Salmi per un cammino spirituale

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cammino spirituale

Le sovrascritte dei salmi 120-134 parlano di «canto dei gradini/graduali/delle salite» (shîr hamma’alot). Costituiscono un corpo di salmi compatto e il liturgista e biblista camaldolese Matteo Ferrari – che ha studiato anche presso lo SBF di Gerusalemme – suggerisce di leggerli unitariamente come espressione del cammino spirituale di un pellegrino, una scuola di preghiera, una scuola di cura della propria vita spirituale, una scuola di fraternità e di benedizione.

I quindici salmi potrebbero essere stati cantati da leviti sui gradini che portavano al tempio, oppure essere canti di pellegrinaggio vero e proprio, con un itinerario che si snoda dalla partenza e si conclude al tempio di Gerusalemme con varie soste intermedie.

Potrebbero essere, infine, considerati come “canti di ritorno” di un esule che, dalla terra d’esilio, ritorna in patria e al tempio di Sion.

Questi salmi possono però essere assunti da ogni lettore credente per presentarsi a Dio nella sua casa, oppure canti per accompagnare il pellegrinaggio della propria vita o, infine, per vivere il ritorno da ogni terra di esilio. Una scuola di preghiera.

I quindici salmi sono strutturati in tre serie di cinque salmi ciascuna. Al centro vi è un salmo dedicato a Gerusalemme, la meta del cammino; si apre con un salmo di fiducia e si conclude – tranne che nell’ultimo caso, con un salmo storico. Sono poesie, scrigni di tesori di preghiere che intendono muovere il cuore, non dare informazioni.

Ferrari fornisce indicazioni sulle strutture interne dei salmi, le cornici e il centro, i rimandi in avanti e all’indietro nella serie.

Il libro di Ferrari si legge veramente con gusto spirituale, accompagnati anche da preziose citazioni di opinioni di autorevoli studiosi e spiegazioni approfondite ma semplici di molti concetti biblici non sempre facili (benedizione, maledizione, timore di Dio, entrare e uscire, chesed, giudizio di Dio ecc.). A conclusione dell’analisi di ogni salmo si trova un’applicazione neotestamentaria che aiuta a pregare il salmo come cristiani. L’ultimo capitoletto ci mostra Gesù in “pellegrinaggio” in salita verso Gerusalemme, dove troverà la pienezza e la verità dei propri giorni nel dono generoso della propria vita a Dio e ai fratelli.

Ferrari poi propone al lettore delle domande di natura spirituale che lo aiutano a una revisione di vita, a un pellegrinaggio personale verso Dio e la verità di se stessi. L’analisi dei ciascun salmo si conclude con una preghiera che ne riassume in modo splendido il contenuto.

La grazia della partenza

I Salmi 120-124 sono visti da Ferrari come i “salmi della partenza”.

Pur essendo sempre una grazia, la partenza può spesso avvenire a partire da una situazione di oppressione e di angoscia.

Nel Sal 120 lingue ingannatrici perseguitano l’orante, che invoca YHWH perché liberi la sua vita da un ambiente esilico che brama solo la guerra e non la pace.

«Da dove l’aiuto?», si domanda l’orante del Sal 121. L’aiuto non potrà mai venire dall’esterno, ma solo dal Signore creatore del cielo e della terra. Il Signore è il custode della vita del pellegrino, giorno e notte. Custode e ombra che copre e protegge da ogni male, in tutti gli aspetti della vita. Le paure e le incertezze spesso sono interne all’orante stesso, più che procurate da nemici esterni. Il Signore però non lascerà vacillare il piede del pellegrino. È un salmo del quotidiano, che rafforza la certezza della custodia del Signore attuata in ogni istante e in ogni luogo.

«Andremo alla casa del Signore», canta con esultanza il pellegrino, che appena partito si immagina già di essere al traguardo. Può essere l’invito ricevuto da altri che lo hanno fatto decidere per il viaggio. Il cammino della vita spirituale avviene sempre con l’aiuto di altre persone. Non si cammina mai da soli. Il centro del Sal 122 è Gerusalemme, di cui si canta la bellezza e l’armonia come quella di una sposa. Una città compatta architettonicamente, ma armoniosa soprattutto per i rapporti con Dio e fra gli uomini e le donne nella società, ispirati alla giustizia. Una città costruita da Dio unita e compatta. In essa c’è la casa del Signore, il tempio e il trono del re davidico. È il centro di unità delle tribù del popolo di Israele. Per Gerusalemme il pellegrino chiederà la pace e il bene, lo shalom, l’insieme dei beni messianici.

