
Per l’Unione Europea – e in particolare per la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – si prospetta un autunno caldo. Anzi bollente. Le vicende internazionali, e non meno quelle interne all’UE, rischiano di mettere all’angolo i Ventisette rispetto alle grandi questioni geopolitiche, mentre le differenti visioni tra i governi dei Paesi membri potrebbero togliere la terra sotto ai piedi dell’integrazione comunitaria.
In questo quadro, Von der Leyen, oggi il volto più conosciuto e riconoscibile dell’Unione, si trova in difficoltà: in genere perché il contesto esercita tali pressioni sull’Unione cui è difficile (qualcuno dice impossibile) rispondere con coesione e fermezza; ma non si possono trascurare i mutamenti di rotta politica da parte della stessa presidente della Commissione che ne hanno messo in dubbio la solidità, e persino la credibilità.
Sul fronte internazionale, l’UE – il mondo intero! – si trova in mezzo a scenari ingestibili mentre vengono meno amicizie storiche e partnership a suo tempo decisive. La guerra in Ucraina, quella a Gaza, e gli altri conflitti in atto non sono riusciti a generare posizioni univoche nell’Ue (lo ha confermato di recente l’Alto rappresentante Kaja Kallas), la quale ad oggi sembra contare poco o nulla sullo scacchiere globale.
L’UE, ad esempio, si è spesa e si spenderà molto a fianco di Kiev, ma nelle trattative per una pace futura non siede al tavolo e non riesce a dire nulla di decisivo. Sul tradizionale alleato americano, da Trump in poi non si può far conto (disimpegno in Ucraina, posizioni irragionevoli sul conflitto in Terra Santa, dazi economici, umorali cambiamenti di posizione…); Putin è ormai un pericolo, anzi un «nemico» agli occhi di tutti gli Stati UE (salvo l’Ungheria di Orban); al vertice di Tianjin si intravvede una sorta di modello alternativo a quello che vede l’Occidente al centro della scena.
Sul piano interno, le ultime mosse della Von der Leyen hanno suscitato reazioni diverse fra i Paesi aderenti e nell’emiciclo dell’Europarlamento.
Il progetto ReArm, l’affievolirsi del Green Deal, il progetto di bilancio pluriennale, la discutibile gestione della politica migratoria sono alcuni dei capitoli sui quali si sono accese forti discussioni, sollevati dubbi. Soprattutto si sono evidenziate le tensioni generate dai sovranisti, che adagio adagio pongono in discussione i fondamenti stessi del processo di costruzione dell’Europa unita.
Mercoledì 10 settembre, a Strasburgo, davanti agli eurodeputati, Ursula von der Leyen dovrà presentare l’annuale discorso sullo stato dell’Unione. Sarà l’occasione per convincere, o meno, gli europei e «il resto del mondo» che l’UE c’è, ha sue proposte, ha una significativa ed efficace capacità di reazione alle attuali sfide mondiali.
Conoscendone i trascorsi, Von der Leyen non dovrebbe sprecare l’occasione. E comunque le va riconosciuto che, in questa fase, nessuno, ma proprio nessuno, ha soluzioni in tasca. Ma molti – governi europei, leader internazionali, forze politiche che siedono all’Europarlamento, lobbies interessate alla guerra, all’energia, al settore auto… – potrebbero questa volta, e magari per ragioni opposte, non fare il tifo per lei.
- Agenzia SIR, 6 settembre 2025






Le vicende dell’ultimo anno hanno fatto esplodere contraddizioni e insufficienze che nell’UE esistono da decenni. Durante le crisi precedenti però (per es. i referendum del 2005 in FR e NL che bocciarono il trattato costituzionale per l’UE), lo slogan era sempre lo stesso: più o meno “è nelle difficoltà che il processo di integrazione sa ritrovare la strada”. Questo ottimismo aveva ragione di essere in un contesto in cui tutti gli stati membri dell’UE tranne uno (che infatti arrivò –finalmente– al Brexit nel 2016) condividevano sostanzialmente un europeismo almeno “operativo”, e sul piano internazionale, nel bene e nel male, lo scenario era stabile con l’alleanza transatlantica inossidabile. Oggi ci sono sul tavolo troppi concomitanti imprevisti, che sollevano rischi immensi: 1) l’America di Trump 2) la crisi della legalità internazionale che è sempre stata fragile ma è flagrante in modo inedito 3) il riarmo dell’Europa senza che sia inquadrato da una strategia e una politica estera e di difesa comune 4) l’emergere sempre più prepotente in Europa di forze politiche pericolose per la democrazia e per le minoranze 5) la sempre maggiore ingovernabilità di una Europa a 27 ormai piena di “cani sciolti” (soprattutto a est), con una struttura istituzionale costruita per compromessi e palesemente inadeguata . Che le “soluzioni in tasca” non le abbia nessuno è un’ovvietà e quelli che pretendevano di averle, generalmente hanno fatto danni. Quello che manca nell’articolo è riconoscere che la von der Leyen e il Partito Popolare Europeo che la sostiene dovrebbero essere coscienti che già cento anni fa i popolari sottovalutarono la destra estrema, pensarono di poterla addomesticare, e le conseguenze furono devastanti. Le politiche che transigono sui principi dello stato di diritto per soddisfare la pancia xenofoba dell’Europa, le politiche di riarmo per soddisfare la pancia nazionalista dell’Europa (e le industrie delle armi, e i loro azionisti), sono scelte politiche fatte dalla von der Leyen e dal PPE, e non è giusto minimizzarle dietro un: “nessuno ha soluzioni in tasca”.
Chiunque sarebbe in difficoltà in questo momento. VdL non è un genio e se si trova li ci sono buone ragioni per credere che ci stia comoda, ma chiunque al suo posto si troverebbe a mettersi le mani tra i capelli. Temo che valga anche per lei quello che vale per Meloni: un sottile radicato mellifluo stantio maschilismo 2.0.
Lo stravolgimento del mondo si deve a due attori principali: il russo e l’americano, gli altri si accodano. E già questo è sufficiente a scoraggiare i volenterosi.
Ci vuole molto coraggio ( e volontà) a sostenere una unione traballante che però è l’unica via d’uscita da questo ginepraio (calcolato e prodotto ad arte dai due principali attori).