
Rocco D’Ambrosio, presbitero, è docente di Filosofia politica presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e presidente della associazione «Cercasi un fine» APS. Ha dedicato la sua più recente fatica editoriale all’etica pubblica con il titolo: L’etica stanca. Dialoghi sull’etica pubblica (Studium, 2025). Gli abbiamo fatto alcune domande per presentare il volume.
- Caro Rocco, cominciamo dal tema del tuo libro, l’etica pubblica: puoi dirci che cosa è, di che cosa si occupa l’etica pubblica?
Il saggio parte dal definire l’etica come il nostro modo di orientarci nel mondo: imparando, ispirandoci, dialogando e cercando di essere fedeli a quei principi fondanti il nostro stare insieme nella sfera pubblica. Essa è quella realtà dove entriamo ogni qualvolta usciamo di casa, a piedi, o in auto o con i mezzi pubblici, per raggiungere il luogo di lavoro o di incontro con amici e conoscenti, sedi di istituzioni politiche, amministrative, culturali, di volontariato, comunità di fede religiosa. Entriamo nella sfera pubblica, in maniera del tutto diversa, anche ogni qualvolta usiamo il nostro smartphone o computer per navigare o essere presenti sui social. Tutte queste azioni pubbliche pongono tanti questioni e dubbi etici.
- Ci spieghi il gioco di parole che utilizzi nel titolo?
Di fatto c’è un piccolo «equivoco». La parola «stanca» è verbo o aggettivo?
Nel primo caso: tutte le riflessioni che hanno a che fare con il comportamento (ethos), quindi con i principi etici, alla lunga potrebbero stancare, arrecare noia o scadere nella retorica; Francesco diceva che «l’etica dà fastidio». Nel secondo, parleremmo di un’etica che è stanca in sé, cioè la tratteremmo come una persona che si è stancata di spiegare, dialogare, orientare, insegnare, valutare, indicare atteggiamenti. Nella finzione letteraria ci potrebbe anche stare. Scelgo la strada di conservare entrambe le interpretazioni e… chi legge capirà ciò che scelgo!
- Come mai hai voluto scrivere il libro in forma «dialogata»?
Sull’etica pubblica ho dialogato – e dialogo – spesso con amici e conoscenti. Ho chiesto loro di indicarmi alcuni temi cruciali e dibattuti, a loro avviso, di etica pubblica. Con tutti loro ho avuto, in diversi tempi, dei dialoghi su questi temi e poi le risposte ad alcune mail o appunti che avevo preso incontrandoli. Ho cercato di accogliere tutte le loro sollecitazioni, anche se in alcuni casi non le ho citate esplicitamente nel testo: quasi un lavoro a più mani.
- Quali sono i temi che affronti?
L’indice ne dà un quadro abbastanza completo: L’etica come uno stare al mondo; L’etica dal privato al pubblico; La privatizzazione del pubblico; Tutto è connesso o tutto è in relazione?; La crisi delle relazioni; Le radici della responsabilità; Gli abiti privati e quelli pubblici; La coerenza: parole e azioni si sostengono a vicenda; Non obbedire a chi comanda male; La solitudine etica; Un check-up di gruppi e istituzioni; La giustizia prima virtù pubblica; Parresia, libertà e fedeltà cercansi; L’amicizia: è pubblica o privata? La bellezza, la bontà e la poesia perse nel traffico; La pesantezza del pubblico, la leggerezza dell’umorismo; La politica odierna, poco architettonica; I populisti dell’ultima ora; La fiducia nella sfera pubblica e in chi è al potere; Il quotidiano del potere: la pubblica amministrazione; Il volontariato: un tesoro trascurato.

- Il tema, «etica pubblica», compone due orizzonti oggi entrambi difficili da comprendere: anzitutto, l’idea di un’etica – secondo l’accezione classica di una ricerca del bene valida per tutti – è indebolita da un approccio alla realtà sempre più emotivo (si valuta in fretta e sulla base di ciò che piace) e dal pluralismo culturale e religioso con cui siamo confrontati; in secondo luogo, all’etica viene casomai riservata la sfera privata, personale, mentre appare difficile motivare una ricerca del bene che tocchi le prassi della nostra convivenza umana e civile. Perché ritieni sia fondamentale impegnarsi intorno alla proposta di un’etica pubblica?