Nella supplica del Sal 123 l’orante alza gli occhi verso i monti, «a te che siedi nei cieli». La supplica si innesta sulla dichiarazione di fiducia di essere ascoltato. Il pellegrino si rivolge direttamente al Dio pietoso per essere liberato dal disprezzo e dallo scherno di chi lo circonda. I suoi occhi si rivolgono a YHWH con un atteggiamento uguale a un servo che intende vivere sottomesso a lui ma con grande fiducia di ottenere la pienezza dei suoi doni, di potersi guardare con lo stesso sguardo di misericordia con cui lo guarda il Signore.

Il Sal 124 chiude la prima serie con uno sfondo storico. L’orante costata come il Signore sia sempre stato con il suo popolo, dalla sua parte. La rilettura della storia diventa poi preghiera. Il Signore è stato pellegrino col suo popolo e non è un antagonista dell’uomo come suggerisce il serpente antico. «Se il Signore non fosse stato con noi» (LXX e VG «in noi») – dice l’orante –, i nemici ci avrebbero inghiottiti vivi. Ferrari suggerisce di tradurre letteralmente il contesto: «nell’alzarsi contro di noi l’uomo». L’uomo che si contrappone a Dio vede quest’ultimo come un nemico e un antagonista. Il vero pericolo per l’uomo è l’uomo stesso, quando si contrappone alla sua creaturalità. Quando il Signore non è con noi – così pensiamo, falsamente – cosa succede? L’acqua ci sommerge improvvisa e inattesa, mortale come quella degli wadi nel deserto. Ma il Signore c’è sempre e la liberazione è uno sfuggire da un laccio che uccide. Sia benedetto il Signore con benedizione ascendente, perché l’aiuto liberatorio può venire solo da lui. Al centro del salmo c’è quindi l’immagine che noi abbiamo di Dio.

I frutti del cammino

I Salmi 125-129, la seconda serie di cinque salmi, sono considerati dal monaco Ferrari quali espressioni dei “frutti del cammino”.

Nel Sal 125 si canta la stabilità rocciosa di chi confida nel Signore, che circonda il suo popolo come i monti fanno con Gerusalemme. Il potere («scettro») dei malvagi non resterà sui giusti a tal punto da indurli a rispondere al male con il male. I malvagi possono essere i nemici di Israele, ma anche gli otto «spiriti della malvagità» elencati da Evagrio Pontico, detti altrimenti vizi capitali. Occorre evitare di fare il male, di percorrere sentieri tortuosi ed esercitare insieme l’arte della fiducia, che è la «medicina dell’anima».

Il Sal 126 – “Eravamo sognatori” – può esprimere uno sguardo sul passato ma essere, al contempo, anche un sogno riguardante il futuro. Nella Bibbia il sogno è rivelazione di Dio. Si sogna il cambiamento della sorte, il ritorno dall’esilio, il passaggio dal pianto della semina – perché si dilapida con prospettiva incerta un cibo già pronto e sicuro… – alla gioia del raccolto. Guardare la storia con gli occhi di Dio, con occhi di fede, alla luce della parola di Dio fa sì che anche gli esuli diventino fecondi, una semina dai frutti insperati a causa dell’intervento di Dio. Ferrari chiede al lettore: Come stiamo nella storia da credenti? Avvertiamo il Regno di Dio?

Il Sal 127 è al centro della raccolta dei quindici salmi, è collegato al Sal 128 e medita sul fatto che «Se il Signore non costruisce la casa» e non la custodisce come una sentinella, invano si affaticano i costruttori. Solo l’intervento di Dio nella famiglia e nella vita sociale può operare il cambiamento, la costruzione della casa, del tempio, della discendenza davidica. Dio donerà ai suoi amici «nel sonno», gratuitamente, oppure – letteralmente – «donerà sonno», cioè pace e serenità. L’azione dell’uomo non è disprezzata, ma senza l’azione gratuita e preveniente di Dio rimane vana, mentre la benedizione di Dio sulla vita dell’uomo viene espressa con l’immagine dei figli, segno di una vita benedetta, perché «con il Signore».

