Jacques Loew, prima ateo, poi prete operaio, poi…

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Per parlare di Dio, della Chiesa, della sua conversione nell’autunno 1932 e poi della sua esperienza di prete operaio, di missionario, di poeta, di uomo sempre in ricerca, presi la strada dell’abbazia di Échourgnac, nei colli del Périgord, nel dicembre 1995.

Qui Jacques Loew era venuto per finire i suoi giorni. Passeggiammo sotto i grandi alberi e lo vidi incantarsi come un tempo davanti a un fiore e ascoltare le voci del creato.

E se Dio esistesse?

Aveva 87 anni. Corporatura possente, occhi penetranti, sorriso di bontà e coraggio. Nella sua piccola stanza dell’abbazia di Nostra Signora della speranza, in Dordogna, terra che da Bordeaux si estende fino a Périgueux, Jacques Loew mi raccontò la sua storia. Visse tempi di guerra, incontrò filosofi e scrittori, atei e credenti, criticò la Chiesa amandola svisceratamente, strinse amicizie con donne di marciapiede e provò una simpatia profonda per Madeleine Delbrêl, l’atea agli altari.

Era nato nel 1908 a Clermont Ferrand, in Alvernia, apparteneva a una famiglia benestante. Era completamente ateo, affascinato da Anatole France, scrittore in voga, che gli insegnò uno «scetticismo elegante e sensuale». Battezzato nella Chiesa cattolica, Jacques ricevette la prima comunione nella Chiesa protestante. Crebbe nell’indifferenza religiosa.

A 24 anni, avvocato a Nizza, si ammalò di tubercolosi. Si pose nella casa di cura la domanda: «Forse Dio esiste? È una leggenda? La negazione della sua esistenza non dipende, per caso, dalla nostra ignoranza»?

Proseguì il racconto: «In sanatorio mi ero portato il Nuovo Testamento, datomi dal pastore protestante a conclusione della scuola della domenica. Chiesi ai monaci certosini nei pressi del sanatorio di accogliermi per qualche giorno. Erano i giorni della settimana santa. Presi parte ai riti liturgici, non capivo quasi nulla, ma ne rimasi scosso. Il giovedì santo tutta la gente andava alla comunione e io rimasi al mio posto. Una domanda inquietante: ma è tutta pazza questa gente che va a fare la comunione? C’è qualcosa che io non vedo nell’ostia che consumano»?

«Nevicava. La neve cadeva e raccolsi un fiocco di neve. Ne ammirai la perfezione, la bellezza. Ebbi come un’intuizione che ci fosse qualcuno dietro il più piccolo fiocco di neve. Il fiocco non può essere il frutto del caos. Ci deve essere un’intelligenza, un artista sommo dietro i fiocchi di neve. Sentii che mi prendeva la certezza di una Bellezza e di una Intelligenza creatrice senza limiti. Fu la prima intuizione della possibilità dell’esistenza di Dio».

Incominciò a pregare, pur non essendo del tutto certo dell’esistenza di Dio. Il Dio fatto uomo divenne una idea fissa. «Il mio cuore, il mio essere profondo, io stesso, l’ateo di una volta, andavo impregnandomi di gesti, di frasi, del destino di Gesù, che diventava il mio essere, il mio agire, la mia preghiera, la mia azione. Mi riconoscevo nella parabola del tesoro nascosto in un campo. Scavai e trovai la fede, il tesoro della fede».

Nel 1934, Jacques entrò nel noviziato dei domenicani e, cinque anni dopo, ricevette l’ordinazione sacerdotale. Approfondì la Bibbia ed ebbe la fortuna di vivere accanto a padre Lagrange, lo studioso allontanato da Roma in odore di eresia: «Mai una parola di rancore nei confronti di Roma. Mi insegnò a superare le difficoltà, che poi mi sarebbero piovute addosso».

Incontrò padre Lebret, ex ufficiale di marina, fattosi domenicano, che gli affidò l’incarico di studiare la situazione di Marsiglia, soprattutto del porto, e arrivò alla conclusione: «Per conoscere veramente gli uomini, è necessario farsi scaricatore di porto, operaio della darsena.

