Abusi: cosa resta dopo il crollo dei miti

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Intere generazioni di credenti si sono alimentate anche grazie ad esperienze legate a uomini, donne o comunità carismatiche. Che cosa succede quando tali riferimenti vengono meno sulla base di accuse di abusi sessuali e non? Che cosa resta nell’esperienza della fede personale di singoli e di comunità dopo la devastazione dello scandalo?

Il bene sperimentato non viene meno e la coscienza cristiana non è azzerata dalla costatazione dell’incoerenza dei propri maestri. Per questo ho provato a identificare i valori e i temi spirituali che possono continuare ad alimentare la testimonianza credente.

Pensando al contesto italiano, quindi ignorando figure condannate o discusse come Marcial Maciel (Legionari), Luis Figari (Sodalizio), Josef Kentenich (Schoenstatt)…, mi limito ai casi relativi alla comunità di Taizé, all’Arche (Jean Vanier), a Bose (Enzo Bianchi), al Centro Aletti (Marko Rupnik).

Sono casi molto diversi. Gli abusi hanno toccato solo tangenzialmente alcuni fratelli di Taizé; nell’Arche l’elemento settario è molto ridotto; la Comunità di Bose si avvia a un nuovo cammino senza la presenza del fondatore a cui si addebitano formalmente abusi di potere e spirituali, non altri; Rupnik è ancora al centro di un’indagine su abusi in parte prescritti e su denunce ritenute credibili da un apposito gruppo di indagine di gesuiti (cf. qui).

Inoltre, i miei appunti sono parziali e potranno trovare verifica solo quando i vari casi saranno compiutamente decantati Tralascio di riprendere le informazioni sui singoli personaggi o sui singoli eventi. Rimando al sito della comunità di Taizé per gli ultimi aggiornamenti, e invito i lettori a digitare Vanier, Bose e Rupnik sul sito di SettimanaNews per gli altri tre riferimenti.

Comunità ecumenica di Taizé

Quali sono i “guadagni” delle generazioni Taizé che, dagli anni ’70 ad oggi, hanno frequentato la comunità ecumenica fondata da Roger Schutz (1915-2005)?

L’avvio del cammino ecumenico. Non più solo nella forma dei dialoghi formali tra le Chiese (dall’inizio del ’900 e soprattutto dal 1948), ma della vita assieme, quotidiana e, per di più, in una forma come quella cenobitica, guardata con diffidenza dalla tradizione protestante a cui Schutz apparteneva.

Iniziata in solitudine nel 1940, la comunità è partita con 4 fratelli nel 1944, accogliendo prigionieri tedeschi, sbandati ed ebrei sfuggiti all’olocausto.

La “chiesa della riconciliazione” nasce sull’idea della riconciliazione dei popoli europei e del cammino ecumenico delle Chiese. Non si elabora una teologia ecumenica, ma si vive una comunità monastica accettando il rischio dei voti, in particolare del celibato (contro l’indirizzo esplicito di Lutero).

L’essere “senza teologia accademica” ha salvato la comunità da facili accuse di eterodossia. Ma è davvero senza teologia? C’è una fondamentale intuizione: Dio non può che amare, Dio è misericordia, Dio non fa distinzione di persone, Dio perdona sempre. Facile trovare vicinanze evidenti con il sola gratia protestante, ma anche con la centralità della misericordia sulla giustizia invocata da papa Francesco.

Canto e preghiera

Un secondo fondamentale guadagno è la preghiera. Intere generazioni hanno imparato a pregare a Taizé: una preghiera meditativa, a canone, con riferimenti essenziali al Vangelo e ai testi fondatori. Si prega assieme a migliaia di altri, ma in silenzio e con formulazioni brevi, adatte alle diverse lingue dei partecipanti. Il carattere meditativo, biblico e cantato si è molto diffuso in tutte le Chiese cristiane.

A Taizé la struttura della preghiera è quella del monachesimo cattolico coi tre momenti del mattino, mezzogiorno e sera. Lo sforzo è stato quella di renderla percorribile al mondo giovanile, fuori delle rigide tradizioni devote delle reciproche confessioni. Qualcosa che rispondeva a una ricerca personale con una appartenenza cristiana vera, ma, al contempo, più leggera e meno confessionalmente determinata.

Il Lezionario comprendeva all’inizio l’intera Bibbia, letta nel corso dell’anno. Poi è stato ridotto a testi più brevi, recitati nelle diverse lingue, e meditati nel canto. I salmi erano quelli della tradizione protestante-ugonotta francese, ma la struttura della preghiera era quella cattolica.

Legato alla preghiera e alla Scrittura, letta in traduzione nelle lingue correnti, c’è da subito l’importanza riconosciuta al canto. L’organo e il canto vengono dalla tradizione protestante. Ad esso si sono applicati alcuni dei musicisti conciliari più noti come Gelineau e Berthier.

