Le Chiese e la dissoluzione dell’Occidente

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L’«Occidente», inteso come alleanza geopolitica e modello ideologico di democrazia liberale, ha perso centralità e coesione sotto il trumpismo, accentuando la crisi europea. Le Chiese reagiscono in modi diversi: Roma si proietta globalmente, mentre il Protestantesimo recente si è sviluppato in dialogo, critico, ma intenso, con l’ideologia «occidentale», e da noi con il progetto europeista. Fulvio Ferrario è professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma. Articolo pubblicato sulla rivista Confronti, 14 ottobre 2025

C’era una volta l’«Occidente»: si è sempre trattato, naturalmente, di un concetto molto impreciso, contestabile da diversi punti di vista, ma abbastanza chiaro. Dal punto di vista geopolitico, il cosiddetto «Asse transatlantico»: un complesso duopolio economico, ricco di contrasti, ma alla fine funzionante, garantito militarmente, anche dopo la fine della Guerra fredda dalla strapotenza americana; un elemento, quest’ultimo, che ha determinato quella che potremmo chiamare «asimmetria consensuale» in politica estera: un’Europa che ha contenuto le spese militari, affidandosi all’alleato, e rinunciando, in cambio, a un ruolo realmente autonomo.

L’«Occidente», tuttavia, era anche una grandezza ideologica, imperniata su di un modello anglosassone di democrazia liberale, con le sue ricchezze e le sue gigantesche contraddizioni: un’ideologia che ha anche permesso una significativa espansione di diversi diritti individuali e, specie in Europa, e solo in una fase chiusa da tempo, anche una certa riduzione della forbice tra ricchezza e povertà.

Dovremmo aver imparato da un pezzo a lasciar cadere le celebrazioni trionfalistiche dell’«Occidente»; per contro, detrattori e detrattrici, in genere di estrema Destra e di estrema Sinistra, farebbero bene, ad ammettere che il paragone con altri sistemi, nei due emisferi del globo, parla una lingua sufficientemente chiara.

L’«Occidente» è stato spazzato via dal trumpismo. Con il senno di poi, è abbastanza facile osservare che gravissimi elementi di debolezza allignavano da tempo nei gangli vitali del sistema: resta il fatto che la velocità della dissoluzione ha sorpreso un po’ tutti. Non sappiamo se è definitiva, ma certo costituisce il nostro oggi. La fine del sistema «occidentale» ha accentuato la crisi del progetto europeo, pensato all’interno di quell’orizzonte.

L’Unione europea è ora un precario assemblaggio di Stati e interessi, dove prevalgono toni sovranisti e fascistoidi, efficaci in sede critica e a volte (come in Italia) abbastanza bravi a gestire il potere, ma privi, a quanto sembra, di un progetto comune. Il rimasuglio di «Europa» è incarnato dall’asse franco- tedesco, anch’esso, però, esposto al rischio di crollare sotto i colpi dell’estrema Destra.

Come reagiscono le Chiese alla fine dell’«Occidente»? La meglio posizionata è Roma. Essa si pensa in prospettiva globale e da decenni considera l’«Occidente» periferico, demograficamente povero, ideologicamente alquanto sospetto, in quanto patria della secolarizzazione e, come diceva Benedetto XVI, del «Relativismo».

Il progetto wojtyliano di un’Europa «dall’Atlantico agli Urali» non è più centrale: perché Kyrill non è al momento popolarissimo in Vaticano, ma soprattutto perché́ il baricentro del Cristianesimo, anche cattolico, è a Sud. Il feeling con l’Ortodossia (che non è solo Mosca, ma che nel medio periodo non è pensabile senza Mosca) è però profondo, proprio perché incorpora riflessi antimoderni e antioccidentali ben radicati nel Cattolicesimo.

Tale santa alleanza post-occidentale potrebbe persino inglobare settori evangelicali, anch’essi critici nei confronti di quell’eredità. Il Protestantesimo recente si è sviluppato in dialogo, critico, ma intenso, con l’ideologia «occidentale», e da noi con il progetto europeista: la crisi di tale costellazione si aggiunge alle difficoltà che le Chiese evangeliche incontrano su altri fronti e il risultato non può che essere un’accentuata marginalizzazione.

In alcuni ambienti, serpeggia la tentazione di riconquistare un minimo di visibilità saltando sul treno guidato dal Vaticano e accettando con una certa disinvoltura una subalternità imbarazzante. L’alternativa può solo consistere nel comprendere il Protestantesimo come Cristianesimo contestuale, in quella parte di mondo e in quella parte di società che considerano umanizzanti (e non privi di aspetti di «analogie» con il messaggio evangelico) alcuni esiti della parabola moderna: democrazia, diritti individuali, passione per la giustizia sociale e di genere.

«La vecchia Teologia liberale», mi diceva, con sufficienza, un famoso sociologo. Qualcosa di più, io credo: ma, anche se fosse, sempre meglio di un’ancor più vecchia Teologia reazionaria.

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14 Commenti

  1. Angela 4 novembre 2025
    • Pietro 5 novembre 2025
  2. Giuseppe 4 novembre 2025
  3. Adelmo li Cauzi 3 novembre 2025
  4. Pietro 3 novembre 2025
    • Guido 4 novembre 2025
      • Angela 4 novembre 2025
        • Pietro 5 novembre 2025
  5. Mariagrazia Gazzato 3 novembre 2025
    • Angela 3 novembre 2025
      • Pietro 3 novembre 2025
        • Angela 4 novembre 2025
          • Pietro 4 novembre 2025
  6. Angela 3 novembre 2025

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