
Un «grande teologo il cui nucleo generativo è costituito da quella componente radicale dell’essere e dell’esistere umano che è la morale». Uno studioso la cui ricerca «è stata sempre alimentata dalla ricchezza e dalla fecondità del messaggio biblico». Un docente che «ha, da sempre, assunto nei suoi scritti anche più sistematico-teorici una straordinaria limpidità comunicativa, un linguaggio chiaro, non ermetico e di nicchia». Un maestro che ha sempre tenuto insieme «la verticalità della profondità propria dei testi saggistici specifici con l’orizzontalità della divulgazione e della comunicazione anche pastorale». Un teologo morale che si è costantemente sforzato «di trasformare la dialettica antitetica tra soggettività e oggettività etica in un contrappunto armonico». «Un modello di dialogo aperto tra credenti e non credenti attorno ai temi capitali dell’esistenza». Un uomo sereno che, anche «nei momenti in cui ha dovuto inerpicarsi sui sentieri d’altura delle prove fisiche e di qualche incomprensione», ha sempre diffuso attorno a sé serenità e armonia. Sulla sua tomba andrebbero deposti «due fiori della sapienza biblica»: I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia brilleranno come le stelle per sempre (Daniele 12,3); Beati coloro che si sono addormentati nell’amore (Siracide 48,11).
Così Gianfranco Ravasi nella testimonianza (pp. 5-9) riportata, a mo’ di prefazione, nel libro postumo di Giannino Piana, Forse l’etica. In ascolto del nostro tempo (Cittadella, Assisi 2025). Una raccolta di alcuni dei testi che il teologo morale novarese – deceduto l’11 ottobre 2023 – ha pubblicato nell’ultimo periodo (2016-2023) della sua trentennale collaborazione con Rocca, il quindicinale della Pro Civitate Christiana di Assisi.
Quello pervenuto alla redazione della rivista pochi giorni prima della morte tratta della difficile stagione che attraversa oggi la bioetica (pp. 27-30). Tutti articoli, privi di note a piè di pagina, scritti in un italiano scorrevole ed elegante e caratterizzati non solo dall’attualità ma anche dall’immediatezza e leggerezza che ne rendono agevole e proficua la lettura (o rilettura).

Il libro fa parte della collana RoccaLibri che raccoglie in singole pubblicazioni i saggi più significativi di uno stesso autore, con particolare riferimento alle tematiche più dibattute del nostro tempo, riproponendoli secondo un ordine logico che conferisce all’insieme una certa coerenza. Di Giannino Piana la stessa collana aveva ospitato nel 2005 Etica scienza società. I nodi critici emergenti e, nel 2010, Politica etica economia. Logiche della convivenza.
Struttura del volume
Il volume è introdotto da un illuminante scritto (dall’appropriato titolo La tenacia di comprendere e l’umiltà di cercare) di Pier Davide Guenzi, attuale presidente dell’Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale (ATISM), che alla figura di Giannino Piana – «uomo integro e sincero» – associa la beatitudine dei puri di cuore che vedranno Dio (p. 19).
È suddiviso in dodici sezioni (bioetica, roboetica, etica sessuale, fine vita, pandemie, conflitti sociali e politici, individui e società, giovani, migranti, politica, guerra e pace, Francesco papa e pastore) ed è aperto da un breve saggio di carattere più generale – dal titolo Teologia morale: quali prospettive? – apparso sulle pagine di Rocca del 15 ottobre 2022.
In questo saggio – scrive Pier Davide Guenzi – «si delinea, in modo sobrio e incisivo, il quadro di riferimento […] sullo status della riflessione etica cristiana a partire dal Vaticano II» (p. 13) i cui documenti hanno determinato una svolta decisiva di quella che era considerata da sempre una disciplina teologica di serie B che faceva essenzialmente riferimento al diritto canonico come strumento idoneo a configurarne la struttura portante.
La proposta formulata dal Concilio, infatti, consiste, per Giannino Piana, in un vero e radicale rinnovamento della teologia morale «con il richiamo all’esigenza di fare spazio a tre fondamentali indirizzi: una rigorosa fondazione biblica, un solido apparato scientifico – si pensi all’importanza da assegnare alla filosofia e alle scienze umane – e, da ultimo, una visione positiva della proposta cristiana con il radicamento nell’evento-persona di Gesù di Nazareth e l’assunzione della carità come criterio di valutazione e di orientamento della condotta umana» (p. 21).
