Letteratura e ambiente

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Anche il Festivaletteratura 2023, svoltosi a Mantova dal 6 al 10 settembre, ha presentato una serie di eventi dedicati all’energia, all’ambiente e al clima.

Gianluca Ruggieri, ingegnere ambientale, è docente di Fisica tecnica ambientale all’Università degli Studi dell’Insubria; è attivista energetico e socio fondatore di cooperative italiane sorte allo scopo di produrre energia rinnovabile da impianti con garanzia d’origine.

Il 6 settembre ha tenuto una relazione dal titolo Tra efficienza, sufficienza ed elettrificazione. Ognuno di noi ha idee sul futuro del mondo e tutti speriamo che l’uomo possa vivere ancora per molto tempo in condizioni accettabili; le questioni ambientali sono fondamentali per la sopravvivenza delle specie viventi. La distribuzione delle ricchezze è fortemente ineguale: basti pensare che l’1% della popolazione più ricca emette il doppio del 50% della popolazione più povera. Occorre giustizia climatica per raggiungere una giustizia sociale, pur nei limiti planetari delle risorse disponibili.

Ne parlava già il Club di Roma oltre 50 anni fa in “I limiti dello sviluppo”. Attualmente ci sono almeno 9 faglie di crisi o emergenze per il genere umano, che riguardano: clima, aerosol (polveri nell’aria), acqua potabile, acidificazione degli oceani, cicli dell’azoto e del fosforo, suolo, biodiversità ed estinzione di massa, nuove sostanze messe in circolo, ozono. Solo per l’ultimo problema (buco dell’ozono) abbiamo visto un netto progresso a seguito di accordi internazionali.

Parlando dell’emergenza climatica, osserviamo che, a livello globale, le emissioni di CO2 in atmosfera passano da 23 Gt (miliardi di tonnellate) nel 1991 a 37 Gt nel 2021, con un incremento del 61% in 30 anni. Nello stesso periodo le emissioni cumulate passano da 830 Gt a 1.740 Gt. Abbiamo ancora 30 anni per azzerare le emissioni annue.

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Emissioni annue mondiali di CO2 in Mt; 1 Gt = 1000 Mt (Sole 24 Ore).

Lo scenario Net Zero Emissions by 2050 (NZE) elaborato dalla IEA (International Energy Agency) impone entro il 2050 l’azzeramento delle emissioni nette, cioè delle emissioni totali cui si sottrae l’assorbimento di CO2 da parte dell’ecosistema. Nel 2050 le fonti energetiche rinnovabili dovrebbero soddisfare il 90% del fabbisogno energetico mondiale; attualmente, nella UE, solo il 20% viene dalle rinnovabili. Per raggiungere l’obiettivo indicato, la IEA prospetta 23 azioni da perseguire: l’efficientamento energetico degli edifici, la riduzione o l’azzeramento dei veicoli con motori a combustione, forti interventi nei processi industriali e di produzione dell’energia.

La prima cosa da fare è non autorizzare nuove ricerche di giacimenti fossili (carbone, petrolio, gas). È necessario ridurre i consumi (sufficienza), migliorare i dispositivi in termini energetici (efficienza), utilizzare sempre più l’energia elettrica (elettrificazione). Alcuni esempi. Una casa del XX secolo con riscaldamento a gas, scarso isolamento delle pareti e dei serramenti è di classe G, con un consumo annuo di circa 200 kWh/m²; mentre una casa NZE di classe A consuma annualmente 20 kWh/m².

Se una caldaia per riscaldamento a gas ha un rendimento medio del 90%, una pompa di calore può raggiungere il 160%. Così un’auto a motore termico ha un rendimento effettivo che non supera il 20%, ma un’auto elettrica raggiunge l’80%. Una lampadina a incandescenza da 100 W dà lo stesso risultato di una lampada a LED da 10 W. Allora perché abbiamo usato (e usiamo ancora) così male l’energia? Perché le fonti fossili sono sempre state a buon prezzo, sono facilmente trasportabili e utilizzabili. Ma ci hanno intossicato, hanno reso il nostro ecosistema meno vivibile e ci stanno portando a disastri ambientali molto pesanti. L’obiettivo resta la decarbonizzazione entro il 2050, anche se paesi come Cina, India e Russia hanno spostato il termine al 2060 o al 2070.

Tornando alla sufficienza dobbiamo porci domande del tipo: quali consumi è sensato tenere e a quali occorre rinunciare? Ha senso usare l’auto in città? Come rendere le città più vivibili?