Sulla tradizione bachiana si è innestata la forma a canone nella ripetizione di poche parole: magnificat, laudate omnes gentes, ubi caritas, kyrie eleison, gospodi pomilui. Poi sono arrivati altri strumenti come le chitarre, i flauti e le piccole orchestre.

Terzo fondamentale guadagno è stato il concilio e l’approccio positivo alla storia. Negli anni ’70 è esplosa la presenza dei giovani a Taizé, da tutta Europa occidentale e, dopo la caduta del muro (1989), da tutta Europa (e fuori). Una singolare ecumene generazionale che si ritrovava e si ritrova all’ombra delle aperture ecclesiali del Concilio (libertà di coscienza, ecumenismo, aggiornamento teologico, autocritica, valori civili e innovazione sociale del 1968). Una ricerca corale di Dio oltre le confessioni e dentro la secolarizzazione.

Importante si è rivelata l’apertura mondiale. I raduni di Taizé vennero chiamati il “concilio dei giovani” e la loro struttura ha motivato la “giornata mondiale della gioventù” cattolica (che ora si sta sperimentando anche a livello ortodosso). Ci sono oggi comunità “figlie” in Brasile, Bangladesh, Corea del Sud, Senegal, Kenya.

L’Arche o la centralità degli handicappati mentali

Che cosa resterà dopo gli scandali del fondatore, Jean Vanier? Anzitutto le istituzioni. È bene distinguere quanto può avvelenare i pozzi originari dei carismi e quanto tocca solo in parte il patrimonio spirituale delle famiglie spirituali.

Indicativa la conclusione della sintesi su Plagio e abuso: inchiesta su Thomas Philippe, Jean Vanier e l’Arche. «Se il nodo settario originale formava un micro-sistema nel cuore dell’Arche, alla luce dei fatti di abuso considerati dalla commissione, non sembra essersi esteso. Lo sviluppo rapido delle comunità e l’entrata di numerose persone con profili e motivazioni diversi, a cui si aggiungono elementi altri (come il controllo dei poteri pubblici e la presenza di professionisti esterni) spiegano la diffusione limitata del nodo settario e la sua consunzione dentro l’Arche».

Il punto di svolta nella vita di Jean avvenne nel 1963, con la sua prima visita a un’istituzione per persone con disabilità intellettive. Il loro profondo «grido di relazione» ha toccato il suo cuore. La sua risposta fu semplice: compra una casa e invita alcune persone con disabilità intellettiva a venire a vivere con lui.

Questo fu l’inizio de L’Arche. Fede e Luce seguirono alcuni anni dopo, fondati con Marie-Hélène Mathieu. Trasportate da un’ondata di entusiasmo, entrambe le comunità si diffusero in tutto il mondo. Oggi L’Arche ha 154 comunità in 38 paesi; Fede e Luce ne ha 1.500 in 83 paesi; comunità in cui le persone con e senza disabilità intellettiva possono trovare un luogo di appartenenza, mangiare allo stesso tavolo di fratellanza, condividere la vita insieme.

In secondo luogo, resterà l’intuizione: gli handicappati mentali sono maestri di tenerezza. L’Arche ha cambiato il modo di comprendere le persone con disabilità intellettuali e cosa significhi essere veramente umani. Nelle comunità le persone con disabilità intellettive sono fonte di vita per tutti, agenti di cambiamento nella società.

Il sogno dell’Arche è una rivoluzione della tenerezza, rendere la società più compassionevole, più inclusiva. Il cuore presiede alla cura degli altri, abbattendo le barriere della divisione che separa le persone, desiderando un mondo in cui ognuno è considerato unico e prezioso.

L’Arche è un dono da offrire al mondo, un segno che è possibile vivere in comunità dove l’handicap mentale non è una minaccia.

Comunità monastica di Bose

Vi sono alcuni guadagni non rinunciabili nella vicenda di Bose che si possono sintetizzare con: Vangelo, monachesimo, liturgia, ecumenismo, rapporto con il mondo. «Fratello, sorella, uno solo deve essere il fine per cui scegli di vivere in questa comunità: vivere radicalmente l’Evangelo. L’Evangelo sarà la regola assoluta e suprema. Tu sei entrato in comunità per seguire Gesù. La tua vita dunque si ispirerà e si conformerà alla vita di Gesù descritta e predicata nell’Evangelo».

Le affermazioni della Regola (1971, n. 3) giustificano l’attenzione alla Scrittura, la pratica della lectio divina, la larga influenza anche sui cammini di rinnovamento nel laicato più vicino. Nessun rinnovamento canonico o normativa può oscurare questa fondamentale intuizione.

Il monachesimo di Bose fa forza non tanto sui voti (che vengono tuttavia praticati) quanto sul binomio “vita comune – celibato per il Regno di Dio”. Il rimando più insistito non è alla tradizione occidentale, quella benedettina, quando alle radici orientali, in particolare Basilio e Pacomio.

