Non fu soltanto il compimento dei 75 anni di età (ragione, di per sé del tutto valida, dato che in tale occasione ogni vescovo è tenuto a presentare la propria rinuncia al papa) a causare la conclusione del ministero episcopale del cardinale Juan Luis Cipriani Thorne come arcivescovo di Lima, il 25 gennaio 2019; aveva compiuto i fatidici 75 anni da meno di un mese (il 28 dicembre 2018), e un anno prima aveva accolto papa Francesco in visita in Perù.
I più, conoscendo le posizioni conservatrici del porporato, proveniente dalle file dell’Opus Dei, collegarono la scelta alla volontà del papa di dare un forte segno di discontinuità pastorale nella guida dell’arcidiocesi di Lima, peraltro ben evidenziata dalla contemporanea scelta del successore, l’attuale cardinale Carlos Castillo Mattasoglio, amico del teologo Gustavo Gutiérrez, emarginato e privato dell’insegnamento all’Università Cattolica proprio da Cipriani.
Oggi, sappiamo con certezza che dietro al «repentino» pensionamento dell’arcivescovo di Lima c’era anche dell’altro. Precisamente, una denuncia di abuso sessuale su un minore. Secondo il quotidiano spagnolo El País, che ha sganciato la “bomba” sabato 25 gennaio, la vittima aveva scritto al papa qualche tempo prima, denunciando fatti che risalivano al 1983, e che aveva a sua volta denunciato – restando inascoltato – all’Opus Dei in Perù; ben prima, quindi, che Cipriani venisse ordinato vescovo, nel 1988.
La dichiarazione del Vaticano dopo l’autodifesa del cardinale
Il Vaticano, in coerenza con le linee che si è dato, si era attivato celermente. L’articolo di El País, la successiva risposta del cardinale Cipriani, sempre sabato 25 gennaio, e la successiva dichiarazione di Matteo Bruni, direttore della Sala stampa vaticana, di domenica 26 gennaio, sono (parzialmente) convergenti su un fatto, riassumibile nelle parole dello stesso Bruni, il quale ha spiegato che «dopo l’accettazione della sua rinuncia da arcivescovo di Lima», al cardinale «è stato imposto un precetto penale con alcune misure disciplinari relative alla sua attività pubblica, al luogo di residenza e all’uso delle insegne». Postilla importante: il provvedimento in questione è stato «firmato e accettato» da Cipriani.
L’arcivescovo emerito di Lima, nella lettera del giorno precedente, aveva, da un lato, negato di aver commesso alcun tipo di abuso: «Non ho commesso alcun crimine, né ho abusato sessualmente di nessuno nel 1983, né prima né dopo».
D’altro canto, aveva affermato, nell’agosto 2018, di essere stato informato che era arrivata una denuncia che non gli è stata consegnata. E aggiungeva: «Poi, senza essere stato ascoltato, senza saperne di più e senza che fosse aperto un processo, il 18 dicembre 2019 il Nunzio apostolico mi ha comunicato verbalmente che la Congregazione per la dottrina della fede mi ha imposto una serie di sanzioni che limitano il mio ministero sacerdotale e mi chiedono di avere una residenza stabile fuori dal Perù».
Gli veniva, inoltre, chiesto il silenzio, «cosa che ho fatto finora».
Precetto penale ancora in vigore
In un ulteriore punto, la ricostruzione vaticana smentisce quella del cardinale. Quest’ultimo, nella sua presa di posizione, spiega che, ben presto (in seguito a un’udienza concessagli da papa Francesco il 4 febbraio 2020) le sanzioni vennero attenuate.
«Benché, in occasioni specifiche, siano stati accordati alcuni permessi per venire incontro a richieste dovute all’età e alla situazione familiare del cardinale, allo stato attuale, tale precetto risulta essere ancora in vigore», sottolinea, invece, il portavoce vaticano.
Non è dato di sapere, in modo ufficiale, se il recente viaggio a Lima del card. Cipriani, in occasione delle festività natalizie, risponda a tali criteri. Di certo, esso si è protratto per un paio di settimane, non si è limitato alla dimensione “privata” ed è culminato con il ricevimento, in pompa magna, dell’onorificenza della Medaglia al merito nell’ordine della Gran croce, che il card. Cipriani ha ricevuto da parte del sindaco di Lima, Rafael López Aliaga, noto come un cattolico di ultradestra, che, negli ultimi giorni, ha difeso a spada tratta Cipriani.
Per quanto riguarda gli ultimi anni, effettivamente, il cardinale ha mantenuto a Roma una vita riservata, pur partecipando a vari momenti e celebrazioni in Vaticano, e non rinunciando a dire la sua su una delle frequenti crisi istituzionali del Perù, attraverso un’intervista televisiva su RaiNews, il 17 novembre 2020. Lo stesso Cipriani ha affermato di essersi stabilito a Madrid dopo il compimento degli ottant’anni d’età.
