
Le sorelle Mirabal
Si chiamavano Aida Patria Mercedes, María Argentina Minerva e Antonia María Teresa. Di cognome facevano Mirabal ed erano tre sorelle. Erano nate, tra il 1924 e il 1936, nella Repubblica Dominicana, la parte orientale dell’isola di Hispaniola, una delle isole più grandi dell’arcipelago delle Antille. Qui, nel 1930, era salito al potere con un colpo di stato il dittatore Rafael Leónidas Trujillo, che aveva instaurato un regime segnato da massacri e violenze e dall’uso della tortura e degli omicidi politici per reprimere le opposizioni.
Durante la giovinezza le sorelle Mirabal, cresciute in una famiglia colta e benestante, maturarono la decisione di impegnarsi in prima persona nella lotta contro il dittatore ed iniziarono ad ospitare a casa loro le riunioni dell’organizzazione clandestina rivoluzionaria «Movimento 14 giugno». Presto la loro attività fu intercettata dalla polizia segreta, il SIM, Servico de Inteligencia Militar, e cominciarono le persecuzioni.
All’inizio del 1960 Minerva, Maria Teresa e i loro mariti furono portati in prigione con l’accusa di aver attentato alla sicurezza nazionale. Ma, dopo trent’anni di feroce dittatura, su Trujillo premeva ormai l’opinione pubblica internazionale. Il dittatore si vide costretto a fare uscire dal carcere le donne e a metterle agli arresti domiciliari, mentre i mariti rimasero rinchiusi nel carcere della città di Puerto Plata.
Il 25 novembre 1960, Minerva e María Teresa si recarono a Puerto Plata per fare visita ai loro mariti. Erano accompagnate dalla sorella maggiore, Patria. Durante il viaggio di ritorno, le tre sorelle furono fermate dalla polizia, picchiate e uccise a bastonate. Poi gli agenti del SIM inscenarono un incidente stradale.
Trujillo credeva di aver eliminato un problema, sopprimendo in quel modo brutale tre donne scomode e pericolose. Ma non aveva tenuto conto delle ripercussioni che la notizia del loro assassinio avrebbe avuto sull’opinione pubblica dominicana.
La morte delle tre sorelle Mirabal fu l’occasione perché molte coscienze uscissero dallo stato di passiva rassegnazione che aveva caratterizzato quei trenta, lunghi e sanguinosi anni, di dittatura. La notizia del massacro scatenò una rivolta che in pochi mesi portò Trujillo alla morte e pose fine al suo spietato regime.
Il dovere della memoria
Oltre a Patria, Minerva e Maria Teresa c’era anche una quarta sorella, nella famiglia Mirabal: Adela, detta Dedè. Fino a quel 25 novembre aveva scelto di non impegnarsi politicamente e per questo era stata risparmiata dall’attentato che aveva sterminato la sua famiglia.
Ma il brutale assassinio delle sue sorelle fu per Adela una chiamata inappellabile: da quel 25 novembre 1960 dedicò tutta la vita alle sorelle, prendendosi cura dei loro figli e custodendo la memoria del loro impegno civile. Ogni anno, il 25 novembre, Dedè veniva intervistata da troupe televisive e giornalistiche e raccontava della lotta che Patria, Minerva e Maria Teresa avevano intrapreso contro la feroce dittatura di Raphael Trujillo.
Se la loro storia non è stata dimenticata, lo dobbiamo ad Adela, dobbiamo ad Adela se, nel 1999, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha scelto la data del 25 novembre per celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Per una e per tutte le altre
Da diversi anni alla giornata contro la violenza sulle donne vengono associati i simboli delle scarpe e delle panchine rosse. La simbologia del rosso, colore del sangue, richiama con immediatezza la violenza che per millenni mani maschili hanno perpetrato contro le donne.
Le installazioni di scarpe femminili del colore del sangue nascono da un progetto realizzato per la prima volta nel 2009 dall’artista messicana Elina Chauvet in una piazza di Ciudad Juárez, nel Nord del Messico, al confine con gli Stati Uniti. Tristemente famosa per il traffico di droga e di esseri umani, per la violenza di genere e per i femminicidi, Ciudad Juárez è la città in cui si è consumato l’assassinio della giovane sorella di Elina Chauvet, uccisa per mano del marito.
Per non dimenticare e per chiedere giustizia, per la propria sorella e per tutte le altre, le innumerevoli sorelle la cui vita è stata spezzata dalla violenza insensata e ingiustificabile di una mano maschile: questo è il messaggio dell’installazione Zapatos Rojos di Elina Chauvet, questo il senso delle panchine dipinte di rosso che troviamo nelle strade delle nostre città, nelle scuole e negli spazi pubblici.
Nome in codice Mariposas
Mariposas, farfalle, era il nome in codice scelto dalle sorelle Mirabal, Mariposa è il titolo della canzone con cui Fiorella Mannoia si è presentata a Sanremo nel 2024. Un inno alla sororità, un manifesto della consapevolezza e dell’emancipazione femminile:
Mi chiamano con tutti i nomi,
tutti quelli che mi hanno dato,
e nel profondo sono libera, orgogliosa e canto
Mi chiamano con tutti i nomi,
tutti quelli che mi hanno dato,
e anche nel buio sono libera, orgogliosa e canto
Mi chiamano con tutti i nomi,
con tutti quelli che mi hanno dato,
e per sempre sarò libera, e orgogliosa canto.






Ma si deve fare di più. Non basta la sorellanza, bisogna insegnare agli uomini, fin da bambini che l’amore è libertà e non un cappio al collo e che la fine di una relazione non è un fallimento ma una opportunità di crescita ed l’uomo soprattutto che lo deve imparare le sorelle massacrate dal dittatore sono certo un simbolo, come lo sono tutte le donne massacrate dai loro compagni, dagli uomini che dicevano di amarle, questo è un punto cruciale: l’amore che porta ad uccidere le donne e al tempo stesso l’idea di società basata sulla relazione, il matrimonio, l’amore di una coppia che perpetua la specie.