Sono appena rientrato a casa dalle mie due ore settimanali di lezione su “Chiesa e sacramenti”. A poco più di metà semestre devo confessare, in primo luogo a me stesso, di aver perso la battaglia. Loro, i ragazzi che pazientemente si sono digeriti il tema fino a qui, non hanno colpa – davvero. E io posso dire di aver combattuto finora in tutta onestà; ma a questo punto, andare avanti così sarebbe un delitto nei loro confronti. Neanche gli squarci più ariosi aperti sul Vaticano II li accalora un po’, generando una qualche passione non solo per il tema, ma anche per la cosa stessa. Quegli squarci che mi catturano e mi convincono ogni giorno di un’appassionata adesione alla comunità del Signore. Lo scollamento generazionale è vertiginoso, e bisogna porvi rimedio in qualche modo in tempi strettissimi. Altrimenti li perdiamo per sempre – loro, i ragazzi e la loro fede. I primi due capitoli di Lumen gentium, su cui si è costruita la storia della mia fede nella partecipazione alla vita e alle vicissitudini della Chiesa, sono per loro come un testo scritto in geroglifici. Farraginoso, lontano con le sue referenze dal loro vissuto, complicato e non accessibile. Fatto per parlare alle condizioni attuali del tempo ha perso la sua voce per strada.
Né l’immagine di una tradizione creativa (Theobald), né quella che la vede come lento accumulo di strati su cui si innestano degli scarti (Faggioli), smuove di un millimetro la loro passione. Che pure c’è, ve lo assicuro; solo che così proprio non ce la facciamo a raggiungerla. Capisco benissimo, è il mio mestiere in fin dei conti, che bisogna pur spiegargli come funziona la macchina; ma non ne possono più di vederla permanentemente ferma in officina – mentre noi la smontiamo e rimontiamo, riscrivendo ogni volta il manuale d’uso. Vorrebbero vederla muoversi lungo le strade dell’umano, come dovrebbe essere di lei. Azzardo di un segno che si fa carico della dismisura del Regno, della dedizione sconfinata e senza misura del Dio di Gesù. Troviamo subito un modo per non fare della Chiesa un club di cinquantenni e oltre che si combattono tra loro a fil di fioretto sul soggettivo e sull’oggettivo; da qualsiasi parte della contesa ci schieriamo, i ragazzi li abbiamo già immancabilmente mancati. Anche la nostra passione per Francesco la sopportano a fatica, nel cordiale apprezzamento che non mancano di concedere al nostro. Non ne possono più di testi che giocano con l’alchimia delle parole, sono in attesa invece di schiette pratiche evangeliche come dovere stesso della Chiesa.
La passione per l’Evangelo e la perdita di credibilità della Chiesa, che li contrassegna, ci devono interrogare urgentemente e inquietare nel profondo. Stiamo correndo il rischio di mancare un’opportunità epocale; e la colpa è soltanto nostra. Il corso lo devo comunque in un qualche modo finire, e loro con me se vogliono andare avanti negli studi. Ma catturarli nella trama di questo ricatto sarebbe indegno della bellezza della loro fede e della pretesa del Regno. Per ora ho solo il barlume incerto di qualche idea. Una riduzione estrema ai fondamentali, intessuta con sapienza e intelligenza – perché i nostri ragazzi, sorpresa delle sorprese, una buona argomentazione proprio la desiderano, anzi la cercano quasi con frenesia nel vuoto siderale del nostro tempo. Ma basta con idealità, autorevoli finché vogliamo, lontanissime dalla realtà che poi gli offriamo. Se devo chiedere loro di rimboccarsi le maniche per mettere una qualche pezza degna dell’Evangelo alla barca ciondolante della comunità ecclesiale, devo mostrare loro con persuasione che la loro passione sarà onorata a dovere. Altrimenti meglio mandarli a spendere l’energia delle loro passioni per la Croce Rossa – datemi retta. Ma non sono poi così sicuro di poter onorare davvero il debito che così contrarrei con loro.
I ritmi della scuola, frenetici e pieni di cose che nulla hanno a che fare con le ragioni originarie per cui siamo lì, sono talvolta una benedizione. La settimana prossima, stessa ora, stessa aula: per qualcosa che si davvero altro, onorando così la passione della loro fede.