L’Opus Dei si difende, ma chiede scusa
Se le parole di Bruni hanno messo un punto fermo nella ricostruzione della vicenda, non sono, naturalmente, mancate molte reazioni, tra l’altro in un contesto ecclesiale, quello di Lima e del Perù, già fortemente segnato dalla dolorosa vicenda del Sodalizio di vita cristiana, la società di vita apostolica sciolta da papa Francesco.
Padre Ángel Gómez-Hortigüela, vicario dell’Opus Dei in Perù, ha scritto:
«Negli anni in cui è stato sacerdote incardinato nell’Opus Dei (1977-1988), l’allora don Juan Luis Cipriani ha svolto un’ampia e generosa attività pastorale con migliaia di fedeli, giovani e adulti nel nostro paese, fino a quando è stato nominato vescovo da papa Giovanni Paolo II (1988). Indipendentemente da quanto sopra, e come vicario regionale, chiedo perdono di tutto cuore se non sono stato in grado di accogliere pienamente una persona che desiderava essere ascoltata.
Nel 2018, di fronte alla richiesta di un incontro con il denunciante, sapevo che non potevo interferire in un’accusa formale già avviata presso la Santa Sede, che è la via appropriata quando si tratta di un cardinale. Non avendo competenza giuridica sul caso, quando una persona di fiducia del denunciante mi ha chiesto di incontrarlo, ho reagito pensando che quell’incontro potesse non essere positivo.
Oggi mi rendo conto che avrei potuto offrirgli un’accoglienza personale, umana e spirituale, che so per certo ha ricevuto da altre persone dell’Opus Dei. Preciso, inoltre, che non esiste alcuna traccia di un processo formale durante gli anni in cui, come sacerdote, don Juan Luis Cipriani era incardinato nell’Opus Dei».
La lettera del card. Castillo e il comunicato dei vescovi
Martedì 28 gennaio, a prendere posizione sulla vicenda sono state le maggiori autorità ecclesiali del Perù: il cardinale Carlos Castillo, arcivescovo di Lima e primate del Paese, e la Presidenza della Conferenza episcopale peruviana, rinnovata solo qualche giorno prima.
In una lettera al popolo di Dio, il cardinale Castillo manifesta il suo appoggio alla linea del Vaticano, e sostiene che «quanto dichiarato ufficialmente dalla Santa Sede pochi giorni fa ci rimanda, soprattutto, all’immenso dolore e alla sofferenza vissuta dalle vittime di ogni tipo di abuso all’interno della nostra Chiesa e nella società». Una sofferenza, aggiunge, che «lacera il nostro spirito, ci interpella profondamente e ci coinvolge nella solidarietà con loro».
Il porporato aggiunge che «ogni essere umano oltraggiato è un grido di Dio», invita «a fare uno sforzo personale ed ecclesiale» in questo senso, aggiungendo: «In questi mesi, dopo indagini serie e precise, ci sono persone e istituzioni che si rifiutano di riconoscere la verità dei fatti e le decisioni prese dalla Santa Sede. Chiediamo a tutti di rinsavire, attraverso un cammino di conversione che comporta l’abbandono di vane giustificazioni, ostinazione e rifiuto della verità».
Il card. Castillo sottolinea, infine, la sua «piena fiducia nelle procedure e negli strumenti penali canonici che la Santa Sede ha utilizzato, utilizza e applica, che sono in continua evoluzione e miglioramento». Per questo – aggiunge – «ribadisco il mio fermo e irreversibile sostegno, collaborazione e solidarietà con il Santo Padre, apprezzando il suo modo saggio di esercitare la giustizia nella Chiesa e di accogliere e proteggere le vittime».
Poche ore dopo, con una breve nota, si è espressa anche la Conferenza episcopale del Perù, nella quale si legge:
«Siamo addolorati per le recenti notizie sul card. Cipriani. Ci rammarichiamo per il dolore sofferto dalla vittima dell’abuso e dalla comunità ecclesiale e chiediamo a tutto il popolo di Dio di rispettare il desiderio della vittima di rimanere anonima. Ribadiamo la nostra vicinanza a tutte le vittime di qualsiasi tipo di abuso. Riconosciamo la saggia decisione del Santo Padre».
La «sorpresa e dolore» di Cipriani
Non è finita qui, perché il cardinale Cipriani, mercoledì 29 gennaio, ha scritto al presidente dei vescovi peruviani, mons. Carlos Enrique García Camader, vescovo di Lurín (e già ausiliare dell’arcivescovo Cipriani), manifestando «sorpresa e dolore» per le prese di posizione del giorno precedente.
«L’ho firmato – scrive il porporato in riferimento al precetto penale –, dichiarando per iscritto sul posto che l’accusa era assolutamente falsa e che avrei obbedito a queste disposizioni – come ho fatto – per amore della Chiesa e per comunione con il Romano Pontefice».
Quindi, ha aggiunto: «Ho accettato misure preventive di fronte all’accusa ricevuta fino a quando non fosse stata chiarita la verità, nonostante abbiano origine da un’accusa falsa, dalla quale non ho potuto difendermi».
