19 dicembre: Maria, dall’esitazione alla disponibilità

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1. La scena dell’annuncio a Maria ci è molto più familiare, non fosse altro per le numerose rappresentazioni che l’arte ha fornito di questo episodio.

Nel vangelo di Luca la narrazione segue immediatamente l’annuncio a Zaccaria, e il collegamento è segnalato chiaramente dallo stesso evangelista che scrive: «Al sesto mese (di Elisabetta), l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria».

Tempi, nomi, luoghi: non c’è niente di vago o generico, ma tutto è detto con precisione, come si è visto il primo giorno nell’apparire sulla scena di Giovani Battista.

Il senso è che questi interventi di Dio non fluttuano nell’aria, ma entrano direttamente nella storia, la nostra storia. Quella storia che forma il fondo ordinario in cui si svolge la vita, il ritmo del quotidiano, nel quale Dio si inserisce inaspettato, all’improvviso, causando un naturale sconcerto e un senso di paura.

Noi siamo forse abituati a vedere l’annunciazione come un incontro meraviglioso, pacato e felice, dove tutto avviene in un’atmosfera di serenità in cui scorre con tutta naturalezza un dialogo pacifico. Forse sarebbe il caso di guardare le cose un po’ più da vicino, e magari ricuperare tutto il prevedibile lato umano che deve avere sconvolto il cuore e la mente di Maria, e così sottrarre la sua figura da certe versioni da immaginetta che le tolgono lo spessore ruvido della realtà e la rendono lontana e irraggiungibile da ciò che sperimentiamo noi normalmente.

2. Il saluto, per cominciare, rovescia addosso alla ragazza tre espressioni che dovrebbero far saltare di gioia: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te». La prima e la terza potrebbero essere una forma gentile di saluto, ma quella che sta in mezzo è un’affermazione dirompente: “piena di grazia” non significa altro che “piena di Dio”, e questo è tutto tranne che normale!

Siamo troppo abituati a ripetere queste parole nell’Ave Maria, e dobbiamo fare un certo sforzo per capire la reazione della ragazza: «A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo».

La reazione di Maria non è la gioia, ma il turbamento, che è grande, e che la porta a interrogarsi su cosa le stia succedendo. Nelle versioni correnti della figura Maria non si parla spesso, mi pare, che ciò che la caratterizza è l’interrogarsi su ciò che le accade e che non capisce.

Accadrà davanti ai pastori che le raccontano quanto hanno udito nella visione degli angeli (Lc 2,19), accadrà davanti a Gesù dodicenne ritrovato nel tempio che le dice che lui deve occuparsi del «Padre suo» (Lc 2,51), accadrà, possiamo ben immaginarlo, nel momento dello sfacelo, sotto la croce, dove le parrà che la promessa dell’angelo si sia dissolta come si sta dissolvendo tra i dolori il corpo di suo figlio che le era stato presentato come la gioia e la salvezza di Israele.

Saranno diversi i momenti in cui Maria si troverà a cercare di capire chi è, in fondo, quel suo figlio, annunciato in modo strano, cresciuto in modo del tutto normale in un villaggio sperduto della Galilea, e che, a un certo punto, prenderà strade che lo porteranno non certo verso le gloriose promesse dell’angelo, ma verso quello che umanamente appare un disastro e un fallimento.

3. Perché le parole dell’angelo sono una promessa gigantesca, e insieme una vocazione: Maria è chiamata a entrare nel piano di Dio che prevede che lei diventi madre di un figlio che «sarà chiamato Gesù (= colui che salva), sarà Figlio dell’Altissimo, erediterà il trono di Davide, suo padre, e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe». Poche parole, ma nelle quali è concentrata tutta la speranza di Israele, tutte le parole dei profeti che avevano sostenuto la lunga attesa dei secoli.

Si capisce perché sono precedute da un invito che prevede la reazione di Maria: «Non temere, perché hai trovato grazia presso Dio». Ci sarebbe di che esaltarsi, ma Maria nella sua saggezza tiene i piedi per terra, e, come Zaccaria, manifesta il suo dubbio: «Come avverrà questo?». Non chiede “perché proprio io?”, e neanche urla di gioia davanti alla prospettiva di generare il Messia. No. Chiede di sapere “come avverrà questo”, e sembra ci sia già in questa domanda la sua disponibilità a dire di sì a quanto le viene proposto. È forse questo che fa la differenza tra il suo atteggiamento e quello di Zaccaria, che è castigato per “non aver creduto”.

A Maria l’angelo offre una spiegazione: l’intervento dello Spirito Santo, e le dà la garanzia di un “segno” che lei neanche aveva chiesto: la gravidanza insperata della cugina Elisabetta. E l’ultima parola dell’angelo chiede un atto di fede assoluto, quasi un salto nel buio: «Nulla è impossibile a Dio».