Le sollecitazioni del Concilio vaticano II – è ancora Guenzi a evidenziarlo – trovano espressione non solo nelle opere maggiori di Giannino Piana (si pensi ai quattro volumi della monumentale teologia morale In novità di vita), ma anche nella sterminata produzione di saggi e di articoli, tra i quali si collocano quelli proposti nelle dodici sezioni del volume in esame (pp. 12-13).
Tematiche bioetiche
La prima sezione ha per oggetto alcune questioni riguardanti la bioetica, disciplina relativamente recente che affronta problematiche inedite derivanti dalla presenza di tecnologie mediche sempre più sofisticate le quali, mentre consentono il prolungamento della vita e il miglioramento della sua qualità, possono anche mettere «in serio pericolo la stessa identità umana» (p. 27).
La sezione tratta quattro questioni delicate e di straordinario interesse: l’importanza della relazione medico-paziente con l’assegnazione del primato all’autodeterminazione del malato, la problematicità dell’eugenetica (disciplina che persegue l’obiettivo del miglioramento della specie umana basandosi su considerazioni genetiche), le ragioni del rifiuto della gestazione per altri (o maternità surrogata) nel rispetto della tutela dell’interesse preminente del bambino, il tema riguardante l’inizio della vita umana che, secondo la dottrina tradizionale della Chiesa, coincide con l’atto stesso del concepimento, ma che in realtà «non è mai del tutto circoscrivibile, essendo radicato nel cuore del mistero» (p. 37).
Relativamente a quest’ultimo profilo, va evidenziato il criterio suggerito da Giannino Piana e utilizzabile anche per altri settori della riflessione teologica:
«L’autentica tradizione cristiana non può (e non deve) essere pensata come un blocco monolitico, da trasmettere in maniera mummificata e ripetitiva; è una tradizione aperta e innovativa, costantemente in crescita che ha (e non può che avere) come faro la fedeltà alla logica dell’incarnazione. Il coraggio di cambiare, nel pieno rispetto della sostanza evangelica, è la via da percorrere per renderla credibile e universalizzabile» (p. 40).
Robo-etica: nuovo capitolo dell’etica
La seconda sezione è dedicata alla robo-etica, disciplina che studia gli aspetti etici, sociali, umanitari ed ecologici delle tecnologie robotiche nella loro interazione con l’uomo e con la società umana nel suo insieme.
La sezione presenta due contributi: uno si sofferma su quella vera e propria rivoluzione costituita dall’intelligenza artificiale che, negli ultimi decenni, ha fatto enormi progressi e l’altro riguarda l’algor-etica che – come spiega l’Accademia della Crusca – è una «parola macedonia formata da algor, abbreviazione di algoritmo (insieme di regole per la risoluzione di un calcolo numerico e per estensione metodo o procedimento matematico per la risoluzione di un problema) e etica (complesso delle norme morali e di comportamento pubblico e privato proprie di un individuo o di un gruppo)».
Questo neologismo, che nasce in risposta a quella che viene chiamata algocrazia (dominio degli algoritmi), si è affermato tra il 2017 e il 2020 e, di fatto, ha inaugurato un nuovo capitolo dell’etica.
Le nuove conquiste del progresso tecnologico non possono essere lasciate a sé stesse, ma hanno bisogno, se si vogliono evitare le pesanti ricadute negative, di essere sottoposte al vaglio del giudizio etico. «Un giudizio che deve soprattutto indirizzare l’agire umano verso il perseguimento di obiettivi che accrescano il benessere degli individui e della comunità umana» (p. 47).
Questioni di morale della persona e della vita
La terza, la quarta e la quinta sezione affrontano uno spettro assai ampio di questioni di morale della persona e della vita. Tra le quali la tutela dei diritti degli omosessuali, il problema della denatalità, l’affermarsi del c.d. modello nordico di contrasto allo sfruttamento della prostituzione con la criminalizzazione della figura del cliente, i nodi critici del fine-vita, l’accanimento terapeutico, le cure palliative che continuano ad essere troppo poco praticate in alcune aree geografiche del Paese, il tema della morte ritornato di drammatica attualità a seguito della pandemia da coronavirus e trattato da Giannino Piana anche in una prospettiva cristiana.
