Pentecoste: Il Vento infuocato

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Battesimo di sangue e fuoco

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso. Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto» (Lc 12,50). La risposta di Gesù a Pietro ha trovato compimento. Il battesimo si è compiuto nell’immersione realizzata volontariamente da Gesù nel dolore e nella violenza del mondo.

Il bagno, però, in realtà è nel suo stesso sangue, sparso nella flagellazione e nella morte in croce. Il suo sangue, la sua vita donata, la sua pro-esistenza, che era stata la cifra di tutta la sua vita sulla terra, intride il mantello del cavaliere chiamato Fedele e Veritiero (cf. Ap 19,11), il Verbo di Dio (cf. Ap 19,13). «Sul mantello e sul femore egli porta scritto un nome: Re dei re e Signore dei Signori» (Ap 19,16). Colui che cavalca un cavallo bianco (cf. Ap 19,11, appartenente cioè al mondo divino e della risurrezione) è intriso del suo stesso sangue, non di quello dei suoi nemici, le nazioni, che pur sconfigge con piena vittoria.

Il battesimo è compiuto, il fuoco sulla terra “è stato gettato” con l’incarnazione e il mistero pasquale di morte e risurrezione. Ora è il momento del fuoco definitivo, ecclesiale, il sigillo della pasqua di Gesù: l’effusione dello Spirito.

“Compimento-insieme”

All’inizio della prima scena del libro degli Atti (At 1,15–8,3), incentrata su Gerusalemme e dedicata alla comunità con i dodici apostoli, viene narrata la morte di Giuda e la ricostituzione del gruppo dei Dodici (1,15-26), a cui segue il racconto della Pentecoste, il discorso di Pietro a Gerusalemme e il primo sommario (At 2,1-47).

Il racconto dell’evento della Pentecoste – “cinquantesimo/pentekostē”, sottinteso “giorno” – è strutturato letterariamente in due scene:

1) Prima scena (2,1-4): La discesa dello Spirito (v. 1 Le circostanze; vv. 2-3 Come del vento e del fuoco; v. 4 Lo Spirito fa parlare);

2) Seconda scena (2,5-13): La constatazione del miracolo delle lingue (v. 5 Le circostanze; vv. 6-8 Stupore della folla; vv. 9-11 Un mondo riunito; 12-13 Reazioni).

«Mentre stavano compiendosi (symplērousthai) i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto (tēs analēmpseōs autou), egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51), aveva scandito solennemente Luca, indicando la svolta decisa impressa da Gesù alla sua vita pubblica con la decisione “pietrificante il volto” (kai autos to prosōpon estērisen) di dirigersi verso Gerusalemme, il luogo del dono totale di sé.

Ora i giorni del dono pasquale giungono a compimento (symplērousthai), “si-raccolgono-in-pienezza-insieme”. Un giorno “raccolto”, gravido di compimenti e di doni, un giorno “uno” (cf. Zc 14,7), un giorno che raccoglie in unità i semi sparsi del tempo, i semi delle vite piene e di quelle senza speranza. Un giorno di unità del creato, della storia, del cuore degli uomini.

Si “compie-insieme” il senso pieno primigenio della festa delle Settimane (Šābu‘ôt). Si compie in continuità trasfigurata (Rossi De Gasperis) la festa agricola del raccolto delle messi (cf. Lv 23,15-22), già riconfigurata dal giudaismo del tempo di Gesù nel suo significato storico di commemorazione del dono della Torah/Istruzione fatto da YHWH al Sinai (cf. Es 19ss). Niente viene “perso”, niente “sostituito”, tutto viene “inverato”, “compiuto”, “riportato al suo senso primigenio nella mente di YHWH/Il Padre”.

Il dono del nutrimento per la vita umana e quello della Torah per il sostentamento della vita teologale sono ripresi, riassunti e inverati nel dono dello Spirito di Gesù risorto, lo Spirito del Figlio che rende figli. Non c’è solo una logica di promessa-compimento-superamento a reggere il rapporto fra Antico e Nuovo Testamento. Un dialogo fitto di andirivieni illumina le due fasi del cammino di YHWH/Il Padre con la storia del suo popolo.