Il finale è un modello eterno di come si risponde a una vocazione, a una chiamata di Dio che arriva non a soddisfare i nostri desideri, ma talvolta a sconvolgere i nostri piani. Maria riceve alla fine solo “parole”, ma la sua risposta è di totale fiducia, di totale abbandono: «Ecco la serva del Signore:avvenga per me secondo la tua parola». Maria ha ascoltato, ha riflettuto, ha vissuto un suo “deserto”, ma non è sola, perché c’è una voce che la chiama, e lei la segue.

4. Ricordavo all’inizio le raffigurazioni dell’Annunciazione. Abbiamo da imparare anche da come gli artisti hanno interpretato la scena. Normalmente le due figure stanno una di fronte all’altra. Maria è in ginocchio in atteggiamento di preghiera, o seduta con un libro aperto in grembo.

Possiamo pensare che si indichi qui in lei un fondamentale atteggiamento di ascolto, sia nella preghiera, che è ben di più di una recitazione di formule, ma è – come si è visto – un “entrare nello spazio di Dio”, sia nella lettura della Parola, perché è lì che lei ha imparato quello che si dice del Messia promesso dai profeti, è da lì che le parole dell’angelo prendono senso per lei, ripetono quello che lei conosce già su quel “figlio” che è chiamata a generare e a educare.

Di fronte a lei l’angelo è a volte sospeso e un po’ più in alto, a indicare la provenienza celeste, a volte invece è raffigurato in ginocchio davanti alla ragazza, già in adorazione di colei che è destinata a diventare la madre del Figlio dell’Altissimo.

Ma c’è una Annunciazione piuttosto strana, dipinta da un grande pittore del Cinquecento, Lorenzo Lotto, definito «genio inquieto del Rinascimento», nota come l’Annunciazione di Loreto, che stravolge lo schema tutto idillico e immerso in una pace ultraterrena di quanto si è soliti immaginare.

Le due figure non sono una di fronte all’altra: Maria sembra precipitarsi verso lo spettatore, piegata in avanti, con le braccia alzate e lo sguardo vuoto; l’angelo le arriva da dietro quasi sorprendendola con il suo messaggio, e ad accentuare lo sconcerto, tra le due figure appare un gatto che corre terrorizzato verso lo spettatore (pare che indichi il diavolo!).

Parrà strano, ma non lo è. Quando appaiono gli angeli, la prima reazione è la paura: si è già visto con Zaccaria, lo ritroveremo nei pastori, ed è una costante in tutta la Bibbia. Perché? Dio viene in ciò che ci accade, e questo significa che viene spesso a sovvertire le nostre aspettative, a svegliarci dal torpore, a farci uscire da una routine auto-soddisfatta.

La vocazione, quella di Maria, come qualsiasi altra, è una chiamata all’avventura, al rischio, all’ignoto, e chiede una risposta di fiducia, un affidarsi, una volta convinti che, nel nostro deserto, quella è la strada su cui Dio ci chiama, è su quella strada che la nostra vita non sarà sterile, ma feconda di frutti buoni.

5. Questo affidarsi, comunque, non risolve tutto. Sarà una fiducia da ricuperare quando momenti di crisi mettono in questione qualche situazione in cui ci eravamo installati, matrimonio o vita religiosa che sia. Anche Maria ha dovuto farlo. Il fiat con cui Maria dichiara la sua disponibilità ad accettare la richiesta dell’angelo chiude il racconto, ma non chiude il problema! C’è un passo che solo il vangelo di Marco ci ha conservato. Dice: «Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: È fuori di sé» (Mc 3,20-21).

Poco più avanti Maria è esplicitamente nominata tra i parenti che vanno a cercarlo e a chiamarlo. E alla gente che dice a Gesù: «tua madre e i tuoi parenti ti cercano», egli risponde: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,31-35).

E, a togliere ogni illusione su quale sia la vera gloria di Maria, quando Gesù riceve l’elogio di una donna che gli grida in pubblico: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato», risponderà: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11,27-28).

Maria impiegherà tutta la sua vita a capire e ad accettare cosa ha significato l’incontro con l’angelo, e questo fino al Calvario, quando sarà chiamata a rinunciare alla propria maternità per diventare Madre di un discepolo e, in lui, di tutta la comunità nata dal fianco squarciato di Gesù.

Il Magnificat di Maria, come il Benedictus, è uno splendido canto di gioia, che tutti i giorni siamo chiamati a fare nostro, ma la bellezza del traguardo non ci deve far dimenticare la difficoltà del percorso, anzi, proprio da lì ci deve venire la forza per affrontare gli ostacoli.

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