Il Sal 128 è gemello del Sal 127. Se la benedizione era rappresentata nel Sal 127 con l’immagine dei figli, ora la beatitudine e la benedizione sono unite nel «timore del Signore». Esso non è la paura di Dio e conosce uno sviluppo semantico all’interno della Bibbia. Dalla percezione della grandezza di Dio rispetto all’inadeguatezza dell’uomo si passa al significato di vita in relazione con Dio, fatta di obbedienza ai comandi e quindi una fedeltà all’alleanza, seguendo il Signore. Nei libri sapienziali esso diventa «l’inizio della sapienza». “Temere Dio” significa vivere alla sua presenza, impostare la propria nel rapporto con se stessi e con gli altri alla luce della sua Parola. Conseguenza del timore del Signore è la beatitudine. La beatitudine è pienezza di vita, è dinamica, consiste nel camminare sulle vie del Signore e ha come frutto una vita umana piena (godere della famiglia, dei frutti del proprio lavoro ecc.). La benedizione crea invece una comunicazione di vita tra Dio e l’uomo. In quanto benedizione discendente, la vita benedetta si manifesta nell’ambito familiare e sociale. Chi teme il Signore allarga la felicità e la benedizione a tutto il popolo. «Il timore del Signore si manifesta come salvezza che viene da Dio. Non è quindi unicamente l’uomo ad agire nel timore di Dio, bensì l’uomo che teme il Signore può scoprire nella sua vita l’azione benedicente di Dio che salva» (p. 124). «Il Signore Gesù ha saputo vivere la beatitudine e la benedizione facendo la volontà di Dio nei più comuni aspetti della vita umana» (p. 125).

Nel Sal 129, che chiude la seconda serie, si contempla in contesto storico il passato di Sion, scorgendovi la liberazione del Signore. Il salmo si proietta anche in avanti verso la terza serie, presentandosi come un «esame di coscienza» prima della confessione della colpa espressa nel Sal 130. Dalla giovinezza l’orante è stato perseguitato e oppresso da nemici «torturatori», ma il Signore lo ha salvato intervenendo con forza. L’orante è il singolo, ma anche il popolo di Israele. Con perseveranza l’esule ha resistito e il Signore è lodato come «giusto» perché salvatore. Egli è il custode dell’ordine del mondo. Il giudizio di Dio consiste nel rimediare ai sovvertimenti dell’ordine della giustizia e nel salvare i poveri e i bisognosi.

La preghiera per Sion che chiude il salmo chiede la sconfitta definitiva per coloro che la opprimono. Si presenta come una maledizione nei confronti dei malvagi oppressori. I salmi esprimono tutti i toni dell’animo umano – si pensi ai “salmi imprecatori” –, tuttavia si affida il giudizio a Dio e non ci si fa giustizia da soli. Non si invoca la maledizione del Signore sugli oppressori, ma solo che non ci sia prosperità nei raccolti e che nessun passante possa esprimere la benedizione del Signore su di loro. Si deve rivelare la loro inconsistenza, la provvisorietà del loro successo. I malvagi non vengono maledetti: la loro rovina sta nelle loro stesse scelte, non in una punizione di Dio. «Affidare a Dio il compito di ristabilire la giustizia significa avere la Parola come chiave interpretativa della storia e non ciò che gli uomini e le donne considerano come successo» (p. 138).

Il salmo posto al centro della cinquina, il Sal 127, afferma che una vita senza il Signore, tutta incentrata sulle proprie forze, è vana. Questo è ciò che il pellegrino impara nel secondo tratto del suo cammino. A partire di qui, nei cinque salmi il tema principale è la benedizione per coloro che temono Dio e confidano in lui (Sal 125; 126; 128) e la maledizione per i violenti e gli oppressori. Nel «viaggio verso Gerusalemme o nel suo ritorno dall’esilio, l’orante ha appreso che il Signore benedice la vita di coloro che lo temono e confidano in lui. Egli ha imparato, lungo il suo cammino, ad assumere occhi differenti, quelli di un “sognatore” (Sal 126)» (p. 140).

La benedizione della meta

I Sal 130-134 sono raggruppati da Ferrari sotto il titolo “La benedizione della meta”.