Rasserenante e incoraggiante quanto Giannino Piana scrive a proposito della morte nella visione cristiana:
«Al di là del dramma al quale nessuno può sfuggire, il mistero pasquale, che ha nella risurrezione il momento culminante, immette un fascio di luce sulla realtà della morte. La risurrezione di Cristo ci ricorda infatti che l’umanità, cui è stata partecipata nel Figlio la figliolanza divina, non può che godere dello stesso destino. La morte non è più dunque l’ultimo traguardo: essa segna l’ingresso in una vita di eterna beatitudine. La speranza cristiana, che fiorisce ai piedi della croce, ha qui il suo definitivo suggello. E la fede ci dice che questo cammino è iniziato fin da quaggiù, perché – come l’apostolo Giovanni non manca con insistenza di annunciare – quella vita promessa ci è già stata partecipata, con l’impegno che la facciamo crescere in noi e negli altri, fino al suo definitivo compimento nella pienezza del regno del Signore» (p. 104).
Questioni di morale socioeconomica e politica
Le sezioni dalla sesta all’undicesima affrontano tematiche tipiche della morale socioeconomica e politica. Denotando – come fa rilevare nell’introduzione Pier Davide Guenzi (p. 18) – la profonda attenzione che Giannino Piana ha sempre riservato alla vita pubblica e alla cura delle istituzioni, esse sviluppano la riflessione in quattro parti tra loro strettamente collegate: l’importanza del perdono nei conflitti sociali e politici, la relazione tra individui e società (le diseguaglianze sociali, la crisi della democrazia con l’avvento della rivoluzione digitale, il lavoro schiavizzato, gli anziani, le droghe leggere), alcuni aspetti problematici riguardanti la condizione giovanile, la gestione intelligente e lungimirante del complesso fenomeno migratorio.
A proposito del perdono – che non ha nulla a che fare con il perdonismo «che copre il male cancellandolo o evitando di prenderlo in seria considerazione» (p. 114) – merita riportare questo significativo passo:
«La strada del perdono è una strada impegnativa; essa esige, da una parte, il rifiuto della complicità con il male e, dall’altra, la rinuncia all’esercizio della vendetta […]. Il perdono è, in definitiva, la risultante di un equilibrio non facile (e sempre instabile) tra il mantenimento della coscienza del male e l’apertura alla possibilità del cambiamento. Come tale, esso non scavalca l’impegno attivo di elaborazione dei conflitti attraverso il ricorso alla mediazione e alla perequazione dei diritti, ma rappresenta una forma di guarigione della memoria, una sorta di catarsi in cui all’attenzione alla verità e al bisogno di giustizia della vittima si accompagna un atto di magnanimità che serve ad evitare la ritorsione e l’escalation della violenza, frutto della spirale della vendetta» (p. 115).
Nel campo della morale socioeconomica e politica rientrano anche gli articoli inseriti nella decima e nell’undicesima sezione e riguardanti la politica e la questione drammatica della guerra e della pace.
Di notevole interesse quanto affermato nella decima sezione relativamente alla presenza dei cattolici in politica e alla relazione che intercorre, ai fini dell’affermarsi di una buona politica, tra ideologia – intesa in senso positivo come chiave interpretativa della realtà sociale funzionale a dare vita ad un prassi di cambiamento per l’autentica costruzione del bene comune – e utopia che ha un parallelo teologico con la categoria biblica dell’escatologia:
«L’escatologia cristiana, attraverso l’annuncio del già e del non ancora del Regno, spinge chi crede ad impegnarsi fino in fondo a cambiare il mondo e, insieme, lo stimola a vivere nell’attesa di un futuro assoluto che verrà offerto come dono dall’alto» (p. 189).
Attenzione al magistero di papa Francesco
Nella raccolta di articoli si fa spesso riferimento al magistero pastorale di papa Francesco caratterizzato dalla volontà di far uscire l’etica cristiana dalla visione angusta che per troppo tempo l’ha caratterizzata e di restituirle un autentico afflato evangelico.
Al magistero di papa Francesco è espressamente dedicata l’ultima sezione (Francesco papa e pastore) costituita da due saggi: uno riferito all’enciclica Laudato si’ in tema di ecologia integrale e l’altro all’esortazione apostolica Amoris laetitia in materia di etica matrimoniale e familiare
Ma al magistero pastorale di Francesco fanno altresì riferimento altri testi raccolti nel volume: quello riguardante l’algor-etica (sezione seconda), i diritti degli omosessuali (sezione terza), i rilievi critichi mossi all’articolo scritto nell’aprile del 2019 sotto forma di appunti dal papa emerito Benedetto XVI sugli abusi nella Chiesa cattolica che è stato utilizzato dalle correnti più tradizionaliste presenti nella Chiesa per contestare le prese di posizione dottrinali e pastorali di papa Francesco (sezione terza), i nodi critici del fine vita (sezione quarta), i cattolici e la politica nonché la stretta correlazione tra questione ambientale e questione sociale (sezione decima), la ricerca della pace e l’attualità dell’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII (sezione undicesima).
