La Domenica della Parola

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domenica parola

L’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, ha inviato alla diocesi una lettera dal titolo Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore…, cioè la parola della fede che noi predichiamo (Rm 10,8), per sensibilizzare i fedeli alla celebrazione della Domenica della Parola di Dio, che si celebra il 24 gennaio, 3ª del Tempo ordinario.

Carissimi presbiteri, consacrati/e, diaconi, seminaristi, sorelle e fratelli, fedeli tutti e persone di buona volontà.

Introduzione

Con questa Lettera – che viene promulgata sulla soglia del nuovo anno mentre si celebra la LIV Giornata della pace (quest’anno dedicata alla cultura della cura) –, desidero raggiungere tutti e ciascuno di voi perché siamo in prossimità della seconda Domenica della Parola di Dio, istituita nel settembre 2019 da papa Francesco con la Lettera apostolica Aperuit illis.[1]

Celebrare con particolare solennità questa domenica, nel modo in cui ci invita a farlo il Santo Padre, ci spinge a meditare oggi come la Parola infinita di Dio – che è rivelazione ai suoi eletti per mezzo dei quali intende parlare a tutto il popolo – “si cristallizza”, oltre che nella Tradizione, nella sacra Scrittura, che è veramente Parola di Dio (cf. Gv 10,35) e perciò prende particolare vigore quando è proclamata in assemblea liturgica, perché nella liturgia Dio stesso parla al suo popolo e Cristo annuncia il suo Vangelo (cf. SC 7.33), per adunare il suo popolo, generare nuovi figli di Dio e chiamare tutti alla salvezza.

In continuità con quanto già vi scrissi nel 2019, e accogliendo quanto lo scorso 30 settembre 2020 papa Francesco ci ha comunicato nella Lettera apostolica Scripturae sacrae affectus in occasione del XVI centenario della morte di san Girolamo (30.9.2020),[2] vorrei ancora condividere con voi alcuni pensieri riguardanti la Parola di Dio, Dei Verbum, che è insieme sacra Scrittura e Tradizione.

Apprezziamo questo preziosissimo tesoro che lo Spirito Santo ha affidato alla Chiesa e ai suoi pastori, lasciandoci illuminare e guidare da quanto l’apostolo Paolo, riferendosi a Dt 30,14, scrive ai Romani: «Vicino a te è la Parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore, cioè la parola della fede che noi predichiamo» (Rm 10,8), nonché dall’episodio narrato in At 2 il giorno di Pentecoste quando – mossi dallo Spirito Santo –, Pietro si alza in piedi assieme agli Undici, per annunciare il nucleo kerygmatico della fede cristiana: «…ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio – voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere» (At 2,22-24).

Un regno che si edifica con l’annuncio della sacra Scrittura

La Chiesa è chiamata ad annunciare e ad edificare già da questa terra, casa comune, il Regno di Dio, di cui è germe fecondo e incipit. Perché ciò avvenga, deve annunciare il mistero di Cristo – il kerygma – predicando-celebrando-realizzando la Parola, così come avvenne il giorno di Pentecoste, secondo il citato capitolo secondo degli Atti degli apostoli: Pietro annunciò il mistero di Cristo e i non ancora cristiani, «all’udire queste cose, si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”» (At 2,37). Allora, Pietro indicò la via della conversione e chi accolse quella Parola fu battezzato.

Questo episodio ci fa comprendere quanto sia importante che la Parola sia annunciata ad ogni essere umano. Tutti, infatti, hanno il diritto di ascoltare con chiarezza la Parola che viene da Dio e non solo chi è cristiano, ma ogni essere umano, che ha il diritto di ascoltarla integra e netta, così come integra e netta uscì dal cuore del Padre, s’incarnò nel Verbo, fu annunciata e scritta dagli agiografi.

La Parola viene ancora annunciata e approfondita dal Magistero ecclesiale e diffusa dai ministri autorizzati, particolarmente nell’assemblea liturgica, che oggi dispone di una nuova e preziosa edizione del Messale romano.