Nel Sal 130 l’orante riconosce la propria colpa, ma esprime a Dio anche la certezza che «con te è il perdono». La supplica individuale si apre alla fine alla condizione dell’intero popolo. Dagli abissi della colpa si invoca la liberazione realizzata nell’esodo dall’Egitto. L’esilio è un abisso del mare. Si invoca l’attenzione del Signore, si ammette implicitamente la colpa (vv. 3-4), si afferma però che Dio non è l’osservatore delle nostre colpe, altrimenti l’uomo non potrebbe resistere. La fiducia si basa sul fatto che Dio non spia le colpe dell’uomo, che risulterebbe sempre colpevole. Del Signore si dice invece: «Con te è il perdono». Immeritato. Gratuito. Lui è perdono. Dal sapersi perdonati nasce come risposta il timore del Signore, il rapporto con lui, la conversione del cuore.

Dopo la supplica e la sua motivazione, arriva una dichiarazione di speranza e di fiducia. L’orante spera come la sentinella lo spuntare del mattino. La speranza è «una certezza che qualcosa, che ora non si vede ancora, si manifesterà» (p. 151). Si spera con perseveranza sulla base della Parola di Dio, cioè sulla sua promessa. L’esperienza del salmista si allarga a tutto il popolo. Israele, attendi! La motivazione della speranza è il fatto che presso il Signore sono la fedeltà (chesed) e la redenzione (peduth). Sono due caratteristiche fondamentali del Dio di Israele. Nell’esodo dall’Egitto, egli si è mostrato fedele e redentore. Il salmista invita il popolo a fare la sua stessa esperienza, allarga la prospettiva dall’individuale al collettivo perché è la stessa liberazione dell’esodo attualizzata nel presente.

Ferrari invita a questo proposito a interrogarsi sull’esperienza personale del peccato e del perdono di Dio e a trovare in questo salmo il fondamento della nostra speranza, «come allargamento della speranza di Gesù che il Padre non ha abbandonato negli abissi della morte […], la sua speranza diventa la nostra e noi siamo chiamati a essere sentinelle che attendono l’alba del nuovo giorno, il giorno della risurrezione» (p. 154).

La dolcezza del Sal 131 – “Come bimbo svezzato” – risponde al Sal 130. Dal perdono nasce una relazione con Dio piena di fiducia e di abbandono. Il salmo non è sdolcinato, ma invita a non mettersi al posto di Dio, pensando di sondare le meraviglie di Dio che solo lui conosce. Non è un inno al deprezzamento di sé, ma un invito a riconoscere che ci sono realtà che non possiamo conoscere e capire. La superbia è esclusa. Occorre quindi prendersi cura della propria vita spirituale, della propria interiorità: il cuore/la coscienza unificato; gli occhi per ottenere una vista «altra» che vede quello che il Signore cerca; i piedi, cioè la propria attività compiuta secondo la volontà di Dio nel rapporto con gli altri.

Il salmo è un invito all’umiltà, a un camino di disciplina e di “ascesi”. Non si afferma di essere nelle braccia del Signore, ma di provare la calma tipica di un campo appianato dal contadino e della tranquillità che rimanda al silenzio, alla quiete che vive il giusto in attesa di Dio. Una situazione di pace profonda, di abbandono fiducioso, di sicurezza e di protezione. Chi entra nella quiete dovuta a un rapporto corretto con Dio, con gli altri e con il mondo, riscopre, in modo nuovo, Dio, le meraviglie da lui compiute e l’insondabile mistero che riguarda la vita umana. Le «“meraviglie più grandi di lui”, che l’uomo non può pretendere di possedere, possono essere sperimentate nell’abbraccio di Dio» (p. 167). La cura della propria interiorità ha ricadute anche sulla comunità. Si augura al popolo intero di fare la medesima esperienza vissuta dall’orante. Sottrarsi al lavoro interiore su se stessi impoverisce tutta la comunità. Anche Gesù non guarda Zaccheo dall’alto in basso, ma dal basso in alto, e pone un bambino come modello del discepolo che sta con fede nella storia.