In generale, si può affermare che, per Giannino Piana, la teologia morale di papa Francesco va oltre una logora precettistica minimalista per fare spazio alla radicalità e alla bellezza umanizzante del messaggio evangelico che fonda l’etica cristiana. Essa ha come perno «la mediazione dell’ideale evangelico con l’esercizio della misericordia nei confronti delle diverse (e complesse) situazioni umane» (p. 223).
Radicalità evangelica e misericordia di Dio
Radicalità evangelica e misericordia di Dio sono due concetti che tornano con insistenza anche in quello che probabilmente è l’ultimo scritto che Giannino Piana ha voluto consegnare solo ad alcuni suoi amici pochi giorni prima della morte.
Si tratta di una lunga riflessione, quasi un testamento spirituale, sul futuro del cristianesimo e della Chiesa: riflessione che, pur coltivata nel corso della sua intera vita, si è fatta più nitida nell’ultimo periodo in cui – provato dalla sofferenza di una malattia debilitante – ha avuto più tempo a disposizione per concentrarsi sulle cose che più contano.
Eccone un frammento:
«L’ipotesi sulla quale occorre, a mio avviso, lavorare è quella dell’abbandono delle strutture ecclesiastiche attuali, parrocchie incluse, per dare vita a un modello più agile e articolato, che prevede la costituzione di piccole comunità di vita, nelle quali dare espressione reale alla comunione mediante la reciproca conoscenza, la crescita continua nell’unione fraterna e la compartecipazione dei beni secondo giustizia e carità. Si tratta di comunità in cui si rende possibile vivere la piena corresponsabilità del fare Chiesa in nome del sacerdozio comune scaturente dal battesimo; comunità in cui a tutti viene assicurata pari dignità e dove i vari carismi vengono valorizzati e fatti convergere in unità. Una comunità che si sforza di vivere in fedeltà alla radicalità dei valori evangelici – quelli del discorso della montagna – e che, riconoscendo la propria fragilità e il proprio peccato, invoca di continuo la misericordia e il perdono di Dio, non indulgendo in forme di passività e inazione, ma guardando con coraggio costantemente in avanti».






Le strutture umane che accompagnano il cammino di Fede del credente sono frequentemente cambiate in duemila anni cristianesimo; probabilmente oggi siamo alla vigilia di un altro cambiamento. D’altronde, il mondo di oggi è un altro mondo rispetto a quello di alcuni decenni fa, per cui è lecito pensare che una struttura come la parrocchia, ad esempio, senza affatto presupporre l’estinzione dei preti, si troverà ad essere necessariamente, profondamente ripensata. Sarebbe molto bello – ed evangelico – che il modello che si affermasse fosse quello auspicato da Giannino Piana (piccole comunità in cui viene assicurata a tutti pari dignità e viene prevista la compartecipazione dei beni); molto bello ma purtroppo utopico, a mio avviso, perché noi, seppur credenti, ragioniamo ancora con la logica del mondo; utopico come l’isola di San Tommaso Moro
“Siamo servi inutili” – ma non so se abbiamo fatto quanto dovevamo fare… perché ostinarsi? tutto quello che è vivo deve morire, ma morire non significa cessare, ma trasformarsi
Al di là di quello che penserebbe il mio parroco sulla “estizione dei preti”, non credo che Gesù abbia inventato dei sacramenti per estinguerli. Bel modo di vivere la Chiesa, auspicando la morte di un intero suo Ordine. Forse, vista la nostra età, conviene meditare sul fatto che l’assalto alla diligenza è fallito… perché non è così che si riforma la Chiesa
A decidere come riformare la chiesa sarà la necessità dovuta all’estinzione del clero.
Il clero si estingue perché mancano i laici. Quelli che rimarranno non perderanno tempo a riformare un’istituzione che detestano, ognuno andrà per la sua strada e buonanotte.