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Il 7 settembre Gianfranco Pacchioni, chimico, prorettore alla ricerca e docente ordinario all’Università di Milano-Bicocca, ha trattato il tema Catturare la CO2. Una premessa: come non possiamo vivere senz’acqua e senza luce solare, così non possiamo vivere senza diossido di carbonio (CO2). La CO2 è essenziale perché consumiamo carboidrati (glucosio) per ottenere l’energia necessaria per la nostra vita, come risulta dalla formula:

C6 H12 O6 + 6 O2 → 6 CO2 + 6 H2O + energia

Quindi, mangiando, emettiamo CO2; ognuno di noi ne emette circa 1 kg al giorno. Tutta l’umanità emette giornalmente 2,5 miliardi di tonnellate di CO2 per la respirazione. E dove prendiamo i carboidrati per la nostra vita? La Terra si è formata 4,5 miliardi di anni fa; per 1 miliardo di anni è stata bombardata da corpi celesti che hanno portato carbonio e acqua, arricchendone la nostra atmosfera. Circa 3,5 miliardi di anni fa si è originata la vita e, tra i primi esseri viventi, si sono formati i cianobatteri che necessitavano di CO2 e di acqua, oltre che di energia solare:

6 CO2 + 6 H2O + energia solare → C6 H12 O6 + 6 O2

I cianobatteri agirono per 1 miliardo di anni, fino a 2,5 miliardi di anni fa, quando quasi tutta la CO2 fu consumata mentre si produsse una notevole quantità di ossigeno. Grazie al processo di fotosintesi, ottenuto con la luce solare, nei vegetali si formano i carboidrati e si accumula CO2. Per degradazione delle piante si sono formati i giacimenti di carbone, petrolio e gas naturale, che l’uomo ha continuato a utilizzare nei processi di combustione per ottenere energia, dalla metà dell’800 a oggi; bruciando i combustibili fossili si aumenta la CO2 nell’aria.

Oggi in atmosfera la CO2 è presente in tracce e si misura in ppm (parti per milione). Grazie ai carotaggi di ghiaccio eseguiti in Antartide, possiamo affermare che la concentrazione di CO2 in atmosfera non ha mai superato il valore di 320 ppm da 800 mila anni fa, fino alla metà del ‘900; mentre dal 1960 al 2022 il valore è cresciuto costantemente, passando da 320 ppm a 420 ppm.

Fu una scienziata americana, Eunice Newton Foote (1819-1888), a provare, nel 1856, che un aumento di CO2 in atmosfera produce un aumento di temperatura (effetto serra). Ciò avviene anche con altri gas serra, come il metano CH4. La nostra civiltà, fortemente energivora, produce e immette in atmosfera enormi quantità di gas serra, in particolare di CO2, con conseguente alterazione del clima.

Come fare per evitare una catastrofe climatica? Una delle possibilità è quella di catturare e sequestrare la CO2, spingendola sottoterra (CCS, carbon capture and storage): è un procedimento costoso, energivoro (la CO2 va messa sotto pressione) e non privo di rischi (esplosioni). Un altro metodo (CUS, carbon capture and utilization) è quello di riutilizzare la CO2, con l’uso dell’idrogeno.

Teniamo conto che, continuando con l’attuale ritmo di sviluppo, avremo un aumento della temperatura media terrestre di circa 4°C entro la fine del secolo, ben al di sopra della soglia di 1,5°C raccomandata dagli scienziati dell’IPCC. Per poter sperare di salvare l’ecosistema dalla catastrofe climatica occorre cambiare radicalmente il nostro modello di sviluppo.

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Gianni Silvestrini è ricercatore nel campo delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica e delle politiche energetiche; è stato consigliere del Ministero dell’Ambiente e del Ministero per lo Sviluppo Economico ed è presidente di Exalto, società di servizi e di consulenza nel campo delle rinnovabili. L’8 settembre ha presentato una relazione su Rinnovabili, batterie e materiali critici. Con l’aggravarsi dell’emergenza climatica, occorre darsi obiettivi ambiziosi per arrivare alla neutralità climatica entro il 2050. È difficile, ma non impossibile.

La prima cosa da fare, subito, è una riduzione dei consumi e un deciso miglioramento dell’efficienza energetica. La diffusione delle rinnovabili è favorita dal crollo dei prezzi dell’eolico e del fotovoltaico. La Cina è il paese più climalterante al mondo, ma anche il leader nelle rinnovabili e nelle auto elettriche: quest’anno produrrà una potenza di ben 100 GW solo col fotovoltaico, oltre a quella ottenuta col carbone e col nucleare; e il 90% dei pannelli FV viene dalla Cina. E questo perché le installazioni delle rinnovabili sono sempre meno care e l’energia elettrica prodotta è sempre più conveniente, sia nei piccoli impianti che in quelli domestici. Anche gli USA investono molto sulle rinnovabili.