Il Sal 132 ha il posto centrale nell’ultima cinquina di salmi. Il titolo scelto da Ferrari – “Una lampada per il mio consacrato” – rimanda a Gerusalemme, tema principale anche dei salmi situati al centro delle cinquine precedenti. Siamo al punto di arrivo della raccolta dei salmi delle salite o del ritorno, con vari rimandi al Sal 122. Si ricorda il fondamento teologico del pellegrinaggio a Sion: il fatto che il Signore vi si sia recato. Il pellegrino ricorda il suo arrivo a Gerusalemme e l’esperienza compiuta in quel momento. Temi del salmo sono l’arca/tempio e il re Davide quale modello del credente. Il pellegrino appoggia la sua preghiera sulla figura di Davide.

All’inizio del salmo (vv. 1-13) il pellegrino supplica il Signore di “ricordarsi” di Davide, di fare memoria attiva e attualizzante del suo proposito di erigere una dimora per il Potente di Giacobbe e delle fatiche compiute per preparare la sua realizzazione. Si rimanda a 2Sam 7 e a 2Cr 6,41. Di fatto, nel seguito del salmo, il protagonista diventa Salomone. Il pellegrino ricorda la sua opera di trasferimento dell’arca all’interno della città fin dentro il tempio. Per amore di Davide il salmista invoca di non respingere il volto del consacrato/Messia. Questi può essere sia Salomone che il pellegrino giunto a Sion e consacrato. Chi infatti recita i salmi, che sono la preghiera del re, diventa a sua volta messia, consacrato del Signore.

Alla preghiera del pellegrino (vv. 1-10), nei vv. 11-18 segue la risposta del Signore. Il Signore ha promesso – più che giurato – a Davide di essere lui stesso colui che costruirà a Davide una casa, un casato, una discendenza stabile se sarà stabile da parte sua l’osservanza dell’alleanza. Il Signore, e non Davide, ha scelto Sion come sua dimora (cf. v. 13). L’azione di Dio precede sempre quella dell’uomo.

Gli ultimi versetti sviluppano il v. 13. Dio abita in Sion e non solo nel tempio, che non lo può rinchiudere. Numerose saranno le azioni di Dio verso l’orante e l’intero popolo. Ci sarà la benedizione, sempre legata al dono della vita: benedizione dei raccolti, sazietà per i poveri, salvezza per i sacerdoti, gioia per i fedeli. Il Signore farà germogliare una potenza per Davide, la sua discendenza messianica. Quale «corno» potente di salvezza, essa sarà ricordata anche nel cantico di Zaccaria (cf. Lc 1,69).

Il Signore preparerà a Davide una lampada, cioè un successore (cf. 1Re 11,36) e gli darà il diadema, emblema della dignità. Ci si riferisce al re-messia, ma ci si può riferire anche al pellegrino stesso. Egli è arrivato a Gerusalemme alla presenza di Dio, fonte della sua forza, che lo rende vincitore contro il male che lo assedia e gli dona la possibilità di un futuro fecondo. Nel tempio si scopre anche lui quale «consacrato dal Signore». Ritrova il diadema della sua dignità, scopre la lampada della speranza che la sua casa sarà cioè sempre abitata e non vuota e desolata. «Egli scopre un Dio che si fa “servo”» (p. 189).

Il Sal 132 è una vera e propria scuola di preghiera: ricordo dei fatti salvifici di Dio nella storia, apertura del cuore con desiderio di cercare una dimora per il Signore, scoperta che è il Signore a fare per noi una casa, apprendimento dell’ordine del nostro rapporto con Dio. Il NT può attualizzare il salmo con la parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32) e con il Prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1,1-18). «Per il Nuovo Testamento in Gesù, nella sua carne, ogni uomo e ogni donna può trovare il luogo della dimora di Dio in mezzo all’umanità» (p. 191).

I Sal 133-134 sono collegati dai temi della benedizione e di Sion (che si collega con Sal 132). Si rimanda inoltre al salmo iniziale della collana, il Sal 120. Nel Sal 133 la benedizione è discendente, nel Sal 134 ascendente e discendente in successione. In questi salmi si possono contemplare i frutti della benedizione promessa da Dio nel Sal 132.

Il Sal 133 si apre con un «Ecco!» che si collega a ciò che precede. Il frutto della benedizione contemplato è quello della fraternità: «Come è bello che i fratelli vivano insieme». Bello e dolce. La fraternità è bella/buona e «dolce», cioè attraente per chi la guarda dall’esterno. Vasto è il campo semantico del «tob/buono/bello» e della dolcezza. Si constata e si raccomanda («Ecco!») la fraternità familiare, ma anche quella del popolo intero.