“Si raccolgono/compiono in uno i giorni”, ma anche “tutti erano insieme nello stesso luogo (ēsan pantes homou epi to auto)”: i dodici apostoli (con Mattia che “era stato computato-insieme/sygkatepsisthē” agli Undici al posto di Giuda Iscariota), con ogni probabilità Maria la madre di Gesù e altre donne (cf. At 1,14), i “fratelli” di Gesù (At 1,15), le circa centoventi persone di cui si parla in At 1,15 nel racconto che prosegue letterariamente senza soluzione di continuità in 2,1 con la descrizione del giorno della festa di Pentecoste.

Tutto (mistero pasquale, giorno di Pentecoste, comunità di Gerusalemme) è portato a “compimento-insieme”, mentre tutti erano in continuità (ēsan) insieme (homou) nello stesso luogo (epi to auto). Tutto converge in unità, prima di esplodere in missionarietà testimoniale.

Come un violento colpo di vento, lingue come di fuoco

Luca visibilizza alla perfezione spazio-temporalmente, in una scena episodica e drammatica tipica del suo stile narrativo, un fatto e una verità “teologica” fondamentale nel cammino della Chiesa che deve portare la Parola ai confini della terra. Dal mondo di Dio, all’improvviso – senza preparazione meritoria umana, se non la «preghiera perseverante e concorde di tutti» i componenti della comunità (cf. At 1,14: houtoi pantes ēsan proskarterountes homothymadon tēi proseuchēi) – ci fu un rumore, come di un violento colpo di vento che “riempì/eplērōsen” tutta la casa dove “si trovavano seduti /ēsan kathēmenoi”.

“Lingue come di fuoco/glōssai hōsei pyros” apparvero loro, «che si suddividevano e (una) si posò/ekathisen su ciascuno di loro» (tr. Marguerat).

Tuoni e lampi avvilupparono il dono della Torah al Sinai: «Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore» (Es 19,16). Nella Pentecoste di Gerusalemme, su ciascuno dei membri “seduti” della comunità, personalmente, viene a “sedersi/posarsi” una lingua “come di fuoco” proveniente dal mondo celeste, divino.

Tutti riempiti di Spirito Santo

Il vento è inarrestabile e riempie tutti gli spazi. Il fuoco accende, brucia, purifica, scalda, e anch’esso è contenibile solo con difficoltà. Simboli potenti dell’opera dello Spirito, che tutto invade, riempie, purifica e accende di ardore per la missione testimoniale. Il collegio dei Dodici è stato ricostituito, il popolo di Israele è ora nuovamente rappresentato nella completezza delle sue dodici tribù. Ora esso può ricevere la potenza infuocata del frutto maturo della pasqua di Gesù.

Il fuoco del suo Spirito di Figlio, morto e risorto “per tutti”, per amore indiscriminato, riempie, a partire dal suo costato, il popolo rinnovato di Israele, il popolo messianico. La comunità avverte chiaramente di essere riempita di potenza nuova, non autogenerata ma ricevuta in dono dall’alto, dal YHWH/Il Padre. Gente timorosa e vinta, raccolta insieme spaventata per farsi forza a vicenda, è ora riempita di un soffio potente che rianima, trasforma, infuoca.

Lingue diverse di un mondo unito

Lo Spirito linguacciuto” purifica e infuoca le “lingue” dei discepoli, i Dodici e tutta la comunità riunita in un cuor solo. Non li infiamma per una glossolalia sgrammaticata, incomprensibile agli altri se non tradotta da un interprete (cf. 1Cor 15,1ss), ma per un annuncio chiaro, potente, convinto e comprensibile a tutti nella propria lingua e cultura.

Lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù venuto a portare il lieto annuncio ai poveri, a proclamare l’anno di grazia del Signore a tutti, specialmente ai poveri e agli oppressi (cf. Lc 4,18-19), rafforza potentemente la capacità linguistica della comunità primitiva, di modo che ogni popolo possa sentire l’annuncio sintetico, il kerygma, nella propria lingua e nella propria cultura.

Tre o quattro lingue sono sufficienti a riunire in una comunità linguistica coesa un mondo disperso ai quattro venti, da est a sud, da nord a ovest e a sud di nuovo. Culture diverse sentono nella propria lingua le grandi opere di Dio operate nella pasqua di Gesù. Il prodigio non è linguistico, ma teologico. Non è miracolo di locuzione, ma di comprensione.

