- Cara Chiara, perché, tra le cantate di Bach che ti ho proposto di presentare, hai scelto la BWV 140, per la prima domenica di avvento?
Questa Cantata mi è particolarmente cara oltre che per la sua bellezza, anche perché legata a diverse circostanze della mia storia personale: era sul primo compact disk con le cantate di Bach che mi è stato regalato da ragazzina, ed ha fatto da sottofondo, in auto, ai miei lunghi viaggi invernali, da Torino alla Svizzera, durante la mia formazione pianistica, accompagnata dal mio papà. La registrazione era una di quelle “storiche”, con la voce del baritono Fischer-Dieskau: una voce indimenticabile.
La BWV 140 è associata poi alle emozioni del matrimonio di mio fratello Giovanni con Simona in vista del quale, abbiamo realizzato, insieme a tanti amici e amiche, strumentisti e coristi, una registrazione di questa cantata, perché fosse donata ai partecipanti alla festa. Mio fratello era il violino solista. Sulla BWV 140 ho costruito quindi il mio lavoro di tesi di master di teologia a Nottingham.
La BWV 140 – il cui titolo è Su, alzatevi: ci chiama dall’alto – è ora e per sempre legata al mio cammino spirituale e a un momento cruciale della mia vita, a Gerusalemme nel 2023.
L’ho suonata diverse volte nei miei concerti nella trascrizione pianistica di Ferruccio Busoni (qui). Penso che questi cenni personali bastino ad intuire quanti e quali motivi spirituali la rendano particolarmente propizia alla vita cristiana ed ai tempi di avvento in particolare.
- Ci puoi spiegare che cos’è una cantata e a cosa serviva nell’officio luterano ai tempi di Bach?
Il genere “cantata” è nato in Italia. Anche in tedesco si dice, infatti, “cantata”. Si tratta di piccole composizioni vocali che hanno caratteristiche simili a quelle delle più estese opere liriche. Non è da vedersi come genere unicamente “sacro”. Lo stesso Bach – che non mai scritto “opere liriche” profane – ha composto molte cantate dette “profane”, cioè non ad uso liturgico, benché di alcune di esse non si possa dare una classificazione così netta.
Nella liturgia luterana del tempo, la cantata faceva da cornice al sermone: prima e dopo lo stesso. Era quindi fortemente connessa alla Parola pronunciata nella festività domenicale o speciale dell’anno liturgico. Aveva perciò il compito di scolpire nelle menti dei fedeli la Parola di Dio – Epistola e Vangelo – e di amplificarne l’effetto nei cuori.
Dal punto di vista musicale, le cantate di Bach sono tipicamente caratterizzate da un brano strumentale introduttivo – detto sinfonia – oppure da un brano con orchestra e coro, da eseguire con organici importanti. Alla introduzione fanno seguito brani per voci soliste accompagnate da organici strumentali ridotti: arie e duetti, intercalati da recitativi.
Ci sono cantate di Bach suddivise in due parti, pensate, appunto, per essere eseguite prima e dopo il sermone: in tal caso ciascuna delle parti contiene un “corale” che, come sappiamo, è una forma musicale di origine propriamente liturgica. Oppure sono costruite in un’unica “campata”: in tal caso il corale è posto alla fine.
La Sacra Scrittura è naturalmente ben presente nei testi delle cantate bachiane, sia in forma di citazioni esplicite, sia in parafrasi, sia in libere elaborazioni poetiche, specie nelle arie e nei duetti.
Bach ha composto numerose cantate a partire da corali liturgici preesistenti, quale rielaborazione e sviluppo degli stessi, come nel caso della cantata BWV 140.
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- Puoi fare altri esempi di cantate dell’epoca?
Prima di Bach ricordo le cantate di Dietrich Buxtehude: non ne conosciamo molte, ma sono molto belle. Ricordo poi le centinaia di cantate composte da Georg Phlipp Telemann, contemporaneo di J.S. Bach, come lui luterano. Poi sono venute le cantate “barocche” di Christoph Graupner e di Johann Friedrich Fasch.
A parte le cantate di Telemann – autore persino più prolifico di Bach! – c’è ben poco di questo patrimonio musicale che sia stato riscoperto, eseguito e riprodotto per l’oggi. Nonostante la notorietà raggiunta da Bach, analogo discorso vale, almeno un poco, anche per le sue cantate: sono tutto sommato poche le registrazioni del repertorio integrale, perché è davvero molto impegnativo realizzarlo tutto.
- Per quale circostanza liturgica Bach ha composto questa cantata?