Che prospettive… ma pensare a crescere nella fede, a testimoniare la Verità che salva, con le parole e le opere, no? Dovremmo tifare per le vocazioni all’ordine e al matrimonio! Le parole di Leone XIV ai giovani per il Giubileo mi sono sembrate molto incoraggianti, per tutti
Rispondevo al commento sopra, mi pare evidente che la restrizione del clero sia proporzionale a quella dei laici. Una volta estinto il clero, almeno all’interno del cattolicesimo, quanti laici rimarrebbero per effettuare questa benedetta riforma? Sempre dando per scontato che la riforma poi piaccia a tutti i laici rimasti..
Almeno nel mondo protestante chi non si identifica più nella propria chiesa va a fondarsene un’altra senza rimanere a lamentarsi..
Ma non è vero. In Cina comunità cristiane hanno vissuto decenni senza preti. Come diceva quel tale: si può fare!
Il concordato di Papa Francesco con la Cina è letteralmente la lotta per le investiture 1000 anni dopo. Se in Cina non importa il clero (anzi i vescovi) che l’ha fatto a fare il concordato? Senza contare che si tratta di una minoranza quasi omeopatica rispetto al contesto.
Ma poi, perché il clero dovrebbe a tutti i costi estinguersi? Chi le ha detto che le cose debbano andare così?
A livello globale il trend non è questo, tra l’altro.
Sarebbe bellissimo avere comunità di questo tipo. Forse l’estinzione dei preti ci aiuterà a raggiungere questo obiettivo. Io l’ho sempre pensato che Dio si è stancato di questa chiesa e ne vuole un’altra. Per questo estingue i preti e non fa più sorgere il desiderio di diveltarlo. Il nuovo arriverà o di riffa o di raffa con o senza il nostro consenso semplicemente per estinzione del clero.
Spero che all’interno di queste nuove visioni di vita comunitaria ci sia lo spazio per le aperture di Francesco. Ci sarà posto davvero per tutti e non ci saranno più i vigilantes della morale ad impedire l’ingresso ai “non idonei”. Perchè nessuna persona deve essere detta immonda se pratica l’amore verso i fratelli.
Come dice S. Pietro “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto.”
Senza preti come sarebbe possibile celebrare l’Eucaristia?
Non sarebbe in alcun modo possibile.
Dunque, niente Eucaristia = niente Chiesa.
Se vuole costruire o auspica che nasca qualcosa del genere, sono affari suoi: ma non potrà mai essere la Chiesa di Cristo.
Quanto scommette che una soluzione si trova? Non resti legato a logiche più umane che divine.
Guardi, la sua non è la fede della Chiesa cattolica: negare in modo pertinace ciò che appartiene al depositum fidei lo dimostra chiaramente.
E poi il suo modo di argomentare fa quantomeno sorridere: sarebbe una logica “più umana che divina” quella per la quale senza sacramento dell’Ordine non c’è Eucaristia e non c’è Chiesa (cosa che fa parte della Tradizione… e per Tradizione la rimando a Dei Verbum). Mentre il suo ragionamento – cavilloso e che butta via 2000 anni storia – quello invece… A che logica appartiene?
Come è permaloso. Le cose cambiano. Sarebbe il caso di farsene una ragione e trovare soluzioni invece di invocare tempi finiti.
Io non sono permaloso e quello che invoca “tempi finiti” è lei con il clero che si augura possa estinguersi. La rassicuro: non avverrà.
Dovrebbe invece disimparare una cosa, questa sì, perché altrimenti continuerà a non comprendere la fede della Chiesa cattolica: non tutto è passibile di rivoluzione. E ciò che è accaduto per un tempo limitato e in una parte limitata del mondo (il Giappone senza Gerarchia per circa due secoli) si chiama “eccezione” che, come tale, non può essere regola. Ci sono dei “fondamentali” che la Chiesa, nei secoli, ha riconosciuto come parte del deposito della sua fede e che provengono, perciò, da Dio. In merito ai Sacramenti, per esempio, a Trento è stato insegnato che sono né più né meno di 7. E così sarà anche in futuro. Il Vaticano II, peraltro, riprende tutti questi insegnamenti ribadendoli.
Il resto sono fregnacce 68ine, che fanno leva sullo “spirito del concilio” che con il Vaticano II non ha praticamente nulla da spartire.
Guardi è 50 anni che frequento la chiesa. Non mi prenda per uno sprovveduto. Ma ora che sto vedendo la fine di un epoca e non vedo nulla che possa portare introdurre il nuovo perché nessuno è tutto fluido non credo che tornare al concilio di Trento sia la strada giusta. Beato lei che ci crede. E si ricordi che spesso l’eccezione conferma la regola.