Piace leggere la vita di sant’Antonio abate, detto il grande, scritta dal vescovo Atanasio di Alessandria pensando le parole di papa Francesco circa la mondanità spirituale, uno dei mali più insidiosi della e nella Chiesa.
I santi ci avvicinano il vangelo, ci fanno capire come è possibile, nonostante limiti e debolezze, essere cristiani in un tempo di grandi cambiamenti, dove un’epoca è conclusa e ne sta nascendo un’altra.
Il pericolo della “mondanità spirituale”
Nel mezzo di questo cambiamento siamo in attesa dell’alba che tarda ad arrivare. Qui, a mio parere, si accasa la mondanità spirituale scalzando e cancellando certezze e azioni.
Il testo che parla di questa “lebbra” spirituale che ha contagiato cristiani laici, sacerdoti, religiosi, religiose, vescovi e cardinali è l’Evangelii gaudium, che dipinge la mondanità spirituale con queste parole: «La mondanità spirituale, che si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa, consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana e il benessere personale […]. Chi è caduto in questa mondanità guarda dall’alto e da lontano, rifiuta la profezia dei fratelli, squalifica chi gli pone domande, fa risaltare continuamente gli errori degli altri ed è ossessionato dall’apparenza. Questa mondanità asfissiante si sana assaporando l’aria pura dello Spirito Santo, che ci libera dal rimanere centrati in noi stessi, nascosti in un’apparenza religiosa vuota di Dio. Non lasciamoci rubare il Vangelo!» (EG, 93-97).
La mondanità riduce, cancella il primato di Cristo e dello Spirito ad un autocompiacimento. Privilegia l’immediato, il materiale, mettendo al secondo o al terzo o forse all’ultimo posto la dimensione spirituale.
Il cristiano di oggi è sempre di più sotto attacco e l’attaccante è una certa secolarizzazione che non ancora abbiamo digerita e compresa.
Il filosofo canadese C. Taylor aveva profetizzato come il male della secolarizzazione sta nel rendere Dio un’opzione tra le altre: «la fede in Dio è diventata un’opzione tra le altre e spesso non come la più facile da abbracciare».
Da una secolarizzazione attaccante, in uno scenario di cambiamento d’epoca, dove il cristiano è depotenziato delle sue “energie spirituali”, sta nascendo una sorta di allontanamento e comprensione culturale che porta il cristianesimo alla marginalizzazione.
Christoph Theobald, teologo gesuita francese, in un recente saggio ha ben evidenziato come la laicizzazione e la secolarizzazione nella Chiesa devono fare i conti con l’esculturazione, dove la parola ha un significato preciso e pregnante: dittatura dell’individuo, marginalizzazione e folclorizzazione della dottrina della Chiesa, della liturgia e delle sue figure ministeriali che vengono sempre più percepite come estranee e strane.
Sant’Antonio abate, esempio di vita cristiana
In questo scenario i grandi protagonisti del cristianesimo antico possono aiutarci a recuperare il perduto per una vita cristiana alta.
Della vita di Antonio abate sappiamo dal vescovo Atanasio di Alessandria che lo conobbe personalmente, ne rimase così affascinato che ne scrisse una vita «preoccupato della verità considerando che, nel narrare di un così grande uomo, il molto potrebbe generare incredulità, il poco potrebbe indurre al disprezzo» (Vita, prologo).
Antonio, riconobbe in Atanasio un forte difensore della fede. Prima di morire, regalò a lui ciò che da lui ricevette: «Al vescovo Atanasio date la mia pelle di pecora e il mantello sul quale mi coricavo. L’ho ricevuto da lui nuovo ed è invecchiato con me» (Vita, 91). Antonio nacque verso il 250 d.C. da una famiglia agiata di agricoltori nel villaggio di Coma, attuale Qumans, in Egitto e, verso i 18-20 anni, rimase orfano, con un ricco patrimonio da amministrare e con una sorella minore da accudire ed educare.
Prima della conversione, Atanasio ci fa una confidenza su Antonio: «Con i genitori andava in chiesa, ma non si distraeva, come gli altri ragazzi, né crescendo, diventava sprezzante. Era sempre rispettoso verso i genitori e, prestando attenzione alle letture, ne custodiva il frutto. Non infastidiva i genitori col chiedere, per le loro condizioni agiate, cibi più abbondanti e più succulenti. Insomma, non peccava di gola, sicontentava di quanto trovava e non chiedeva mai il di più» (Vita, 1).