Se, dunque, essa non viene annunciata, si compie il peccato di ingiustizia, perché si privano i destinatari dei benefici della salvezza, inverando una gravissima omissione. E questo avviene soltanto se c’è qualcuno che con sana “inquietudine” e con la mozione dello Spirito Santo, l’annuncia. Tutti hanno il diritto di ascoltare la Parola della fede! Da quanto scrive il papa, era proprio l’affetto e l’amore verso questa Parola che rendeva “inquieto” s. Girolamo,[3] spingendolo ad amare la “carne delle Scritture”, studiandola con dedizione, traducendola in latino (la lingua corrente di allora), di modo che ogni uomo e ogni donna se ne potesse pienamente nutrire.[4]

Una Parola che si riceve e si dona, in una “comunione di responsabilità”

Perché la Parola di Dio raggiunga il cuore di ogni persona, occorre sempre che qualcuno sia dall’alto inviato (apostolo significa appunto inviato) ad annunciarla. Ce lo ricorda ancora la Lettera ai Romani; non si può esprimere la propria professione di fede in Gesù Cristo se qualcuno prima non ne abbia annunciato il suo nome, non per propria deliberazione, bensì in quanto inviato: «Come invocheranno, dunque, colui (nel quale) non hanno creduto? Come poi crederanno a colui del quale non hanno udito? Come udranno senza uno che annunci? Come poi annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: “Quanto sono belli i piedi di coloro che recano la buona notizia e le cose buone?» (Rm 10,14-15).

Credo sia bene mettere in luce che, per annunciare Gesù Cristo (il kerygma, detto in breve, dichiara appunto che Gesù è il Cristo o Consacrato con l’unzione del Padre), si deve essere inviati, cioè collegati alla catena ininterrotta degli apostoli: il Padre ha inviato il Verbo incarnato nello Spirito Santo; Gesù Cristo ha inviato gli apostoli nello Spirito Santo; gli apostoli mandano i loro successori nello Spirito Santo.

Ciò che è evidente, è che tutto parte dall’apostolo di Cristo. E non solo tutto parte dall’inviato di Gesù, ma poi è all’apostolo di Cristo che si devono condurre quanti sono chiamati e vogliono invocare il nome del Signore perché siano colmati di Spirito Santo.

È in questo senso che la Parola di Dio, dopo averla convocata, crea una comunità ecclesiale, nella quale viene esercitato il carisma dell’annuncio, che genera il culto liturgico e predispone alle azioni di prossimità con gli ultimi e gli scartati.

Ecco spiegato il rapporto tra Parola di Dio e liturgia: «Come cristiani siamo un solo popolo che cammina nella storia, forte della presenza del Signore in mezzo a noi che ci parla e ci nutre. Il giorno dedicato alla Bibbia vuole essere non “una volta all’anno”, ma una volta per tutto l’anno, perché abbiamo urgente necessità di diventare familiari e intimi della sacra Scrittura e del Risorto, che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti. Per questo abbiamo bisogno di entrare in confidenza costante con la sacra Scrittura, altrimenti il cuore resta freddo e gli occhi rimangono chiusi, colpiti come siamo da innumerevoli forme di cecità».[5]

Carissimi, è nella Chiesa, particolarmente nell’assemblea liturgica, che la Parola di Dio si ascolta e si riceve! Una volta ricevuta, la si dona al mondo in una comunione di responsabilità: ognuno riceve la Parola e la dona secondo la responsabilità del proprio ministero. Così il vescovo riceve la Parola dagli apostoli e la dona ai presbiteri e a tutto il gregge, affidato alle sue cure pastorali; il parroco la riceve e la dona a tutto il popolo a lui affidato in cura dal vescovo; il fedele laico la riceve e la dona a tutti i fratelli e le sorelle che incontra nel proprio cammino; il sensus fidei del popolo di Dio nel suo insieme la riceve e la dona a tutto il mondo. Questo è segno di vera comunione e di corresponsabilità nell’azione pastorale!

Un annuncio che non s’interrompe nel tempo e nello spazio

Perché vi sia comunione e responsabilità nell’annuncio della Parola di Dio nel suo nucleo kerigmatico (Gesù è il Signore!), deve esserci vera ed efficace comunione con la Chiesa apostolica che, fin dalle origini e in un cammino ininterrotto, ha predicato la Parola ovunque, fino ai confini della terra. Dove non c’è comunione con l’apostolo, non c’è il Vangelo di Cristo, non c’è vero ricordo della Parola di Dio e neppure vera missionarietà. Una comunione che, a sua volta, l’apostolo è chiamato a vivere, in comunione con gli altri apostoli, e tutti insieme innestati su Pietro, sul quale Gesù ha edificato la sua Chiesa. Solo avendo chiaro tutto ciò, potremo dire di annunciare autenticamente la Parola di Dio in ogni luogo e in ogni tempo.

