarietà «politica, economica e sociale» (Costituzione, art. 2). E la solidarietà non è né di destra, né di sinistra, né della maggioranza, né dell’opposizione, né dei credenti, né degli atei, né degli uni, né degli altri. È di tutti. È la nostra Costituzione. È l’Italia. Non so cosa abbia ispirato il ministro Tajani nel riproporre lo ius scholae; spesso non capisco, in materia, nemmeno alcuni di sinistra. Tuttavia, saranno i fatti a dire chi e come si sia ricentrato sui valori costituzionali e non neofascisti, altrimenti sono ancora stucchevoli chiacchiere da bar.
Ovviamente la solidarietà deve essere intelligente, essere preparata e rafforzata da tanti impegni che la rendono più autentica ed efficace: la lotta alla tratta criminale di esseri umani e alle collusioni politiche, qui come altrove; gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo e gli accordi bilaterali; il coinvolgimento fattivo degli altri Paesi europei (non le vergogne create in Libia e in Albania); le politiche migratorie accoglienti ed equilibrate; i processi integrativi seri e via discorrendo. E quanto più realizzeremo questi obiettivi saremo degni della nostra Carta costituzionale, pagata col sangue. Essa, infatti, impegna tutti, nessuno escluso, a essere democratico, antifascista, solidale, dedito a promuovere «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (Costituzione, art. 3).
Scriveva Lorenzo Milani nel 1965: «Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia patria, gli altri i miei stranieri».






L’autore dell’articolo tenta di accreditare e far accreditare contenuti controversi come fossero ovvi e accettabili da tutti e sempre. Lo scopo di uno ‘ius scholae’ è, positivamente, di dare alla cittadinanza un valore maggiore; e di garantire che la burocrazia non diventi solo formalismo, di impedire il costituirsi di stuoli di falsi cittadini.
Mi sembra fondamentale riconoscere nella Costituzione il deposito di tutti i principi che formano la visione del mondo di un cittadino italiano. E nella Costituzione sicuramente non c’è scritto che gli esseri umani vengano acquistati un tanto al kg, secondo il bisogno. L’acquisto di esseri umani era normale da parte dei paesi ‘schiavisti’, e anche da parte dei ‘potenti’, come lo Zar di tutte le Russie che poteva acquistare un paese intero con il suo contenuto, cioè uomini, cavalli, vacche, capre e oche. Nella generale e tragica regressione morale e civile che sta colpendo l’umanità, è avvilente e disgustoso insieme, ascoltare questo linguaggio, che riducendo le creature a oggetti d’uso, di fronte a un movimento di popoli, da interpretare con codici specifici, determina il numero di ‘umanoidi’ necessari allo sviluppo economico delle società capitalistiche, e dimentica completamente che solo una società aperta, che mischia il proprio sapere, che combina in modo creativo i propri geni, naturali e culturali, può sperare di non soccombere.
Lo sappiamo, il comunismo ha fallito il suo obiettivo ma il rapporto capitale/lavoro è sempre squilibrato e si osa dichiarare che occorre mettere ‘al primo posto’ chi intraprende, tassando sempre meno, perché quello è il perno dell’economia e che poi (quando, di grazia?), ci sarà una ricaduta positiva sul lavoratore.Visione strabica e ipocrita perché questi due elementi devono stare insieme ‘al primo posto ‘!! Non esiste impresa senza i lavoratori!! Ma sembra che gli stessi lavoratori non abbiano più consapevolezza del loro potere contrattuale. È importante insegnare la lingua e la cultura italiana a chi arriva nel nostro paese. E anche scegliere come libro di testo la Costituzione, così che sappiano che chi li vuole sfruttare non è un cittadino italiano, ma un corpo estraneo.
Questo governo fa crepare dal ridere se non facesse piangere per la rabbia. Parlano di invasione e poi fanno un decreto flussi che consente l’ingresso legale (almeno in apparenza) di 500.000 persone. Abbiamo un bisogno inverosimile di immigrati ma facciamo gli schizzinosi, i difficili e non concediamo diretti a coloro a cui dovremo “regalare” il nostro paese in futuro. Immaginate con quale amorevole ricordo di noi gestiranno l’Italia e gli italiani divenuti minoranza. Saremo trattati come abbiamo trattato perché tutti sappiamo che il male che si fa torna regolarmente indietro.