Lavoratore al porto

Il 1° gennaio 1941, cominciò a lavorare al porto, pensando di restarci il tempo di un’inchiesta sociologica, cinque o sei settimane, forse qualche mese. Vi restò dodici anni e parecchi mesi. «Venivo da un ambiente borghese, avevo una cultura classica e giuridica, avevo fatto la scelta di essere domenicano, un uomo di studio e, invece, eccomi tra spagnoli, italiani, armeni, maltesi e proprio costoro mi fecero capire che cosa è l’uomo».

«Mi vennero i dubbi. Sognavo il mare, la quiete, i libri. Ma ripensavo ai momenti della mia conversione, a quelle frasi evangeliche che avevano sconvolto la mia vita fino a consegnarla totalmente a Dio e al mondo intero. Capii allora che non bastava condividere la fatica del lavoro, ma che bisognava vivere in comunità di vita e di destino con i più umili e i più diseredati. Come Gesù nel vangelo».

Colpo al cuore. Nel 1954, la Santa Sede proibiva ai preti operai di continuare il loro lavoro. Ne soffrì moltissimo, accettò e spiegò ai suoi compagni del porto perché, a differenza di molti altri, obbediva a Roma. Non si perse d’animo e riprese a pensare a un suo vecchio progetto: la fondazione di un istituto missionario che condividesse la via dei quartieri, alla maniera dell’apostolo Paolo e i preti si guadagnassero il pane lavorando.

Fondò la Missione operaia santi Pietro e Paolo con un programma estremamente povero. Condividere la vita di Dio e degli uomini e riunire gli uomini tra di loro e con Dio in Gesù Cristo. L’istituto venne approvato dall’autorità ecclesiastica e si diffuse in varie nazioni. A Friburgo, in Svizzera, fondò la Scuola della fede.

Nel ’70, Paolo VI, da sempre attento alle vicende dei preti operai, lo chiamò in Vaticano per predicare gli esercizi spirituali alla curia romana.

Il fascino del silenzio

Nel 1981, Loew sentì ancora una volta il fascino di un’abbazia. Si ritirò dapprima a Citeaux, in Borgogna, l’abbazia fondata nel 1098 e divenuta, con san Bernardo nel 1104, il centro dell’ordine cistercense.

Nel 1986 entrò nell’abbazia Notre-Dame de Tamié nell’Alta Savoia. Poi scelse l’abbazia di Échourgnac: «Unisco il mio silenzio a quello delle monache trappiste di stretta osservanza, un silenzio che mi riporta la sirena delle navi, il crepitio delle corde e anche le bestemmie dei miei compagni di lavoro».

Come si sente ora? «Alla fine della mia vita, sa chi sono? Un povero uomo che cerca Dio. Non ho finito di cercare Dio».

Come spiega la sua simpatia per Madeleine Delbrêl? «Perché vedo nella sua vita, nella sua esperienza, la mia vita, la mia esperienza. Tutti e due atei, tutti e due contro la Chiesa e i preti, tutti e due alla ricerca di qualche cosa, di Qualcuno».

Faceva freddo quel giorno del 1995 quando lo incontrai. L’abbazia era nel silenzio dell’inverno. Le monache avevano cantato i vesperi. Un pasto frugale e quindi la compieta, la preghiera che chiude la giornata.

Poi, il sonno. Per Jacques Loew, il sogno e l’attesa dell’incontro con il Signore della sua conversione, della testimonianza nel porto, della lode e del silenzio. Ma anche dell’incontro e dell’abbraccio con Michèle, la prostituta, che scrisse la sua esperienza Dal marciapiede alla libertà.

Colpita da un tumore, morì il 25 novembre 1986. Era diventata una mistica. E l’incontro con Madeleine Delbrêl, l’atea, la convertita, la mistica. «Credo… la risurrezione della carne, la vita eterna. Mi lasci dire che non vedo l’ora di rivederle».

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