I popoli erano stati dispersi con una prima benedizione da parte di YHWH già al momento della pretenziosa erezione della torre di Babele (Gen 11,1-11). L’imperialismo culturale idolatra, onnivoro e omologante, di Babilonia era stato disperso da YHWH in una provvidenziale diversità linguistica e culturale, rispettosa della diversità della genti. Certo questo avvenne con il risultato negativo di una incomprensione reciproca (cf. Gen 11,7). Nella Pentecoste di Gerusalemme la benedizione si compie ora in modo compiuto: diversità rispettosa delle culture e delle lingue e unità nel contenuto della grazia attuata in modo grandioso da Dio in Gesù (“megaleia tou theou”).

Il miracolo non consiste nella molteplicità di linguaggi, ma nell’universalità di comprensione dell’unico kerygma. La sinfonia dell’annuncio tocca potentemente i cuori. Solo lo Spirito Santo può far sperimentare la decisività della pasqua di Gesù per la vita personale di ognuno e delle comunità come tali.

La missione testimoniale che ne nascerà non sarà propaganda pubblicitaria, marketing riuscito perché accorto, studiato e ben pianificato, ma trasmissione contagiosa di una vita trasformata dal kerygma fatto carne di vita.

A Pentecoste viene donata una Torah rinnovata, compiuta. I profeti avevano annunciato la Legge nel cuore (cf. Ger 31,31-34), lo Spirito di Dio dentro le persone (cf. Ez 36,27).

La Torah viene ora sussunta e resa persona, il Figlio di Dio, Gesù morto e risorto presente nella comunità e nei cuori delle persone.

La Torah rinnovata è ora Gesù morto e risorto presente nel suo Spirito di Figlio che rende figli.

La Torah è “filtrata” dal cuore di Gesù e si presenta col volto rinnovato della vita filiale. Lo Spirito non soffia infuocato perché i discepoli osservino più scrupolosamente la Torah scritta e orale, ma perché vivano da figli.

La Pentecoste-“cinquantesimo (giorno)” è compiuta-insieme nel “giorno Uno”.

Unità sinfonica di cuori ardenti, dialoganti e testimoniali.

L’Anti-Babele è arrivata. È possibile vivere “da Dio”, insieme, nello stesso luogo.

Diversi, ma uniti.

Il giardino dell’Eden (cf. Gen 2,15).

Lo Spirito della Verità

La terza delle “cinque parole” di Gesù sullo Spirito (cf. Gv 14,16.26; 15,26; 16,8.13-14) pronunciate nei suoi “discorsi di addio” (Gv 13–16) è incentrata sulla sua qualità di “testimone”: “egli testimonierà circa me/ekeinos martyrēsei peri emou”.

Lo Spirito è ho paraklētos, l’avvocato difensore “chiamato in aiuto” (<parakaleō) e a difesa nel processo che “il mondo” del male intenta ai discepoli di Gesù. In tutto il Vangelo di Giovanni, Gesù è presentato costantemente sotto processo da parte delle istanze religiose e politiche che respingono/“odiano” la sua parola. “Il mondo” costituito da queste forze lo “odia” perché egli rivela una verità – se stesso e il Padre che lo ha inviato – e una logica di vita – l’amore che proviene dal Padre e da lui stesso – diversa da quella proposta da loro.

In realtà, però, è Gesù a processare e a condannare il male, il “mondo” nella sua accezione di insieme di forze “diabolicamente ostili” alla rivelazione che egli compie di sé e del Padre. Come ha “odiato” il Figlio, “il mondo” odierà anche i suoi discepoli che perseguono il suo stesso stile di vita “divino”, “dall’alto”, non derivante e appartenente (ek = da) alla “terra”.

Lo Spirito Paraclito appoggerà la sua mano destra sulla spalla destra dei suoi assistiti e renderà testimonianza della verità della rivelazione di Gesù, del suo amore proveniente dal Padre che sconfigge la mentalità legalista, l’egoismo, il giudizio escludente e condannatorio, la violenza oppressiva a tutti i livelli.

