Migranti: dati e “intese”

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L’ultima edizione del Dossier Statistico Immigrazione, curato dal “Centro Studi e Ricerche IDOS” e dalla rivista Confronti, conferma la sostanziale stabilità della presenza immigrata in Italia. Non c’è crescita.

I dati provvisori ISTAT del 2022 segnano per l’Italia una presenza di cittadini residenti stranieri di poco superiore i 5 milioni: per la precisione 5.050.257, l’8,6% della popolazione residente. Di questi occorre ricordare che il 27,6 %, (1.389.331) sono cittadini comunitari e quindi portatori di tutti i diritti di cui godono i cittadini degli Stati membri UE.

La realtà e la politica

Ma la politica italiana ed europea continua a trasmettere una immagine distorta dei dati quantitativi per giustificare l’allarme sociale da imputare alla popolazione immigrata, piuttosto che alla mancanza di politiche di sostegno alle molteplici fragilità di chi vive in Italia e in Europa.

La popolazione tutta è in continuo calo demografico, in condizioni sempre più sfavorevoli per le nuove generazioni. In diverse città del nord, ad esempio a Brescia, l’indice di vecchiaia segna il rapporto 194 anziani su 100 giovani, sempre più prossimo all’allarmante raddoppio. Non basta affatto l’immissione di gioventù straniera per ribaltare il trend in corso.

I residenti in Italia sono passati da 59,258 milioni del 1° gennaio 2021 a 58,851 milioni del 1° gennaio 2023, con un calo di 407.000 abitanti.  Nel mentre, negli ultimi 10 anni, 1.448.233 cittadini stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana: cittadinanza che può essere, tuttavia, in ogni momento, revocata ai sensi del decreto sicurezza del 2018, n. 113, entro 3 anni della condanna definitiva, per reati gravi commessi dal cittadino naturalizzato italiano.

Una cittadinanza pro tempore di cui viene monitorato il merito nel tempo, una normativa che contrasta con i diritti umani fondamentali, a cui la cittadinanza conferisce fondamento; solo un modo per prendere di mira i cittadini italiani naturalizzati che, per una parte della politica italiana, restano non riconosciuti quali veri e propri cittadini dello Stato; un dispositivo che mina alla radice la credibilità dello Stato in materia di inclusione o integrazione. Il dubbio, l’incertezza, non fanno altro che demotivare una piena e consapevole partecipazione dell’umanità straniera ai destini del nuovo Paese di appartenenza, il nostro!

La stigmatizzazione negativa dei nuovi arrivati, fomenta un’ossessione xenofoba del tutto ingiustificata, sia dai numeri che dai fatti reali della vita quotidiana.  Nel 2022, l’Italia ha ricevuto 77.200 (dati Eurostat) nuove richieste di protezione internazionale, contro le 217.735 della Germania. Il numero totale di rifugiati in Italia ammonta a 296.181 persone (dati del Centro Astalli), su una popolazione residente, nel 2023, di 58,851 milioni, ossia lo 0,50% della popolazione totale.

Questa esigua presenza sta di fatto monopolizzando il dibattito politico di un Paese in declino per ben altri motivi. L’arte della dissimulazione dei problemi e delle loro cause – molto impegnata a colpire stranieri e richiedenti asilo – mette in campo tutte le falsità possibili per deviare l’opinione pubblica di un Paese oggi particolarmente impaurito e insicuro, in un tempo di conflitti armati e di pesanti incertezze circa il futuro. Una minoranza diventa il capro espiatorio, indifeso e facilmente attaccabile, impunemente.

Da Cutro a Tirana

Il 6 novembre 2023 è stata sferrata una nuova sgomitata allo stato di diritto da parte del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sia nei confronti del Parlamento italiano che del diritto europeo. Dopo i flop certificati dalla massa di arrivi dal Mediterraneo e dalla rotta balcanica, si è infilata, decisa, senza tentennamenti, in una nuova avventura che appare porre tutte le premesse di un altro fallimento, non solo sul versante di una politica estera sempre più perigliosa – col figurante Ministro Tajani – ma anche nella politica interna dedicata alla gestione dei flussi migratori.