Dopo la conversione, Antonio si ritirò in luoghi solitari a pregare e a cercare Dio conducendo una vita fatta di lavoro e di orazione. Scrive Atanasio: «Col suo lavoro non solo si comprava il pane ma faceva anche elemosina ai poveri. Pregava continuamente. Era così attento alla lettura delle Scritture che nulla gli sfuggiva. Ricordava tutto; al posto dei libri aveva la memoria» (Vita, 3).
La vita di Antonio abate è segnata anche dalla tentazione. Sono celebri le scene in cui gli artisti hanno voluto immortale la lotta tra l’uomo di Dio il demonio. La tentazione si presenta ad Antonio prima nella forma del desiderio dei beni materiali, gli affetti più cari (la sorella da accudire), il piacere del cibo, l’asprezza delle virtù che richiede sforzo. Antonio però, non senza difficoltà, seppe resistere con la grazia di Cristo e la preghiera: «In aiuto di Antonio c’era il Signore che per noi si fece carne e concesse al corpo la vittoria contro il diavolo in modo che ognuno che combatte possa dire: Non io, ma la grazia di Dio che è con me» (Vita, 5).
Si ritirò nel deserto per vivere indisturbato la vita ascetica. Non mancavano le tentazioni e la lotta spirituale. Atanasio è rimasto incantato da questa progressione nella lotta: «Era veramente degno di ammirazione perché, pur vivendo solo nel deserto, non temeva l’aggressione dei demoni, né la ferocia di tanti animali che vi erano, belve, quadrupedi, rettili. Ma, come sta scritto (Sal 124,1), confidava nel Signore come il monte Sion, con la mente tranquilla e senza turbamenti. Perciò i demoni fuggivano e le bestie feroci, come sta scritto (Gb 5,23), stavano in pace con lui» (Vita, 51).
Nel giro di pochi anni la fama di Antonio si diffuse ovunque e molti monaci e semplici laici andavano da lui a chiedere consiglio spirituale. È bello vedere Antonio come un abba (padre) spirituale che sa dirigere e guidare alla conoscenza di Cristo e alla perfezione della vita.
A quanti si avvicinavano «raccomandava soprattutto questo precetto: aver fede nel Signore, amarlo; guardarsi dai cattivi pensieri e dai piaceri della carne […] fuggire la vanagloria, pregare spesso, cantare i salmi prima e dopo il sonno, tenere a mente i precetti delle Scritture, ricordarsi delle azioni dei santi in modo che l’anima, ammonita da divini insegnamenti, possa uniformarsi allo zelo di quelli» (Vita, 55).
Il ritratto spirituale di Antonio abate ci porta ad osare anche noi ad avere una vita simile. In tal senso il biografo, Atanasio, rimane affascinato: «Era di carattere paziente e di animo umile. Aveva sul volto una grazia grande, straordinaria […]». La sua vita si distingueva per la serietà del comportamento e la serenità d’animo: «la gioia e la letizia testimoniavano il suo stato d’animo […] non era mai turbato, il suo animo era sempre sereno, la sua mente sempre gioiosa» (Vita, 67).
Prima di morire raccomandò ai monaci di «respirare Cristo»; Atanasio ci tiene a dire che la fama di Antonio non è dovuta agli scritti né ai miracoli ma solo all’amore a Dio. Questo dono di Dio – l’amore – ha reso possibile il prodigio di Antonio abate che rimane, nonostante i secoli, esempio di virtù e di progresso spirituale forte e deciso.
Prima di morire, Antonio raccomanda la pratica e l’impegno alla cura spirituale e alla vita cristiana: «Osservate la tradizione dei Padri e, in primo luogo, la fede in nostro Signore Gesù Cristo, che avete appreso dalle Scritture e che spesso vi è stata ricordata da me» (Vita, 89).
Sant’Antonio morirà a 105 anni nel deserto della Tebaide in Egitto. Ai monaci diede l’obbligo di non rivelare a nessuno il luogo della sepoltura. Atanasio, con l’affetto di figlio, scriverà le ultime volontà di Antonio padre spirituale: «Seppellite perciò il mio corpo e ricopritelo di terra. Ricordatevi di queste parole: nessuno, ad eccezione di voi, sappia il luogo della mia sepoltura […]. Giaceva disteso, col volto sorridente, e così spirò congiungendosi ai suoi padri» (Vita, 94).