Il tema della fraternità pervade i racconti del libro della Genesi, che la vede negata, umiliata, ricercata, celebrata come dono di Dio. La fraternità può essere solo puro dono di Dio, pur chiedendo il contributo dell’uomo.

Due i simboli usati dal salmo per esprimere la bellezza e la dolcezza della fraternità. Dapprima si parla dell’olio prezioso composto dall’uomo, su ordine di Dio, con integrazione di varie sostanze quali mirra, cinnamono, canna aromatica e cassia (cf. Es 30-22-33). Versato sul capo di Aronne, esso scende sull’orlo della veste, cioè sul pettorale del giudizio posto sul cuore, dove sono incastonate le pietre preziose rappresentanti le dodici tribù di Israele (cf. Es 28,17.21.29: cornalina, topazio, smeraldo; turchese, zaffìro, berillo; giacinto, àgata, ametista; crisòlito, ònice, diaspro). Sono pietre diverse, tutte preziose, ma unite e disposte armonicamente su quattro file. L’olio che scende esprime il legame tra il sommo sacerdote, quindi il culto nel tempio alla presenza del Signore, e tutto il popolo. Fraternità quindi come unità di popolo. La benedizione scende a partire da un atto liturgico, a partire da Dio.

Ricco di significato è anche il simbolo della rugiada. Sminuzzamento del dono prezioso dell’acqua per un paese quasi desertico, è vista scendere dall’alto del monte Ermon (m 2.270) al Nord per giungere (attraverso Giordano, “Il Discendente”) fino a Giuda, riunendo in unità tutto Israele.

L’olio e la rugiada scendono. Sono dono di Dio e non conquista dell’uomo con le sue forze. La fraternità di una famiglia o un popolo numeroso è sempre un “miracolo” a vedersi.

L’ultima parte del salmo canta la benedizione discendente che il Signore manda da Sion. La benedizione discendente raccoglie l’insieme dei beni donati da Dio, esprime la premurosa e continua assistenza di Dio nell’ordinarietà della vita; quella ascendente si esprime nella lode e nel ringraziamento a Dio come soggetto che invia i doni della vita. La benedizione discendente precede sempre quella ascendente.

Alla fine del suo viaggio, nel tempio «alla presenza di Dio, il salmista scopre la benedizione che ha segnato la sua esistenza, la sua vicinanza che non lo ha mai abbandonato. Nella preghiera il pellegrino sperimenta un modo diverso di leggere la sua storia personale e quella del suo popolo» (p. 213). Quando Dio benedice, dona la vita in abbondanza. Il salmo evidenzia come la fraternità sia una benedizione di Dio, portatrice di vita e di fecondità. Benedizione discendente che contiene beni concreti di cui l’uomo ha bisogno. I simboli dell’olio e della rugiada confermano il fatto che la fraternità è un dono del Signore, una sua benedizione.

Al termine del pellegrinaggio il salmista avrà offerto un sacrificio di comunione e avrà probabilmente consumato parte della vittima assieme ai provvidenziali compagni di viaggio. Nel tempio il Signore crea unità e fraternità, dona benedizione, vita per sempre (cf. v. 3d). Gesù ha pregato per la fraternità (cf. Gv 17,21) che diventa annuncio per il mondo; i discepoli sono tutti fratelli (cf. Mt 23,8-9), i fratelli del Risorto (cf. Gv 20,17). L’eucaristia forma di tanti un corpo solo (cf. 1Cor 10,17). «La fraternità è quindi dono di Dio, che si manifesta nella condivisione dell’unico pane spezzato. Nella celebrazione dell’Eucaristia noi sempre invochiamo il dono dello Spirito perché edifichi in unità coloro che si nutrono del medesimo pane e condividono lo stesso calice» (p. 218).

I salmi delle salite sono un’unità compatta e possono essere quindi considerati come cammino di preghiera verso la benedizione. Se il Sal 120 parla della discordia, il Sal 133 parla della fraternità. Dalla lingua bugiarda e maledicente del Sal 120 si passa alla lingua benedicente del Sal 134. Si vede come la fraternità e la benedizione/lode sono il frutto di un lungo cammino.