La conclusione fa riferimento al contesto in cui le notizie sono state ricevute in Perù: «Mi resta l’affetto della maggior parte dei miei fratelli nella fede, che mi hanno dimostrato tanta forza in questi giorni, e di migliaia di connazionali che, né gli uni né gli altri, si sono lasciati fuorviare in questa campagna di tentativi di molestie e di distruzione della mia dignità e del mio onore».
Alcuni criteri interpretativi e contestualizzazioni
Sul merito della questione in sé, molto delicata e grave, non è possibile aggiungere molto, se non fare presente che essa si inquadra in un contesto che, di per sé, rende difficile trarre conclusioni perentorie e ultimative, se non altro per i molti anni trascorsi dall’ipotizzato abuso. Facile, dunque, prevedere che sulla vicenda continueranno a esserci “innocentisti e “colpevolisti”, specie in una realtà, come quella peruviana, in cui la polarizzazione e la faziosità politica e sociale ha rischiato sovente di riversarsi anche nella Chiesa.
Va, inoltre, tenuto conto delle peculiarità del Diritto canonico, e di uno strumento, come il precetto penale, che, nella situazione, è sembrato quello più adeguato e saggio. Si deve supporre, ed è la stessa, fondata, supposizione che ha guidato le autorità ecclesiali peruviane nelle loro prese di posizione, che a esso si sia giunti in seguito a un’istruttoria approfondita e accurata da parte del Vaticano, e a una ponderata valutazione del papa.
La vicenda Cipriani, in ogni caso, non è e non sarà indolore. Essa piomba in un contesto già colpito dal caso del Sodalizio di vita cristiana. Probabilmente, non è un caso che l’indiscrezione di stampa sia uscita proprio in questi giorni, mentre si attende di conoscere i contenuti del decreto di scioglimento di questa società di vita cristiana, con la firma di papa Francesco.
Una vicenda, quest’ultima, molto dolorosa, già ripercorsa su Settimana News attraverso il recente articolo di Lorenzo Prezzi, e le precedenti ricostruzioni di Francesco Strazzari. Un miscuglio di abusi sessuali e di potere, scandali economici, intrecci poco trasparenti hanno caratterizzato la condotta di molti esponenti di questa società di vita apostolica, certamente nata ben prima della nomina di Juan Luis Cipriani ad arcivescovo di Lima, ma protetta e prosperata negli anni del suo ministero, almeno fino ai primi accertamenti delle responsabilità del fondatore, Luis Figari.
Il dossier Sodalizio, pur già finito in mani vaticane prima del 2019, ha avuto una decisa accelerazione con la conclusione del servizio episcopale di Cipriani.
Il dittatore e il teologo
La concomitanza di questi due casi, si vedrà se accompagnati da ulteriori sviluppi, getta ombre e interrogativi sul già controverso “ventennio” del card. Cipriani a Lima, alla cui politica, secondo quanto scritto su questo sito da Francesco Strazzari, «dal 1999, quando divenne arcivescovo di Lima, diedero man forte movimenti ecclesiali di destra, unitamente alla finanza».
Per gli strani casi della storia, queste ultime, tristi vicende, avvengono a non molte settimane dalla morte di due peruviani, dal valore molto diverso, conosciuti in tutto il mondo.
L’11 settembre 2024 è morto Alberto Fujimori, il dittatore condannato per crimini contro l’umanità, rispetto al quale l’arcivescovo Cipriani non fu distante. Il 22 ottobre, a 96 anni, ha concluso la sua vita terrena padre Gustavo Gutiérrez, autore di “Teologia della liberazione”, pienamente riabilitato nel suo pensiero teologico, profondo e pienamente cristiano e nella sua figura di sacerdote.
Nel 1999, anno di nomina di Cipriani ad arcivescovo, padre Gustavo lasciò il presbiterio diocesano e venne accolto nell’ordine domenicano. Durante il suo funerale, l’arcivescovo Castillo, da tanti anni amico di padre Gustavo, e poche settimane prima designato cardinale, ha letto le parole con cui papa Francesco ha definito Gutiérrez: «Un grande uomo, un uomo di Chiesa che ha saputo tacere quando doveva tacere, che ha saputo soffrire quando era il suo turno di soffrire, che ha saputo portare avanti tanto frutto apostolico e tanta ricca teologia».
Fa una certa impressione, oggi, ricordare che, in un tempo neppure molto lontano, il mite Gutiérrez è stato ritenuto per la Chiesa «un pericolo», ben più del dittatore autore di crimini contro l’umanità.
Bruno Desidera è giornalista de La vita del popolo di Treviso e collaboratore della Agenzia SIR
Mi sembra un articolo fazioso che condanna a scatola chiusa, sulla base di visioni ideologiche, senza processo e possibilità di difesa, un leale uomo di Chiesa, stimato e amato da tanti.
Fa pensare che una persona sia condannata senza essere ascoltata e pertanto senza un giusto processo, solo per una denuncia.
Fa pensare che una persona nel 2025 sia considerata appartenente a un ceto religioso quando non vi fa più parte dal 1988.
Fa pensare che questo trattamento la Chiesa cattolica lo riservi a un suo fedele.
Va certamente bene la lotta agli abusi, ma non per mezzo di altri abusi di potere.