Dopo il tacito rinnovo del memorandum con la Libia, il Presidente del Consiglio ha celebrato, l’11 giugno scorso, in compagnia della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen e del premier olandese Rutte, un Pacchetto di partenariato globale con la Tunisia di Saïed Kaïs. Le due parti si sono ripromesse un «approccio olistico alla migrazione», mettendo sul piatto un aiuto economico di poche decine di milioni di euro per l’attivazione di misure atte a bloccare le partenze dei barchini dalle coste tunisine e dirette verso le coste siciliane.

La promessa da parte tunisina era di ri-accogliere in Tunisia i migranti allontanati dall’Italia con la finalità poi di instradarli verso i Paesi di origine. La “grande politica” si è di fatto conclusa col rifiuto degli aiuti economici europei – definiti dal rais tunisino «una elemosina» –, il peggior maltrattamento criminale dei migranti presenti in territorio tunisino e, ovviamente, alcuna ri-accoglienza dei migrati respinti dall’Italia.

Il cosiddetto Piano Mattei, appare, poi, sempre più per quel che è: un castello progettato sulla sabbia.

Ora, il Presidente si sta ripetendo, senza alcun mandato parlamentare, raggirando, peraltro, i suoi stessi Ministri. L’ultima volta mancava pure la presenza dei due colleghi europei convinti ad andare, in precedenza, a Tunisi. Ha fatto tutto da sola. Ha fatto accordi con un personaggio ambiguo, ritenuto altamente corrotto nel suo Paese, ossia l’albanese Edi Rama.

Il Protocollo tra il governo della Repubblica italiana e il consiglio dei ministri della repubblica di Albania per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria, prevede che l’Albania metta a disposizione dell’Italia due aree del proprio territorio per la realizzazione di Centri di detenzione per migranti raccolti in mare dalla Marina Militare Italiana, esclusi quelli recuperati/salvati dalle ONG attive nel Mediterraneo centrale.

Le strutture saranno realizzate e gestite dall’Italia a proprie spese e sotto la propria giurisdizione. In altre parole, due pezzi di territorio del nord dell’Albania passano a titolo gratuito sotto la giurisdizione italiana per 5 anni, tacitamente rinnovabili per altri 5, a meno che una delle due parti, previo preavviso di 6 mesi, dichiari la rottura dell’accordo.

È da notare, a scanso di equivoci, che nella premessa si afferma, in due diversi paragrafi, la comune preoccupazione dei firmatari nel garantire il rispetto dei diritti umani: uno scarabocchio diplomatico mai visto, se non nei tentativi di delocalizzare i Centri di detenzioni al difuori della propria sovranità territoriale operati da parte del governo inglese di Rishi Sunak, che aveva individuato in Ruanda il territorio africano ove deportare i migranti irregolari intercettati sul suolo britannico, con delega – previo compenso – al governo ruandese a trattare le richieste di asilo per conto britannico.

Solo l’Australia, nel mondo, utilizza la piccola isola-stato di Nauru nelle modalità pensate dalla Meloni. La tentazione dell’extraterritorialità, per impedire ai richiedenti protezione internazionale di toccare la terra nazionale, è una combine che, ipocritamente, punta ad esimere gli Stati sottoscrittori della Convenzione di Ginevra – Italia e tutti i Paesi europei compresi – dal rispetto del principio di non refoulement, ossia il divieto di respingimento alle frontiere di chi richiede rifugio.

L’operazione segue le logiche del cosiddetto Decreto Cutro e dei vari Decreti Sicurezza adottati a catena in questi ultimi mesi, dando l’impressione che il governo italiano si stia avvitando in una spirale, dagli esiti disumani e senza vie d’uscita. Sono passi istituzionali fatti senza ricorrere ad alcun tipo di pensiero strutturato, bensì tappe della rincorsa elettoralistica che fa presagire il pessimo dopo il già dimostrato peggio.

Questioni aperte

L’Albania ha aderito alla Convenzione di Ginevra il 1° ottobre 1969, in pieno regime comunista, ed è ritenuta per questo, dal governo italiano, un «Paese sicuro» in cui mandare i richiedenti asilo. L’accordo è di accogliere/detenere, complessivamente e in permanenza, 3.000 persone nelle due strutture che saranno realizzate.