Perché, come direbbe mia madre (che senza saperlo cita Aristotele): se sono bravo o sincero o altro, cioè posseggo una virtù, devono essere gli altri a riconoscerlo. E inoltre il mio essere virtuoso è per il mio bene e, allo stesso tempo, per il bene degli altri e dell’ambiente in cui vivo. Siamo persone in relazione, sempre. E l’etica pubblica è la mappa etica che deve guidare il nostro agire pubblico. Affianco ad essa, poi, la riflessione etica si specifica e tocca soggetti e ambienti precisi (società, politica, economia, cultura, spettacolo, associazionismo, comunità di fede religiosa e così via). Ovviamente, nello spazio pubblico, nessuno può essere «raccomandato» e imporre la sua visione etica. I principi comuni sono quelli della Costituzione e le scelte, per rispondere alle nuove sfide etiche (due esempi per tutti: il fine vita e la gestione della cosiddetta intelligenza artificiale e dei Big Data), vanno fatte in un clima costruttivo di dialogo e confronto per cercare ciò che ci unisce, più che ciò che ci divide.
- Inevitabile porre la questione del potere, un tema a te caro a cui hai dedicato due libri (Il potere e chi lo detiene [EDB, Bologna 2008]; Il potere. Uno spazio inquieto [Castelvecchi, Roma 2021]). Ne l’Etica stanca ne parli in senso lato a proposito della gestione politica del «pubblico» (trattando, ad esempio, di coerenza e della virtù della giustizia), ma lo declini anche sul «quotidiano esercizio del potere» da parte della pubblica amministrazione. Un tema urgente e delicato, soprattutto nel nostro Paese…
Non solo il nostro Paese. Oggigiorno molte realtà politiche e istituzionali nel mondo hanno seri problemi perché guidate da leader con scarsissime: maturità umana, rettitudine etica e preparazione tecnica. Abbiamo una classe dirigente (non so se è la maggioranza o meno) fatta da immaturi e incapaci, facilmente schiavi di interessi personali e di gruppi ristretti. Il loro dio è il consenso e/o il profitto. Altro che bene comune o pubblico. «La rivoluzione – diceva Charles Peguy – o sarà morale o non sarà».
- Parliamo di un tema che affronti: il populismo. Esso si sviluppa dalla democrazia ma può diventare una minaccia per la stessa. Scrivi infatti: «le democrazie segnate da forti elementi populisti finiscono per tradire i principi democratici fondamentali». Quali sono le sfide maggiori portate dai populismi?
Preferisco riferirmi ai soggetti: i populisti. Essi sono leader immaturi, eticamente discutibili e incompetenti, come si diceva poco fa. Per governare hanno bisogno di «esasperare, esacerbare e polarizzare» (papa Francesco), specie attraverso i media. E quindi la prima sfida è spiegare e arginare questo ciclone. La seconda è difendere la Carta Costituzionale, nei suoi principi e assetti fondanti. La terza è educare, educare, educare… ad essere cittadini attivi, consapevoli e coerenti.
- Altro tema maggiore è quello della crescente sfiducia nelle istituzioni pubbliche e in chi è al potere nelle nostre democrazie, che si registra come declino della partecipazione politica (in particolare nell’astensione elettorale). Da dove pensi sia possibile ricostruire un patto con le generazioni più giovani e come le si rimotiva a un impegno per la costruzione del «pubblico» (anche attraverso la politica)?
Molto spesso mi è capitato, nei corsi di formazione sociale e politica (specie con gli amici di Cercasi un fine), di ascoltare giovani e adulti riferirsi al problema della fiducia come uno dei più gravi problemi attuali. La situazione, dal punto di vista sociale, politico ed economico, infatti, mette a dura prova molti degli atteggiamenti fondamentali, sia dal punto di vista antropologico che etico. Uno di questi – non il solo, ma certamente tra i più importanti – è quello della fiducia. Essa, la fiducia, deve essere insegnata, trasmessa, coltivata e verificata continuamente. Se consideriamo i tre elementi – dati etici, emotivi e tecnici – come il telaio su cui si tesse la fiducia, dovremmo affermare che ogni tela (relazione) che tessiamo va costantemente monitorata. Non va inoltre dimenticato che il rapporto di fiducia necessita anche di attenta valutazione. La fiducia, infatti, non è un atto di fede cieca. Essa è il frutto di una ponderata valutazione e di continua formazione.