Anche quando lo Spirito Santo di Dio “afferra” coi suoi doni carismatici una qualunque persona e ne fa un suo inviato “speciale” per la salvezza degli altri esseri umani, quella persona, se davvero inviata dallo Spirito Santo, non può agire in modo autonomo e “separato”, ma deve vivere sempre il suo carisma profetico in comunione di verità con gli apostoli del Signore e i loro successori, per la crescita della comunione ecclesiale. È quanto fa lo stesso Paolo, chiamato sulla via di Damasco e inviato direttamente da Cristo e dallo Spirito Santo, cerca subito il confronto e vive la comunione con gli apostoli.[6]

La Chiesa, dal canto suo, vive con questa certezza nel cuore: il Signore sa chi, quando e come chiamare, perché la Parola giunga al cuore di ogni essere umano; però, per chiamare, ha bisogno di una mediazione umana. La Chiesa storica presta la sua voce a Dio, annuncia e predica le Scritture, mentre il Signore con vocazione specifica chiamerà chi vuole, secondo il suo disegno imperscrutabile di salvezza.

Ad ognuno il proprio ministero: alla Chiesa quello di annunciare, esortare e predicare e a Dio quello di chiamare; allo Spirito Santo quello di concedere i carismi, all’autorità gerarchica della Chiesa quella di autenticarli e riconoscerli. Però il ministero di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo è legato a quello della Chiesa che è popolo di Dio gerarchicamente strutturato.

Dio chiama se la Chiesa predica e non però se la Chiesa non predica, non annunzia, non diffonde la Parola, che è Cristo Gesù, e non predica le Scritture, che di Lui prefigurano l’invio nel mondo e di cui parlano, esponendo i suoi detti e fatti intimamente connessi. Come afferma ancora l’apostolo, «la fede viene dall’ascolto, l’ascolto per mezzo della parola di Cristo» (Rm 10,17).

Perché uno ascolti, è necessario che un altro parli dalla Parola che è Cristo Gesù, visibilmente e credibilmente vissuta, che si annuncia, più ancora che con le labbra, con una vita vissuta evangelicamente; si ascolta, più ancora che con le orecchie, con l’auditus fidei; si mette in pratica, più ancora che con le azioni solidali, mediante l’agàpe.

Ecco perché in un cristiano, che vuol dirsi amante della Parola di Dio, deve abitare questa sana “inquietudine”, che lo spinge a chiedersi circa la bella notizia che è il Vangelo: “Il Vangelo è stato predicato ad ogni uomo e ogni donna? Ogni uomo e ogni donna ha udito la Parola del Vangelo? Come raggiungere coloro che sono lontani o sono stati allontanati dalla comunità ecclesiale, dalla quale dev’essere annunciato il Vangelo?”.

Di qui la venerazione e la grande devozione con cui la Chiesa utilizza i Libri sacri. L’amore intenso della Chiesa per questi Libri che contengono i brani della sacra Scrittura viene significato, oltre che dall’ambone, dal pregio materiale e dal buon uso del Lezionario e del Messale (per questo è inadeguato sostituire i Libri ricorrendo a foglietti, fotocopie, altri sussidi… essi devono integrare, non sostituire i Libri liturgici).

Sull’esempio di san Girolamo

Mi auguro che questa sana “inquietudine” sia lo stile della nostra Chiesa diocesana in ogni sua pietra vivente, motivata da quanto ha scritto papa Francesco riguardo san Girolamo: Egli invita tutti i cristiani ad «amare ciò che gli amò, riscoprendo i suoi scritti e lasciandoci toccare dall’impatto di una spiritualità che può essere descritta, nel suo nucleo più vitale, come il desiderio inquieto e appassionato di una conoscenza più grande del Dio della Rivelazione»,[7] e – aggiungerei – dell’annuncio di questo Dio che si è rivelato in Gesù Cristo ad ogni essere umano!

Ecco perché, anche in questo tempo così difficile della pandemia, che impone tante restrizioni alle relazioni interpersonali e limita il numero dei partecipanti alle convocazioni liturgiche e catechetiche, la Chiesa non può rinunciare alla sua missione di annuncio e di ricordo della Parola che salva, magari con nuovi modi e forme e di annuncio. Le domande che ci palpitano nel cuore sono molte e richiedono la luce continua della Parola di Dio.

È per questo che invito i presbiteri, ministri ordinati, i consacrati e i fedeli laici tutti ad agire nell’ottica di quella comunione di responsabilità di cui ho parlato, a trovare modi e occasioni per continuare ad annunciare la Parola di Dio, non solo nel contesto strettamente liturgico, ma nella normalità del quotidiano, in famiglia come nei modi di aggregazione, favoriti oggi dalle tecnologie e dai new media.

