Ora: tempo favorevole, tempo di salvezza?

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Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza (2Cor 6,2).

Ora è un momento molto favorevole, un giorno di salvezza? Davvero? C’è ben poco di favorevole in questo momento, figuriamoci di molto favorevole.

Ora c’è la guerra a Gaza.
Ora c’è la minaccia di una guerra totale tra Israele e Iran.
Ora c’è l’invasione dell’Ucraina. In questo momento c’è il conflitto armato nel Sud Sudan.
Ora ci sono disordini civili negli Stati Uniti.
Ora c’è una paura disperata per l’intensificarsi delle retate dell’ICE.
Ora sono schierate le truppe della Guardia Nazionale.
Ora le comunità vivono nella paura.
Ora ci sono proteste nelle strade.
Ora ci sono famiglie distrutte.

E questi sono solo alcuni esempi di ciò che sta accadendo ora. Troppe guerre, troppe vite sono dimenticate, sepolte sotto titoli clamorosi e interessi geopolitici più grandi. Ma il grido di salvezza della gente è reale, urgente e troppo spesso ignorato.

Quindi, quando sento dire: «Ora è un momento molto favorevole; ora è il giorno della salvezza», mi sembra ironico. Assurdo. Quasi offensivo.

Ma Paolo non sta parlando di un tempo molto diverso dal nostro, né da una posizione di agio o di potere. Scrive mentre languisce in una cella di prigione, un «ministro di Dio» come noi, picchiato, rifiutato, dimenticato. Conosceva l’ironia delle sue stesse parole.

Non si tratta di una riflessione astratta. Paolo scrive per esperienza, indicando il costo del discepolato: con molta pazienza, nelle afflizioni, nelle difficoltà, nelle angherie, nei percossi, nelle prigionie, nelle rivolte, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni…

Paolo non romanticizza la sofferenza; essa è intessuta nella trama brutale della sua testimonianza cristiana. L’antica Roma non era estranea alla corruzione o alla crudeltà. Anch’essa era un mondo di divisioni sempre più profonde, spettacoli pubblici di violenza e un controllo spietato sui più vulnerabili. Sistemi di potere che zittivano i deboli, ricompensavano gli spietati, schiavizzavano le popolazioni e crocifiggevano coloro che erano considerati sacrificabili.

Improvvisamente, le parole di Paolo cominciano a confortarmi e a ispirarmi. La salvezza non è perfetta. È forgiata nel crogiolo.

È da quella dolorosa verità di testimonianza ferita che il Vangelo ci chiama ad andare più a fondo: non è poetico o a poco prezzo. È un invito a vivere vulnerabili in un mondo segnato dal controllo e dalla vendetta. Gesù ci invita a non reagire, ma a rispondere con amore.

Papa Leone si è presentato al mondo con queste parole: “vorrei che questo saluto di pace risuonasse nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, tra tutti gli uomini, ovunque essi siano, in ogni nazione e in tutto il mondo. La pace sia con voi! È la pace di Cristo risorto. Una pace disarmata e disarmante, umile e perseverante. Una pace che viene da Dio, il Dio che ci ama tutti, incondizionatamente. In un mondo armato di paura e sospetto, è il potere di questa pace che siamo chiamati a portare”.

E se, in questi giorni dopo la Pentecoste, lo Spirito è veramente all’opera in noi, deve abbattere i muri che costruiamo: quelli della paura, del pregiudizio, della disperazione. Deve condurci a cuori disarmati, mani aperte e passi coraggiosi verso chi soffre.

Le letture di oggi non promettono conforto. Chiedono conversione. Il presente non è perfetto. Ma è qui che inizia la salvezza.

Questo è un momento molto propizio e un giorno di salvezza, perché ci ricorda ciò che non siamo e ciò che non siamo ancora.

Non siamo fatti per la violenza. Non siamo destinati a costruire muri, a sganciare bombe o a negare la misericordia. Non siamo ancora il popolo di pace, misericordia e coraggio che Dio ci chiama a diventare.

Quella tensione, quel desiderio di diventare ciò che non siamo ancora, è sacro. Ci apre alla grazia. Questo è ciò che rende questo momento molto propizio: non la sua facilità, ma la sua urgenza. Non la sua pace, ma la sua possibilità.

Ora è un momento molto propizio. Ora è il giorno della salvezza.

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