Sia in ambito luterano come in quello cattolico, tuttora, esiste continuità tematica tra la fine dell’anno liturgico e l’inizio del nuovo con la prima domenica di avvento: le ultime domeniche dell’anno sono sempre caratterizzate infatti da letture bibliche di stampo escatologico, preparatorie dei tempi ultimi e della venuta del Regno. Il clima dell’attesa riprende e si intensifica nell’avvento. Il calendario liturgico marca una discontinuità ma nella continuità verso il compimento.
Ecco, sebbene la cantata BWV 140 sia stata composta per l’ultima domenica dell’anno liturgico – peraltro una domenica che non sempre c’era nel calendario (la XXVII dopo la Trinità nel calendario liturgico luterano) – le sue tematiche la rendono perfettamente situabile in avvento.
La rara circostanza liturgica originaria spiega il fatto che questa cantata è stata eseguita ben poche volte in chiesa, al tempo di Bach.
- Quale l’origine del testo?
Come per tutti i testi sacri di Bach, si può dire che l’origine sia composita ed incerta. Deve averci messo mano Christian Friedrich Henrici, detto Picander, il poeta e librettista preferito da Bach, a cui si devono i testi dei principali capolavori sacri, quale la Matthäus Passion.
I riferimenti biblici del testo risultano evidenti: oltre al vangelo di Matteo 25,1-13 della parabola delle dieci vergini che permea tutta la cantata, ci sono riferimenti plurimi al Cantico dei cantici e ci sono evocazioni del libro dell’Apocalisse.
Come anticipato, la BWV 140 è costruita su un corale preesistente, il cui sicuro autore è il pastore luterano Philipp Nicolai, poeta e compositore. Nicolai è l’autore della melodia originaria, molto bella, una melodia che richiama l’inno eucaristico latino Adoro Te devote attribuito a San Tommaso. Mi sembra importante evidenziare questo collegamento rispetto a tempi storici in cui ancora sussistevano intense dispute sull’eucaristia tra luterani e cattolici. Ciò, assieme a molti altri elementi, ci dà modo di significare la cantata anche in senso marcatamente eucaristico.
L’altro aspetto – ben evidente nel testo – è il dialogo tra Lui e Lei, ove Lui è, senza dubbio Gesù, il Cristo, chiaramente indentificato dalla voce del basso, mentre sulla identità di Lei il testo e la voce mantengono una voluta ambiguità, per cui Lei può essere l’anima del fedele, la Chiesa, la Gerusalemme celeste a venire.
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- Nella parabola di Matteo ci sono anche le vergini “stolte”: perché nella cantata non compaiono?
È vero, ma è pur vero che in altre cantate di Bach – e nei testi luterani dell’epoca – non mancano i testi che marcano la colpa individuale. Non penso che la sensibilità dell’epoca, al riguardo, tra cattolici e luterani, fosse poi molto diversa, anche se, sicuramente, Lutero aveva deplorato l’enfasi “cattolica” di natura giudiziale.
È peraltro indubbio che il corale di Nicolai, così come la cantata di Bach, abbiano inteso esaltare unicamente la dimensione positiva, luminosa e festosa dell’incontro mistico tra Lui e Lei, senza ombre.
- L’unio mystica è quindi la grazia di cui partecipa questa cantata?
L’unione mistica è al cuore della cantata BWV 140: la incoraggia, la sostiene, precipitando un insieme di motivi teologici – evocati da testo e musica – che continuamente si mescolano tra loro: dal motivo escatologico a quello sponsale, dall’attesa al compimento, dal desiderio alla vera partecipazione al banchetto celeste già nel banchetto eucaristico.
Nel duetto del terzo movimento, la sposa chiede allo sposo di aprire la sala, a cui lo sposo risponde “Ti apro la sala”. Mentre nel quarto movimento, il tenore – che è la voce dell’evangelista – canta: “Noi tutti ti seguiamo a condividere la cena”. Ecco solo un esempio di come i motivi richiamati si condensano in parole e musica.
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- Puoi entrare brevemente in ogni movimento della cantata?
L’apertura strumentale del primo movimento (qui) è costruita su un ritmo puntato, il ritmo della solennità, della regalità, della festa. I soprani presto ci introducono al testo e alla melodia del corale composto da Philipp Nicolai, mentre le altre tre voci del grande coro fanno da libero contrappunto, secondo la maestria compositiva di Bach.
Il contesto orchestrale reca una impronta trinitaria: trinitaria è la tonalità mi bemolle maggiore (perché ha tre bemolle in chiave), ternaria è la scansione del tempo di danza e tre sono i blocchi sonori degli archi, dei fiati, del coro. Il numero delle ripetizioni è dodici, ad evocare la mezzanotte della parabola delle vergini quale punto di fondo della notte da cui prende principio l’aurora. Faccio notare – come in altri movimenti – la presenza di invocazioni liturgiche: in questo caso l’Alleluia; un alleluia in do minore, di per sé una tonalità che ha un effetto di tristezza, ma che qui viene trascinato dal moto di gioia.
