Bonhoeffer a ottant’anni dalla morte

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Bonhoeffer rappresenta una delle voci più lette e indagate della teologia del Novecento: ricordarlo in una giornata di studi organizzata dall’Istituto di Scienze Religiose Romano Guardini di Trento (9 aprile 2025), a ottant’anni dalla morte, nel giorno del suo martirio e a distanza di trent’anni dal convegno organizzato sempre a Trento per i cinquant’anni dalla morte, ha un valore particolare in riferimento al fatto che i testimoni che lo avevano conosciuto di persona non ci sono più. Come ricordato da Alberto Conci, c’è una domanda relativa alla sua eredità spirituale che va posta in connessione al momento che stiamo vivendo e al fatto che a noi, oggi, viene chiesto quale eredità del teologo tedesco vogliamo conservare e trasmettere.

La lettura affascinante ma parziale offerta a partire dallo straordinario documento di Resistenza e resa che ha alimentato la prima parte degli studi su Bonhoeffer, deve tenere necessariamente conto di una visione complessiva della sua opera che i decenni di studio hanno sempre più chiarito: la consapevolezza che le radici del suo pensiero affondano nella teologia di fine Ottocento non deve però portare a recuperare l’immagine di un Bonhoeffer in qualche modo conservatore. Sarebbe un’operazione profondamente sbagliata.

Il tentativo di una giornata come quella organizzata a Trento è proprio quello di mettere a fuoco le domande radicali che rimangono attuali nel pensiero di Bonhoeffer e che vanno al di là di letture parziali e contingenti: chi è per me Gesù Cristo oggi? Questa domanda non ha perso di attualità, soprattutto per chi, come Bonhoeffer, continua a cercare   risposte al di qua della storia, dove siamo rimandati alla sofferenza di Dio nel mondo.

Cristocentrismo e responsabilità per il mondo

Il tema centrale della cristologia, come ricerca costruita attorno alla domanda sull’identità di Gesù, ha scandito la riflessione di Ludwig Monti: Cristo come centro della vita, in quale modo l’uomo possa partecipare di questa centralità, l’aiuto che Cristo stesso offre all’uomo in forza della sua debolezza e sofferenza, sono i temi che hanno sviluppato una riflessione che porta a chiedersi cosa voglia dire partecipare all’essere stesso di Gesù.

Il cristianesimo nasce dall’esperienza di un incontro con un uomo concreto: immergerci sempre e di nuovo e a lungo e con molta costanza in Cristo, vuol dire realizzare la nostra identità umana e cristiana, il nostro esserci per il mondo, come Bonhoeffer lasciò scritto il 5 aprile del 1943, il giorno del proprio arresto. Non una credenza, ma un fare in Cristo realizzano la vita del credente.

La relazione di Nicoletta Capozza, in continuità con l’intervento precedente, ha approfondito il tema del cristianesimo non religioso: l’essere per gli altri rimanda a questo tipo di trascendenza. Questa sfida per Bonhoeffer è rivolta alla comunità credente ma anche al di fuori di essa. La relazione con l’altro è il nucleo della realtà umana.

Per leggere tutto questo alla luce della cristologia e a partire dalla rilettura del dogma dell’incarnazione è necessario passare attraverso il tema del comandamento concreto che chiede di porsi in un atteggiamento di vita responsabile. La vita responsabile è una responsabilità per il mondo che prevede sempre un agire politico. Questo, ancora oggi, uno dei messaggi più attuali del cristianesimo non religioso: l’imparare a vedere dal basso i grandi avvenimenti della storia diventa esperienza fondamentale di vita. Da questa posizione, infatti, è possibile vedere che non ci sono solo le sorti magnifiche e progressive, ma che c’è anche la direzione dettata dagli ultimi.

Questa prospettiva dal basso va trasformata in desiderio di fare giustizia perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Tutto questo va collocato nella cornice della comunità credente, cornice che non verrà mai meno nel pensiero e nella vita di Bonhoeffer anche quando gli sembrerà di averla persa completamente: la comunità del cristianesimo non religioso va ricercata attraverso la realtà dei compagni di viaggio che la vita ti mette affianco anche nei momenti più tragici.

Onestà intellettuale

L’intervento di Fulvio Ferrario ha spostato l’attenzione sul tema dell’onestà intellettuale e della veracità in dialogo con la responsabilità. Per Bonhoeffer l’onestà intellettuale, anche nelle questioni di fede, è patrimonio prezioso di una ratio liberata dal condizionamento politico ed ecclesiastico nei confronti della verità: c’è da portare avanti una vera e propria scommessa su una fede che non può fare seguire al termine libertà nessuna forma di condizionamento. Contrapporre la dimensione della libertà e dell’onestà intellettuale alla fede non è possibile.