Il Sal 134 costituisce l’epilogo della collana e contiene in sé una benedizione ascendente. L’uomo che si scopre benedetto da Dio, lo benedice. Ringraziamento e benedizione salgono al Signore per tutti i suoi benefici, ad esempio la fraternità, la prosperità e la fecondità celebrate nel Sal 133. Si «riassumono i due scopi principali del pellegrinaggio: ringraziare il Signore e ricevere da lui la benedizione (cf. Sal 122,4; 133,3)» (p. 221).

Il salmo 134 è probabilmente un canto che si eleva nella notte, l’ultima trascorsa dal pellegrino a Gerusalemme prima del ritorno a casa. Si può leggere come un dialogo tra il/i pellegrino/i e i servi del Signore che abitano nel tempio anche durante la notte. Leviti e sacerdoti sono invitati a elevare le mani in preghiera al Signore tutta la notte, non in sostituzione ma in rappresentanza della lode perenne che dai fedeli, pur non presenti nel tempio, sale incessantemente a Dio. Israele è «un popolo di sacerdoti». È il prezioso servizio svolto nel popolo di Dio anche oggi dai contemplativi, con tutta la loro corporeità («alzate le mani verso il santuario!»). Il coro sacerdotale risponde in modo inaspettato all’invito a lodare il Signore. «I sacerdoti, invitati dai fedeli alla benedizione “verso Dio”, rispondono con la benedizione “di Dio” sui fedeli» (p. 228). Il salmo può essere collegato alla benedizione di Aronne contenuta in Nm 6,24-26.

I salmi delle salite si chiudono così significativamente con la benedizione sacerdotale. I gradini che portavano dal cortile degli uomini al santuario erano quindici. Commenta il monaco Ferrari: «I salmi delle salite nel loro insieme sono quindi come una benedizione che raggiunge la vita del pellegrino e che si esplicita nel quindicesimo gradino con un riferimento diretto alla benedizione sacerdotale. Tutto il cammino del pellegrino è stato un itinerario alla riscoperta della benedizione di Dio nella sua vita, nascosta tra le pieghe della sua vita personale e in quella comunitaria del popolo di Israele. Solo dopo aver percorso tutti i quindici gradini, il salmista può ora raccogliere nella sua vita la benedizione di Dio. In fondo, si tratta dell’esito di ogni cammino spirituale: saper riconoscere e accogliere quella parola di bene che Dio custodisce per la nostra vita» (p. 229).

Il pellegrino tornerà a casa. Dio non risolverà i suoi problemi e non ha trasformato la storia. È il pellegrino a essere stato trasformato. Ha imparato a guardare e a vivere in modo nuovo i suoi rapporti con Dio, con se stesso e con gli altri. Ora guarda tutta la sua esistenza con sguardo nuovo. Il cristiano prega questi salmi in Cristo che è salito a Gerusalemme e che ora nella sua umanità glorificata è la via di benedizione da percorrere per giungere a contemplare il volto di Dio che nessuno ha mai visto (cf. Ef 1,3; Gv 1,18). Il discepolo vive da servo vigilante anche nella notte, per attendere il suo Signore. Ma ora ha sperimentato che la promessa di Dio è ben più grande delle aspettative umane.

Ecco la soluzione proposta da Dio per risolvere la situazione da cui era partito il pellegrino: «la fraternità e la preghiera, la comunione con gli altri e con Dio» (p. 232).

La bibliografia (pp. 245-249) permette al lettore di recuperare le opere citate nel testo e di approfondire un cammino personale di studio, di preghiera e di rinnovamento spirituale.

Ai lettori del suo libro il monaco Ferrari augura di poter sperimentare la benedizione sacerdotale di Aronne (cf. Nm 6,24-26). A lui vada il ringraziamento per un’opera davvero preziosa, un vero e proprio corso di esercizi spirituali, un pellegrinaggio interiore. Volume scritto con semplicità, unzione spirituale, profonda conoscenza della Bibbia e animo generoso di un monaco che mette a disposizione dei fratelli le ricchezze del proprio itinerario di vita.

  • MATTEO FERRARI, Canti per ritornare: I Salmi delle salite come cammino spirituale (Orizzonti biblici Nuova serie), Cittadella Editrice, Assisi 2021, pp. 252, € 16,90, ISBN 9788830817883.
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