Nel gorgo del Libano

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Beirut, 15 ottobre

A una settimana dall’attacco sferrato da Hamas contro Israele in Libano c’è attesa e trepidazione. La capitale Beirut è tranquilla e si resta in attesa degli eventi, ma nei supermercati il pane comune scarseggia da giorni così come il carburante nei distributori.

Per i libanesi l’invasione israeliana del 2006 è storia troppo recente per non essere ben presente nella memoria e le ferite, soprattutto nel Sud del Paese, sono ancora aperte. Al Sud le scuole sono state chiuse all’indomani dell’attacco di Hamas e molti degli abitanti dei villaggi di confine hanno lasciato le loro case per passare la notte negli alberghi di Saida e Tiro, capitale della regione.

Fuga e manifestazioni

Chi può cerca rifugio da amici e parenti che vivono in località meno esposte al fuoco israeliano. D’altra parte, l’astio nei confronti del nemico non si è mai spento negli animi dei libanesi e la voglia di dare una lezione all’ingombrante vicino qui è comume a tutti. Nella giornata della mobilitazione generale “Friday of the Al-Aqsa Flood”, la richiesta di supporto che Hamas ha rivolto venerdì a tutto il mondo arabo, l’entusiasmo non è mancato nemmeno in Libano: migliaia di persone si sono riversate nelle strade di paesi e città a supportare la causa palestinese.

A Beirut si sono succedute per tutta la giornata decine di manifestazioni, dal centro alle periferie. Numerose ovunque, oltre alle bandiere libanese e palestinese, quelle di Hamas e di Hezbollah e loro affiliati. Paradossalmente però, proprio la milizia sciita ha il potere di evitare che gli scontri sul confine, che a oggi ammontano approssimativamente a poco più di una decina di vittime tra soldati israeliani, miliziani di Hezbollah, civili  e un giornalista libanese centrato venerdì, degenerino in guerra aperta.

Il controllo che Hezbollah esercita sul Sud Libano, infatti, tiene a freno iniziative potenzialmente molto pericolose se non distruttive da parte palestinese, specialmente nei campi più importanti come Rashidieh vicino a Tiro e Ein Al Helwe a Saida. Proprio in quest’ultimo campo,  il più grande del Libano, è scoppiato tra luglio e settembre un conflitto interno tra le fazioni di Hamas, Al Fatah e Palestinian Jihad che ha provocato circa trenta morti e un centinaio di feriti, tutti palestinesi, oltre a migliaia di sfollati.

Lotte interne

Alla luce dei recenti avvenimenti è difficile non leggere nei fatti di Ein Al Helwe un’eco della lotta per la supremazia tra fazioni, sfociata poi evidentemente nella vittoria del gruppo più estremista. È infatti confermato che l’attacco di Hamas del 7 ottobre fosse in preparazione da mesi, se non da anni, con il contributo determinante dei palestinesi in Libano.

Ancora più inquietante è il fatto che, come risulta da fonti acclarate, l’attacco in preparazione fosse stato segnalato al governo israeliano da più parti, tra cui certamente dai servizi di intelligence egiziani e da infiltrazioni libanesi. Il motivo per cui il governo israeliano non abbia potuto o voluto servirsi di tali informazioni, secondo le quali l’attacco sarebbe stato imminente, rientra nel campo della pura speculazione; resta il fatto che, nonché colta di sorpresa, l’intelligence israeliana, notoriamente tra le migliori, se non la migliore al mondo, era stata in qualche maniera avvertita, sia formalmente che informalmente.

Mentre scrivo l’esercito israeliano sta bombardando i dintorni del villaggio di Ayta Al-Shaab, sul confine, e ha ordinato ai residenti della parte israeliana di non uscire dai propri rifugi, chiudendo tutte le strade al confine con il Libano. Al Manar, la tv di Hezbollah, ha dato l’annuncio dell’uccisione  di una persona e il ferimento di 4 nel villaggio israeliano di Shtula a opera di un missile lanciato dal territorio libanese.

Nella mattinata di stamane, 15 ottobre, si è tenuta davanti al palazzo delle Nazioni Unite di Beirut una manifestazione in solidarietà con la stampa, dopo la morte del videoreporter libanese, in forza alla Reuters, Issam Abdallah, colpito venerdì pomeriggio da un missile israeliano assieme a una decina di colleghi della stampa internazionale, rimasti feriti.

Al momento della sua uccisione Abdallah stava dotando il punto stampa del segnale satellitare per le dirette, e la sua morte ha suscitato riprovazione unanime e sgomento.

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