L’onestà intellettuale non è mai troppa per Bonhoeffer. Prendendo spunto dai forti contrasti nati all’interno della Chiesa Confessante rispetto alla ricezione dei lavori di Bultmann, Bonhoeffer prende le distanze anche dai propri lavori di esegesi giovanile, recependo l’istanza della critica biblica e ricavandone un atteggiamento spirituale fondamentale per liberare la fede dalla paura e dai condizionamenti.

La categoria della veracità viene messa in dialettica con quella della responsabilità: qui il confronto è con la nozione di etica ontologica di Kant. Bonhoeffer afferma che la nozione di verità debba sempre essere messa in relazione con la responsabilità. La verità, infatti, ha a che vedere con la relazione: ammettere questo fa parte di una vera onestà intellettuale.

In conclusione, applicare questa prospettiva alla ricerca teologica richiede la rinuncia all’uso di Dio come ipotesi di lavoro, smettendola di considerare Dio stesso una variabile cognitiva da inserire in una teoria: Dio non può essere usato come tappabuchi.

Secondo Bonhoeffer è la modernità che, presa sul serio, porta a questa conclusione: la stessa a cui ci conduce la Croce di Cristo. La teologia della Croce, ripresa da Lutero e da Bonhoeffer, conduce alle stesse conclusioni della parabola della modernità. Dio, come massima forma di dedizione al mondo e all’umanità e nell’esercizio più pieno della propria libertà, si lascia scacciare come un genitore che si fa mettere ai margini dal proprio figlio.

Prospettiva dialogica

L’ultimo intervento di Massimo Grilli, biblista, ha cercato di leggere la modalità con cui Bonhoeffer ha provato a interpretare il tema dell’ermeneutica nella relazione tra i due Testamenti. La frammentarietà del modo di leggere la Bibbia da parte del teologo tedesco, il suo approccio teologico e dogmatico e la questione ebraica, costituiscono lo sfondo su cui collocare questo tema così delicato. Si tratta, però, di cogliere la prospettiva dialogica come struttura portante del modo con cui Bonhoeffer legge la Scrittura.

In primo luogo la dialogicità come componente dell’ermeneutica biblica di Bonhoeffer, costituisce una chiave di armonizzazione fondamentale nel porsi di fronte alla Scrittura in modo moderno e creativo: ciò che emerge è la capacità di leggere il presente attraverso la lettura storicizzante del testo biblico. La Scrittura pone l’essere umano davanti a Dio rendendolo responsabile della sua attualizzazione per l’oggi.

In secondo luogo la dialogicità come strumento necessario per leggere il rapporto tra i due Testamenti diventa motivo centrale per Bonhoeffer, motivo che, a differenza di molti dei suoi maestri, lo renderà capace di restituire alle radici ebraiche il ruolo fondamentale di chiave ermeneutica per una corretta lettura del Nuovo Testamento: Bonhoeffer non gerarchizza i due Testamenti. La religiosità dell’Antico Testamento non è in nulla inferiore a quella del Nuovo: Dio è il medesimo. Si tratta di ricondurre le voci antico e neo testamentarie a un dialogo creativo e chiarificatore fondamentalmente teologico. Ciascuno dei due Testamenti rende una testimonianza specifica al Dio di Gesù Cristo.

Infine la diaolgicità tra Antico e Nuovo Testamento che fonda il concetto di mondanità: in Bonhoeffer con la prigionia di Tegel si assiste a una maturazione che porta a riconoscere il bisogno di leggere il Nuovo Testamento attraverso le chiavi di lettura che fornisce l’Antico. La mondanità di cui parla Bonhoeffer è già presente nell’Antico Testamento: ad esempio, la categoria della benedizione veterotestamentaria non si contrappone alla benedizione presente nella Croce di Cristo.

All’origine della vita della Chiesa, il Nuovo fu considerato alla luce dell’Antico: Bonhoeffer suggerisce, in modo estremamente moderno, di tornare a questa modalità, riconoscendo pienamente il valore salvifico dell’Antico Testamento. L’Antico Testamento è pienamente Parola di Dio: è una parola semplicemente cristiana che non smette di essere ebraica.

Reinventare la fede alla maniera biblica e non in maniera religiosa rimane questione aperta e attuale perfino più di ottant’anni fa.

Quest’ultima considerazione pare anche la migliore conclusione sul significato di una giornata di studio di cui si sentiva davvero la necessità.

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