Il secondo movimento (qui) è il recitativo affidato alla voce del tenore che canta la Parola di Dio: qui il testo è fortemente penetrato dalla poesia del Cantico dei cantici. La voce si rivolge alle “figlie di Sion” descrivendo lo sposo che “viene” “come un capriolo o un giovane cerbiatto”, che “balzando sulle colline” “reca il banchetto della cena nuziale”. I motivi escatologici ed eucaristici – il già e il non ancora – sono strettamente intrecciati. In questo recitativo Bach dispiega la voce del tenore in maniera da rafforzare il tono esortativo dell’evangelista: l’effetto di coinvolgimento sull’ascoltatore è profondo.
Nel terzo movimento (qui) scopriamo il primo dei duetti tra Lui e Lei. Come detto, quando in Bach incontriamo un duetto tra un basso e un soprano, quasi sempre, entriamo in un dialogo intimo tra Gesù e l’anima del fedele, ovvero tra Cristo e la Chiesa. La particolarità musicale di questo duetto è di essere accompagnato dal violino “piccolo”, uno strumento d’epoca che ha un suono leggermente più alto del violino comune.
Il compito assegnato da Bach è quello di significare l’ardere dell’olio nelle lampade delle fanciulle che attendono lo Sposo: musica che evoca il senso di un’attesa desiderante. Il motivo iniziale di questo movimento – come nell’indimenticabile “Erbarme dich”, il pianto di Pietro, nella Mattäus Passion – è un motivo che in Bach caratterizza il desiderio: lo troviamo, per esempio, anche in Ich habe genug, cantata sul desiderio di “vedere” che il vecchio Simeone esprime abbracciando il Bambino Gesù.
Qui, nella BWV 140, Lui e Lei vivono la stessa attesa, ma non è ancora per loro il tempo dell’unione: “Vieni o Gesù!” “Vengo, o anima che amo”. Oso dire che le note del violino colmano già, in qualche modo, la distanza tra Lui e Lei, mentre la fiamma delle lampade arde di amore. La vergine veglia – e la sua lampada è continuamente alimentata dall’ardore – ed è certa che il suo sposo sta per arrivare.
Il quarto movimento (qui) è un meraviglioso corale intonato dal tenore (o da più tenori a una sola voce) che canta il testo nella melodia di Nicolai con un contrappunto di archi “chiari” all’unisono. Faccio notare come gli archi riprendono il motivo del violino del movimento precedente, a perpetuare quella stessa sensazione di attesa desiderante, propria dell’innamoramento.
Il recitativo del quinto movimento (qui) è affidato alla voce del basso, vox Christi come nella Matthäus Passion. La voce dello Sposo – circonfusa di una musica a modo di aureola celeste – si rivolge alla Sposa attingendo dalle espressioni d’amore così forti del Cantico dei cantici: “Ti porrò come sigillo sul mio cuore, sul mio braccio”. La promessa è dolcissima e certa: “tergerò il pianto dai tuoi occhi”.
Nel sesto movimento (qui) l’incontro avviene: l’unione mistica giunge al compimento. Ascoltiamo il secondo duetto tra basso e soprano, accompagnati dal solo oboe: i due cantano finalmente insieme, con emozione, tenerezza reciproca, gioia. Sono uniti e quindi l’espressione musicale è concorde e armoniosa.
Il settimo movimento (qui) è il corale conclusivo in cui la melodia del pastore Nicolai torna in una armonizzazione a quattro voci accompagnata dall’intera orchestra, con l’evidenza del violino piccolo che “svetta” con un’ottava superiore sugli altri strumenti, il che conferisce a questo finale una particolare luce che, secondo me, contraddistingue la cantata.
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Perché consigliare ai lettori di ascoltare la cantata BWV 140 in questo tempo e in questo avvento?
Per la bellezza che incanta. Per la gioia che si prova. Per il desiderio di essere uno con Cristo e in Cristo, un desiderio che trova compimento e che si auto-alimenta nella partecipazione eucaristica. Tanto più siamo uno con Cristo e in Cristo – tanto più viviamo l’unione mistica a Lui -, tanto più diventiamo umani, al modo di Cristo. In Cristo siamo più presenti e vivi, umanamente partecipi delle cose di questo mondo.
Per chi volesse, per approfondire c’è un mio saggio interamente dedicato a questa cantata, Giulio Osto Un pentagramma teologico. Musica e teologia nella. Cantata 140 di Johann Sebastian Bach, Messaggero 2010.
Grazie per il commento, chiaro e approfondito.
E grazie al buon Dio per il dono della musica e in particolare per quella del sommo Bach, così ricca di spiritualità