La “Verità” è la rivelazione del Padre attuata da Gesù nella sua persona, nelle sue parole e nelle sue opere. Lo Spirito della Verità prenderà dalle parole di Gesù, l’Inviato, e le “sminuzzerà”, le attualizzerà e le interiorizzerà nel cuore dei discepoli, facendoli pervenire sempre progressivamente alla comprensione della pienezza del loro significato e facendo fruttificare in pienezza la loro fecondità di discepoli.

Annuncerà le cose future

La quinta “parola di Gesù” (Gv 16,13-14) ribadisce che lo Spirito della Verità guiderà i discepoli attraverso il territorio nuovo della testimonianza immergendoli nella pienezza/completezza della Verità (en tēi alētheiai pasēi; en indica stato in luogo o modalità/strumentalità, non la dinamicità propria di eis…).

Lo Spirito guiderà la Chiesa nel cammino della storia a interpretare in modo corretto la rivelazione di Gesù, di modo che la presenza, l’annunzio e l’azione della comunità dei discepoli sia, nei tempi che cambiano, sempre in linea di continuità attualizzata con il lascito di Gesù.

Le cose che i discepoli non possono portare nel momento triste dell’addio sembrano essere la piena interiorizzazione della logica del mistero pasquale, la durissima legge del seme che deve morire se vuol produrre molto frutto e “conservare/phylaxei” la propria vita per la vita eterna (cf. Gv 12,24-25).

Lo Spirito Paraclito non rivelerà verità nuove rispetto alla rivelazione attuata da Gesù, ma “pescherà” dal tesoro del suo lascito per annunciarle ai discepoli nel modo più adatto a vivere i tempi che la Chiesa si trova ad attraversare. La attualizzazione fedele e dinamica della rivelazione completa già attuata da Gesù, attuata dallo Spirito della Verità conforterà, sosterrà e difenderà la Chiesa nella veridicità e genuinità della sua testimonianza nel “mondo” che la odia, perché prima ha “odiato” Gesù.

Lo Spirito della Verità “annuncerà/anaggelei le cose venture, interpretando le realtà vissute dalla Chiesa alla luce della parola di Gesù e del progetto del Padre. Così avvenne per Daniele e il sogno del re Nabucodonosor. Dopo una notte agitata da un terribile sogno, il re «ordinò che fossero chiamati i maghi, gli indovini, gli incantatori e i Caldei a spiegargli i sogni/tou annageilai… ta enupnia autou). Questi vennero e si presentarono al re. Egli disse loro: “Ho fatto un sogno e il mio animo si è tormentato per trovarne la spiegazione/tou gnōnai to enupnion”» (Dn 2,2-3Teod.). Il re chiede “la spiegazione/vuole conoscere/anaggeilai/gnōnai” del sogno.

Rivelando il senso della storia alla luce del progetto di Dio, perché la Chiesa viva in fedeltà dinamica la sua testimonianza, lo Spirito della verità “guiderà nella verità intera” i discepoli di Gesù, cioè “annuncerà le cose future”, glorificando in tal modo il Padre. Lo Spirito farà splendere in tutto il suo bagliore “il peso/la gloria/gr. doxa/ebr. kābôd” del Padre portando all’esterno ciò che il cuore di Dio pensa ed è al suo interno.

Tutto questo farà lo Spirito Paraclito, lo Spirito della Verità. Pur essendo “lo Spirito” un termine di genere neutro nella lingua greca (pneuma) e femminile in quella ebraica (rûa‘), Gesù/Giovanni lo indica in tutte cinque le sue occorrenze nei “discorsi di addio” (Gv 13–16) con il pronome maschile ekeinos=egli (Gv 14,26; 15,26; 16,8.13.14). Lo Spirito è una realtà personale, relazionale, una persona-relazione, che unisce nell’amore il Padre – sorgente di ogni Rivelazione – e il Figlio – l’Inviato del Padre e suo unico e perfetto Rivelatore (cf. Gv 1,18).

Il vento infuocato riempie i cuori dei discepoli di Gesù.

Lo Spirito della Verità, lo Spirito del Figlio anima e “riempie” la Chiesa della sua testimonianza.

I popoli sono riuniti in unità.

È possibile vivere insieme “da Dio”.

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