La UE sta destinando più risorse per la produzione di pannelli FV e di batterie e aumentando la sua produzione di energia da rinnovabili, anche per effetto della guerra in Ucraina. Bisogna fare di più, ma molti governi non hanno la chiara volontà di giungere alla neutralità climatica entro il 2050. Per le fonti rinnovabili, data la loro intermittenza, è basilare il problema degli accumuli di energia su base giornaliera, settimanale, mensile. Per accumuli di lunga durata è indispensabile l’uso dell’idrogeno, prodotto e poi immagazzinato nel sottosuolo.

In Italia, dopo il boom del 2009, l’installazione di nuovi impianti FV si è bloccata nel periodo 2013-2021. Forse stiamo per ripartire, ma solo perché ci è imposto dalla UE. Lo stesso forse avverrà per lo stop alla produzione di auto termiche (2035) a favore di quelle elettriche. Si spera che sia incentivata anche la nostra produzione dei dispositivi usati per le rinnovabili, che rappresenterebbe una grande opportunità di sviluppo economico e di impiego all’interno di un nuovo tessuto produttivo. Il piano nazionale energia-clima prevede di decarbonizzare la produzione di energia elettrica a favore delle rinnovabili. Per raggiungere questo traguardo sono da sviluppare questi tre elementi innovativi.

  • Agrivoltaico. Si installano moduli FV a 2-3 m di altezza, consentendo lo sviluppo delle coltivazioni nel suolo sottostante.
  • Comunità energetiche. Soggetti privati e comunità locali producono, consumano e scambiano energia elettrica da fonti rinnovabili.
  • Eolico offshore. All’estero è già una realtà: in Olanda è sorto un parco eolico in mare con una potenza di oltre 1.000 MW, senza incentivi statali; vi sono parchi eolici galleggianti in Norvegia. In Italia abbiamo solo 30 proposte di parchi eolici offshore in Adriatico.

Oggi le fonti rinnovabili sono convenienti economicamente; i costi sono crollati, i rendimenti migliorati. E consentono scambi energetici tra paesi: ad es. Italia con Francia, Svizzera, Slovenia. Il solare ha una notevole flessibilità; si può utilizzare a livello locale e domestico o anche su larga scala. Le rinnovabili devono sostituire in pochi decenni le fonti fossili.

Un’altra alternativa alle fonti fossili può essere data dal nucleare da fissione. Ma questa fonte presenta due problemi seri: realizzare una centrale nucleare è molto costoso e richiede tempi lunghi (15 anni o più). Non possiamo aspettare tanto tempo. Inoltre, la IEA ci dice che il nucleare potrà coprire solo il 6% del fabbisogno energetico e già ora le rinnovabili danno un contributo superiore.

Pertanto, le strade da seguire sono sostanzialmente due: sviluppare le fonti rinnovabili e puntare all’efficienza energetica e al risparmio. Occorre anche sprecare di meno e cambiare i nostri stili di vita, troppo energivori. Come dice papa Francesco, bisogna cambiare l’attuale modello di sviluppo. Siamo in un’epoca molto pericolosa dal punto di vista ambientale. Stiamo andando verso un mondo diverso e la transizione energetica è obbligatoria dati i cambiamenti climatici; i governi e le società che lo capiscono ne trarranno vantaggi e grandi opportunità; chi non se ne rende conto (forse l’Italia?) andrà a rimorchio.

La vivibilità nel nostro ecosistema ha dei precisi limiti che non dobbiamo oltrepassare, ma starci al di sotto: 40 Gt di CO2 riversate in atmosfera in un anno, un aumento medio della temperatura inferiore a 2°C (meglio se è sotto 1,5°C). Siamo già in emergenza climatica e ce ne rendiamo conto con il susseguirsi di disastri ambientali, particolarmente frequenti in questo 2023, forse l’anno più caldo dal 1860 a oggi. Non dobbiamo superare questi limiti. Lo dobbiamo a noi ma soprattutto alle giovani generazioni e a quelle che verranno.

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Nicola Armaroli è dirigente di ricerca del CNR e direttore di Sapere. Si occupa del coordinamento di progetti scientifici europei incentrati in prevalenza sulla fotochimica e sulla fotofisica. I suoi studi in nanostrutture di carbonio, in materiali supramolecolari e in processi di trasferimento di energia hanno come obiettivo la messa a punto di nuove tecnologie e soprattutto la ricerca di nuove forme di energia utilizzabile, a partire proprio da quella luminosa. Ha avuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali.