- La stessa dimensione del «volontariato», che tocca la valutazione positiva e la scelta di investirsi gratuitamente per contribuire alla costruzione di uno spazio pubblico accogliente e solidale, non vive una stagione felice, nelle parrocchie come nelle associazioni civili e politiche (sono in sofferenza i «corpi intermedi»). Nel tuo volume parli di un «tesoro trascurato». Cosa intendi e, ancora una volta, come immagini lo si possa rivitalizzare?
Ho scelto di fare qualche considerazione sul mondo del volontariato, in questo saggio di etica pubblica, perché ritengo che esso sia uno spaccato molto importante della sfera pubblica, prima di tutto perché esso risponde a logiche particolari: non è retribuito, né obbligatorio, ha diverse motivazioni e concezioni del pubblico, è prezioso e, purtroppo in Italia, per quanto significativa, è una «risorsa scarsa». E poi non va dimenticato – che il volontariato è oggi vessato da una discutibilissima legge (cf. RUNTS), voluta dal governo Renzi, che di fatto privilegia le grandi organizzazioni (che sono ormai delle imprese sociali, con più impiegati che volontari) e chiede, spesso anche l’impossibile, alle piccole associazioni di volontari, che rischiano cosi di morire.
- Che cosa è la «solitudine etica» di cui parli in uno dei capitoli?
Personalmente definirei la solitudine etica come un profondo stato di solitudine rispetto al gruppo di appartenenza di cui ci si sentiva parte integrante, non solo per la condivisone di spazi, tempi e progetti, ma anche perché si condividevano principi etici di fondo. Per diverse cause si inizia a sentirsi, nel gruppo, molto soli perché i suoi membri fanno scelte in contraddizione o opposte ai contenuti e alle prassi, fino ad allora, credute autentiche. In alcuni casi la solitudine è un vero e proprio isolamento della persona che ha denunciato alcune incoerenze gravi e patologie istituzionali. Questa condizione di solitudine etica impone una seria riflessione e discernimento personali su cosa fare, ma anche una verifica sulla qualità e finalità delle nostre relazioni pubbliche (e anche private, talvolta).
- Concludi la tua trattazione con l’immagine delle «indicazioni stradali» a proposito della discussione etica sulla realtà pubblica. Qui torna l’idea dell’etica che «stanca». Cosa vuoi consegnare ai tuoi lettori?
Vorrei consegnare un piccolo «spazio» di riflessione e confronto su… ciò che facciamo nel mondo (direbbe la Arendt), su come operiamo nella sfera pubblica: insieme a chi? con quale progetto? per quale finalità? e ispirati da quali principi?






Nel mio lavoro ospedaliero come dipendente pubblico.. lasciavo di tanto in tanto che altri intuissero la mia etica professionale.. come persona.. come medico.. come cristiana cattolica.. come persona in cammino.. .. .. .. rarissimamente andavo anche sopra le righe lasciando parlare il mio cuore.. e quando lo facevo.. sapevo che avrei dovuto fare i conti con i commenti detti e non detti.
Il ruolo dirigenziale espone inevitabilmente a confronti.. critiche.. ma nello stesso tempo.. può offrire.. di tanto in tanto.. in modo consapevole.. l’occasione di manifestare la propria etica nel lavoro.. nel pubblico.
Ho imparato nel corso degli anni a dosare il mio dispendio energetico emotivo nel lavoro operativo e dirigenziale.. ..ho imparato ad ascoltare.. a rispettare.. ad essere mite..
E’ richiesta in molti casi un’ intelligenza emotiva.. affettiva.. nel gestire le proprie emozioni e nel riconoscere i conflitti emotivi altrui.. per poterli affrontare e gestirli al meglio..
In altri contesti.. si affaccia la tentazione di un’etica difensiva.. ai limiti dell’etica stessa..
E’ davvero difficile e quant’è vero che non si deve mai giudicare.. perché non si conosce.
Osserviamo il Maestro nella Sua missione terrena.. tra le folle.. le moltitudini di persone di ogni tipologia.. non ha detto la Verità tutta intera.. parlava spesso in parabole.. perché voleva arrivare ai cuori.. non alle menti.. e’ così che ha dato compimento alla Legge del Padre.
Possiamo imitarLo. ” imparate da Me che sono mite e umile di cuore ” .