Penso a quanti, in tempo di pandemia, non hanno mai smesso di raggiungere i propri fedeli anche nelle proprie abitazioni mediante i canali “social”, offrendo catechesi sulla Parola di Dio, seminari di approfondimento biblico, commento delle Letture liturgiche domenicali, canti intrisi di sapienza biblica e liturgica, meditazioni bibliche e ritiri spirituali.

La Vergine Maria, riconosciuta come beata perché ha creduto nell’adempimento di ciò che le era stato annunciato, mediante un angelo, dalla Parola del Signore (cf. Lc 1,45), modello autentico di come si accoglie e si dona la Parola di Dio, continui ad orientare il cammino della nostra amata Chiesa diocesana (che si avvia a celebrare il Giubileo della fondazione), perché cresca sempre più nell’affetto e nell’amore verso la Parola di Dio, proclamata, accolta, tradotta in opere d’amore e vissuta a livello personale e comunitario.

Invocando su di voi lo Spirito del Signore e l’intercessione dei santi patroni Agazio e Vitaliano, di gran cuore vi benedico, affidandovi alla Vergine Immacolata, modello di ascolto, accoglienza e incarnazione della Parola che viene da Dio!


[1] Francesco, Lettera apostolica in forma di motu proprio Aperuit illis con la quale viene istituita la Domenica della Parola di Dio (30.9.2019). Frutto di un auspicio derivante dal Giubileo straordinario della misericordia, questa domenica è «dedicata alla celebrazione, riflessione e divulgazione della Parola di Dio. Questa domenica della Parola di Dio verrà così a collocarsi in un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani. Non si tratta di una mera coincidenza temporale: celebrare la domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida» (n. 3).

[2] Cf. qui.

[3] «Un affetto per la sacra Scrittura, un amore vivo e soave per la Parola di Dio scritta è l’eredità che san Girolamo ha lasciato alla Chiesa attraverso la sua vita e le sue opere. […] Questo amore si dirama, come un fiume in tanti rivoli, nella sua opera di infaticabile studioso, traduttore, esegeta, profondo conoscitore e appassionato divulgatore della sacra Scrittura; di raffinato interprete dei testi biblici; di ardente e talvolta impetuoso difensore della verità cristiana; di ascetico e intransigente eremita oltre che di esperta guida spirituale, nella sua generosità e tenerezza. Oggi, milleseicento anni dopo, la sua figura rimane di grande attualità per noi cristiani del XXI secolo», PAPA FRANCESCO, lett. ap. Scripturae sacrae affectus, 30 settembre 2020.

[4] Cos’è in fondo la Scrittura? Diceva Ugo di s. Vittore, sulla scia di s. Girolamo: «Tutta la Scrittura è un libro solo e quest’unico libro è Cristo»: UGO DI s. VITTORE, De arca Noe, II, 8: PL 176,642. E Cristo, nelle Scritture, si lascia mangiare, così come nell’eucaristia, per nutrire coloro che hanno deciso di mettersi alla sua sequela. È paradigmatico quanto afferma Alcuino di York: «La s. Scrittura è la mensa di Cristo […], alla quale ci nutriamo, comprendiamo ciò che dobbiamo amare, desiderare e a chi tener fisso lo sguardo», ALCUINO, In Ps. 127: PL 100,630.

[5] FRANCESCO, Aperuit illis, n. 8.

[6] È interessante notare come papa Francesco si soffermi sul rapporto che s. Girolamo aveva con la cattedra di Pietro, garanzia dell’unità della fede e dell’autentica interpretazione della Scrittura: «Per Girolamo, la Chiesa di Roma è il terreno fecondo dove il seme di Cristo porta frutto abbondante. In un’epoca convulsa, in cui la tunica inconsutile della Chiesa è spesso lacerata dalle divisioni tra i cristiani, Girolamo guarda alla cattedra di Pietro come punto di riferimento sicuro: “Io che non seguo nessuno se non il Cristo, mi associo in comunione alla Cattedra di Pietro. So che su quella roccia è edificata la Chiesa”. Nel pieno delle dispute contro gli ariani (i quali predicavano errori nella fede in Cristo, Parola eterna del Padre), scrive a Damaso: “Chi non raccoglie con te, disperde, chi non è del Cristo, è dell’anticristo”. Perciò può anche affermare: “Chi è unito alla cattedra di Pietro, è dei miei”», PAPA FRANCESCO, lett. ap. Scripturae sacrae affectus, cit.

[7] Papa Francesco, Scripturae sacrae affectus, cit.

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Un commento

  1. andrea 21 gennaio 2021

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