Il 9 settembre Armaroli ha trattato il tema Idrogeno. Si tratta dell’elemento più diffuso nell’Universo, che si trova quasi sempre combinato con altri elementi; per ottenere idrogeno H2 occorre un processo artificiale che richiede energia. Ogni anno si producono 100 milioni di tonnellate di H2 che non vengono usate per scopi energetici, ma per raffinare il petrolio e per produrre fertilizzanti azotati molto usati in agricoltura.

Al 95% produciamo idrogeno bruciando metano CH4; in questo processo si libera CO2:  CH4 + 2 H2O → 4 H2 + CO2 e questo non va bene per l’ambiente (idrogeno grigio). Si calcola che il 2,5% della CO2 immessa in atmosfera viene dalla produzione di idrogeno grigio. C’è un’alternativa sostenibile: estrarre H2 dall’acqua con l’elettrolisi 2 H2O → 2 H2 + O2. Per farlo occorre un elettrolizzatore, un impianto che richiede energia elettrica che può essere fornita da fonti rinnovabili (idrogeno verde). I problemi sono i costi molto elevati dell’elettrolizzatore e le quantità di energia in gioco: per fare l’idrogeno verde ci vuole 6-7 volte più energia di quella necessaria per ottenere l’idrogeno grigio.

Inoltre, la densità energetica di H2 è circa un quarto di quella di CH4 e il punto di ebollizione dell’idrogeno (-253°C) è molto più basso di quello del metano (-162°C). Quindi è più difficile liquefare l’idrogeno del metano. Un’altra difficoltà è rappresentata dalle infrastrutture, già molto diffuse per CH4, ma sostanzialmente non utilizzabili per H2; a meno che si pensi di mescolare metano all’80% con idrogeno al 20%, ma con un abbattimento delle emissioni solo del 5%. Quindi occorrerebbe creare una nuova rete di infrastrutture per l’idrogeno, impresa molto costosa.

Ma c’è un altro possibile impiego dell’idrogeno: utilizzarlo come vettore di elettricità, per passare da una forma di energia all’altra. Per esempio, nell’auto a idrogeno si può ottenere elettricità da una cella a combustibile con idrogeno verde. Ma l’auto a idrogeno (di fatto è un’auto elettrica più complicata, con una sua batteria) è meno efficiente, meno conveniente e più pericolosa di un’auto elettrica a batteria. Invece l’idrogeno potrebbe essere usato nel trasporto pesante in camion, autobus, treni; la ricerca sta lavorando sulla produzione di camion elettrici.

Quindi bruciare idrogeno ha senso solo quando non ci sono alternative sostenibili: negli altoforni, nelle acciaierie, nei cementifici, cartiere.

Un altro possibile impiego dell’idrogeno è nella produzione di combustibili sintetici; nel processo servono idrogeno e carbonio, ricavato quest’ultimo dalla CO2 presente nell’aria, con un enorme costo energetico. Inoltre, i combustibili sintetici inquinano quanto quelli non sintetici. Potrebbero avere in futuro un’applicazione nelle navi e negli aerei, ma siamo ancora lontani da questi obiettivi.

La IEA afferma che nel 2024 le rinnovabili saranno la fonte principale che ci darà energia elettrica. In futuro avremo d’estate un surplus di energia elettrica da rinnovabili e questo potrà essere usato per produrre H2 da stoccare per l’inverno. Questo potrebbe creare un nuovo mercato per l’idrogeno.

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Ferdinando Cotugno è giornalista freelance. Lavora per riviste e aziende, alcune delle quali lo portano a viaggiare dal Sud Africa alla California, dalla Norvegia al Messico. Nel 2016, assieme a Daria Addabbo, ha raccontato l’America di oggi raccogliendo interviste, fotografie e testimonianze poi pubblicate su Vanity Fair. Ha portato all’attenzione del grande pubblico anche storie come quella dell’ospedale di guerra di Emergency in Iraq, durante la caduta di Mosul; o quelle dei senzatetto a Milano o dei trent’anni di trapianti di cuore in Italia. Nel 2020 ha narrato l’ascesa dell’Italia come Paese forestale e i cambiamenti delle aree boschive intercorsi da allora.

Il 10 settembre Cotugno ha parlato di Clima: il fattore umano, già in parte trattato il giorno precedente in Altra marea durante l’intervista condotta Sofia Pasotto, giovane attivista per il clima e studiosa di Climate Change all’Università di Copenhagen.

