L’Istituto Superiore di Scienze dell’Educazione G. Toniolo di Modena, in collaborazione con la Biblioteca provinciale dehoniana P. Martino Capelli e il Centro Studi Sara Valesio, ha organizzato il seminario di studio internazionale “Fuori luogo. Letteratura e religione altrove” (15-16 marzo, Bologna), a cui hanno partecipato una decina di studiosi provenienti dalla Germania, Stati Uniti e Italia.
L’intenzione del workshop è stata duplice: rinvenire luoghi di pratiche, testuali e religiose, inusuali rispetto all’attenzione normalmente dedicata in ambito accademico (come la poesia nell’opera musicale, il carcere, il cinema, il mare, le relazioni educative, l’incrocio di culture estremamente diverse tra di loro); cogliere la portata esistenziale di tali pratiche nei processi formativi, o deformativi, dell’umano all’interno dei contesti sociali odierni.
Tutto questo incrociando competenze diverse e interdisciplinari nell’approccio a fenomeni simili tra di loro. I lavori del workshop hanno confermato un’impressione condivisa da tempo fra i partecipanti: quella della necessità di un’intersezione dei saperi di carattere trans-disciplinare, quale possibilità di cogliere le pratiche “letterarie e religiose” nella loro interezza, nella complessità del loro accadere, nel senso o non senso che rivestono per i vissuti umani.
Quando si lavora in gruppo seguendo questa prospettiva, pian piano cadono uno dopo l’altro tanti miti che l’accademica costruisce intorno alle proprie discipline. Emergono i limiti di una critica letteraria che espelle la dimensione esistenziale umana dalla propria ricerca, impedendo alla testualità consegnata nelle mani di tante giovani generazioni di esercitarsi come momento formativo dei loro vissuti, come occasione di trovare una parola capace di accendere il racconto di sé.
Uscire da questi miti significa anche cogliere le distopie sociali ed esistenziali del nostro tempo: quelle che paralizzano l’umano e ne impediscono una crescita che abbia la figura della formazione di sé. Il “peggio di sé” è certo frutto di decisioni che, anche non volendo, la persona compie; ma è anche l’indotto di un’atmosfera sociale che fa dell’eterna immaturità del soggetto la condizione di una sospensione che favorisce il consumo illimitato della vita e delle relazioni.
Il navigare poetico-musicale verso culture lontane e oramai scomparse ha permesso di cogliere non solo come questioni esistenziali di fondo attraversino le epoche e le storie, ma anche a rilanciare significato e importanza del mito nella costruzione dell’umano, delle sue aporie e dei suoi desideri.
Sono caduti poi anche i miti della purezza della religione e dell’inculturazione del cristianesimo – il primo in Occidente, il secondo nel lontano oriente cinese. Da cui sono emerse le necessità di una teologia capace di lavorare “nello sporco della storia umana”, da un lato, e di un cattolicesimo che deve imparare a dirsi nella formula breve di un Dio che si fa mangiare interrompendo così il circolo omicida a cui è legata la sopravvivenza umana.
Tutto materiale che, a prima vista, per le scienze dell’educazione appare essere, appunto, fuori luogo, non proprio, estraneo ai codici di purezza epistemologica della disciplina. Ma anche per lei spingersi altrove, diventare consapevole della sua collaborazione alla deformazione dell’umano (contro i suoi stessi principi), si presenta come un compito da assumere con urgenza estrema – proprio in nome di quella cura dell’umano che essa afferma essere la destinazione del suo sapere.