La Meloni calcola in questo modo che 36-39 mila persone passeranno nei suddetti Centri in ogni corso annuale, prevedendo tempi brevissimi da dedicare alle audizioni dei richiedenti asilo e alla definizione della loro posizione. Il tutto a spese dell’Italia, con personale italiano all’interno delle aree e con polizia albanese all’esterno. Il costo dell’operazione – parametrato al costo pro capite di ogni detenuto in Italia – si aggira sui 138 euro al giorno per ogni trattenuto, ossia, al pieno dei Centri, 414.000 euro al giorno, cioè oltre 151 milioni all’anno.

A ciò vanno aggiunti i costi delle trasferte e delle diarie dei commissari a cui spetta l’esame delle richieste di asilo. C’è da immaginare, poi, la spola della Guarda Costiera Italiana tra il Mediterraneo centrale e le coste albanesi, in un via vai senza soluzione di continuità. Insomma, un’operazione economica a perdere. Anche perché non si capisce cosa possa accadere ai migranti che non vengano riconosciuti nel diritto di protezione e non possano essere indebitamente trattenuti per più di 18 mesi: verranno rilasciati in territorio albanese, o di nuovo riportati in un Centro sul suolo italiano e di che tipo? Verranno rimpatriati? Come? Da parte di chi?

Già il 5 dicembre scorso, in occasione della presa di posizione del Consiglio dei Ministri a sostegno dell’accordo fortemente voluto da Meloni, sono emerse parecchie incongruità sui numeri, circa le persone e il bilancio dello Stato. I posti inizialmente previsti erano 720, ben lontani dai 3.000, di cui 300 nell’hotspot di Shengjin, 300 nel Centro di trattenimento per richiedenti asilo a Gjader e 120 nel CPR, Centro di Permanenza e Rimpatrio, sempre a Gjader: costo previsto 92,5 milioni di euro, mentre i dieci CPR italiani, in 4 anni, sono costati 54 milioni, con esiti di trattenimento disumani come dimostrato dall’inchiesta sul CPR di via Corelli a Milano.

Accordo con l’Albania e diritto

Le situazioni all’interno dei Centri possono diventare ancor più catastrofiche perché, con la recente legge 176/2023 del 1° dicembre, entrata in vigore il successivo 5 dicembre, viene introdotta la possibilità di detenere i minorenni sopra i 16 anni nei Centri di detenzione per adulti: una forma di “ospitalità” non nuova, di per sé, posto che anche in passato nelle Commissioni Territoriali venivano auditi neo-maggiorenni  giunti da mesi e mesi, ancor minorenni, in Italia, senza essere mai stati tutelati da alcun tribunale. Prassi – queste – che palesemente contraddicono la sbandierata volontà di tutelare donne incinte, minorenni e tutti i casi di fragilità.

Per quanto riguarda la posizione in merito al diritto comunitario, Yiva Johansson, Commissaria per gli affari interni, ha affermato che l’accordo non viola il diritto UE in quanto tutto avverrà al di fuori dell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione Europea.

Johansson, tuttavia, dimentica che la giurisdizione italiana si sta estendendo, in questo modo anomalo, ad una parte dell’Albania. Quindi anche questa materia rientra nel diritto UE. Sostenere che l’Albania non è UE e che quindi le sue acque nazionali non sono incluse nelle aree di competenza UE, omette di rilevare che le navi militari italiane e la Guardia Costiera nazionale costituiscono territorio italiano. Davvero un bel modo per defilarsi dalle responsabilità, forse pensando che l’Albania possa presto – proprio grazie all’appoggio italiano – entrare a far parte dell’Unione.

Non è un caso che persino lo stesso Olaf Scholz, cancelliere tedesco, ritenga oggi di poter tentare una simile avventura, stressato dalle debacle elettorali delle ultime consultazioni nei lander della Baviera e dell’Assia, ove si è notata la vistosa crescita dell’AFD, Alternative fuer Deutschland, partito di estrema destra che alcuni costituzionalisti tedeschi chiedono di mettere fuori legge.

Evidentemente, il tema dei diritti umani, nell’occidente, vale come teorico assunto universalista, mentre rivela tutta la fragilità del costrutto ideale che, miseramente, cade nella sua messa in opera.

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