Amitav Ghosh nel libro La grande cecità afferma: «Il cambiamento climatico mette in crisi il più grande concetto dell’era moderna, l’idea di libertà». Abbiamo già la grammatica, la sintassi di un mondo nuovo che non distrugge il pianeta: le fonti rinnovabili, l’idrogeno, l’elettrificazione, l’efficienza, il risparmio energetico. Ma ci sono anche gli esseri umani, la loro libertà, il senso del limite, il come rapportarsi con le conseguenze prodotte da questo modello di sviluppo e con i disastri climatici. Ormai non esiste più un posto sicuro, un giorno tranquillo; è difficile riconoscere le stagioni, affidarsi ad una prevedibilità meteorologica.

Carlo Buontempo, direttore di Copernicus Climate Change Service, ci dice che l’estate 2023 è la più calda da quando l’uomo è sulla Terra. La scienza sembra preoccupata solo di fornire i dati misurabili migliori e le soluzioni percorribili, lasciando alla società, alla libertà individuale, il compito di usare quei dati e di applicare quelle soluzioni per costruire un mondo vivibile, capace di futuro. Ma la scienza deve anche rapportarsi coi negazionisti, con chi non vuole vedere che cosa sta succedendo. Il compito difficile e lacerante dei giornalisti e degli attivisti per il clima è invece quello di confrontarsi col fondo irrazionale altrui, con la libertà di chi rifiuta la scienza.

La lotta per contrastare il cambiamento climatico non è un conflitto tra nazioni, o tra classi, o tra religioni; è qualcosa che si trova più a monte: sta nel capire come, da esseri umani, il nostro interesse biologico è minacciato dall’emergenza climatica; sta nel chiedersi cosa fare perché la specie umana possa sopravvivere. L’uomo abita da 10.000 anni la Terra grazie alla presenza di una nicchia climatica che garantisce le condizioni ottimali per la vita. In poco più di un secolo noi stiamo distruggendo questa nicchia vitale. Una parte dei danni è ormai irreversibile, ma possiamo ancora agire per fermare il disastro con gli strumenti che già abbiamo, ma che possiamo anche decidere di non usare.

Qualche quotidiano recentemente ha invitato ad essere ottimisti e a puntare alla pace sociale, a considerare il sistema economico valido per tutti. Dietro queste affermazioni spesso si cela l’idea che al centro delle nostre scelte debba esserci l’interesse privato di alcune aziende e non l’interesse di tutti. L’attuale modello di sviluppo, basato sul fossile, si è affermato perché ne sono stati tenuti nascosti i costi pesanti sull’umanità e sul pianeta.

Molta gente si rende conto di come il mondo stia cambiando, ma è confusa, disorientata. I negazionisti temono di perdere il potere con la transizione energetica, fanno una lotta di classe (della loro classe) per difendere questo modello di sviluppo, a costo di negare l’evidenza scientifica. La climatologia demolisce lo status quo e questo spaventa. Si dice che la transizione energetica farà perdere posti di lavoro e ci renderà più poveri; ma i posti di lavoro sono già a rischio e i poveri sono già creati sistematicamente dal nostro modello di sviluppo. Invece sono proprio le innovazioni sul piano energetico ad aprire nuove prospettive di occupazione. E se l’Italia resta ferma, saranno (e sono) altri paesi a sfruttare queste potenzialità.

Il Green Deal europeo e la recente legge sulla Natura della UE possono aiutarci ad attuare la transizione e a tutelare la biodiversità. Per farlo occorrono alcuni presupposti:

  • empatia, cercando il dialogo con chi è legato al passato basato sui fossili e non si documenta sui report dell’IPCC, separando la responsabilità collettiva da quella individuale;
  • giustizia sociale: occorre un reddito che garantisca una vita dignitosa ai cittadini;
  • felicità, riportandola al centro della politica e del dibattito pubblico;
  • speranza: non si può voler tutto e subito; se l’obiettivo è restare sotto 1,5°C di aumento della temperatura media terrestre, anche azioni che migliorino di poco la situazione sono utili e vanno incoraggiate; la speranza è fatta anche di ostinazione nel fare piccoli passi verso la meta; la speranza è una scelta politica attiva.

Non sentiamoci sconfitti, coltiviamo la speranza.

Libri recenti degli autori

Armaroli, N. (2022), Un mondo in crisi, Dedalo.
Armaroli, N. (2020), Emergenza energia, Dedalo.
Cotugno, F. (2022), Primavera ambientale, Il Margine.
Pacchioni, G. (2021), W la CO2. Il Mulino.
Ruggieri, G. – Acanfora, M. (2021), Che cos’è la transizione ecologica, Altraeconomia.
Silvestrini, G. (2022), Che cos’è l’energia rinnovabile oggi, Edizioni Ambiente.

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