«La vita di comunione è essenziale per i cristiani. Senza comunione, non c’è Chiesa. Ma questa esigenza per te diventa radicale. Tu fai vita comune con dei fratelli e delle sorelle, vivi con loro nella stessa casa, sei solidale con loro nello stesso ministero, con loro tu formi una cellula del corpo di Cristo» (n. 12).

Nella vita comunitaria un ruolo particolare lo ha il lavoro che può essere sia materiale (orto, agricoltura, materiali) sia intellettuale (edizioni, conferenze, insegnamento).

Il richiamo alle sorelle mi permette di citare l’intervista del nuovo priore, Sabino Chialà, a SettimanaNews: «Di per sé già l’attuale statuto non fa alcuna discriminazione fra uomini e donne. Ad esempio, una sorella può essere eletta priora, tanto quanto un fratello. Tuttavia, ci stiamo interrogando sul nostro vissuto reale di mezzo secolo di convivenza, e sul ruolo effettivo che le sorelle hanno avuto nella nostra vicenda».

Liturgia ecumenica

La revisione in atto sulla liturgia comunitaria parte da una lunga pratica fissata nella Preghiera dei giorni che prevede tre momenti comuni essenziali (mattino, mezzogiorno e sera) con la lettura quasi completa dell’Antico e del Nuovo Testamento e un ampio uso dei testi dei Padri della Chiesa. Un “sistema” liturgico che vive nella tradizione occidentale, ma con una sensibilità per i padri orientali come per scritti anche più recenti (non tutti cristiani) particolarmente ispiranti.

«La preghiera sarà anzitutto comunitaria: essa avviene negli uffici del mattino, di mezzogiorno e della sera. In essa tu ascolterai la Parola, loderai il tuo Signore e pregherai per gli uomini con i fratelli… L’ufficio è dunque un sacrificio di lode, di adorazione, di filiale obbedienza a Dio solo. In esso tu prolunghi e partecipi alla preghiera di Gesù al Padre» (Regola n. 35).

Decisivo nell’identità di Bose è l’ecumenismo. «La comunità non è confessionale, ma è fatta di membri che appartengono alle diverse confessioni cristiane. Ogni membro deve trovare nella comunità lo spazio per la sua confessione di fede e l’accettazione della sua spiritualità» (Regola n. 44).

Ancora Chialà su La Lettura (Corriere della sera, 26 giugno 2022): «La nostra comunità rimane formata da cristiani di diverse Chiese. È una scelta irrinunciabile. Non una scelta strategica, ma un’esigenza di vita. Il mio ecumenismo comincia la mattina quando mi alzo e davanti a me c’è la cella di un pastore protestante. È la prima persona che vedo la mattina».

I convegni internazionali sulle spiritualità d’Oriente e di Occidente sono già ripresi.

Dopo aver parlato del lavoro, la Regola dice: «Per questo non fuggirai dal mondo e dagli uomini, ma vivrai come loro, più o meno socializzato come le condizioni di richiederanno» (n. 24).

Nei confronti del mondo di tutti vi è una simpatia che la distanza dello stile di vita non rimuove, anzi enfatizza. A Bose hanno trovato casa molti intellettuali, artisti e ricercatori. Da questo punto di vista, non c’è nulla di più lontano dalla “fuga mundi”, dal disprezzo delle fatiche e delle ricerche degli uomini.

Molta parte della simpatia che Bose ha ricevuto (e, spero, riceverà) nasce dalla cordialità con cui ha condiviso le ricerche anche più innovative dello spirito contemporaneo.

Centro Aletti

Cosa resterà del Centro Aletti e dell’opera di Rupnik? Difficile dirlo, ma alcuni valori vanno sottolineati.

Anzitutto il rapporto con l’Est e la cultura orientale. «La nostra scelta di vita consacrata – si dice in un testo interno – era legata alla visione che p. Rupnik aveva della testimonianza dei cristiani nel mondo attuale, era legata alla sua sapienza nella missione che cominciavamo a vedere fiorire nell’amicizia con i cristiani delle Chiese dell’Est Europa».

La presenza del card. Tomàš Špidlík con la sua competenza sulla teologia orientale e l’insegnamento di alcuni gesuiti al Pontificio Istituto Orientale hanno imposto una rinnovata attenzione all’altro “polmone” della Chiesa.

L’iniziale attenzione a centinaia di intellettuali e teologi orientali ha alimentato e stabilizzato una riflessione teologica che ha diffusi stilemi oggi comuni come la “divinoumanità”, la bellezza spirituale, la Sofia (sofianità), l’intelligenza spirituale del sentimento, la “tuttaunità”, la “divizzazione” ecc. L’amicizia con E. Clément, il più grande teologo ortodosso della seconda metà del ’900, ne è stato il sigillo.

Damnatio memoriae?

In secondo luogo, il tema dell’arte, trascinata dalla mosaistica di p. Rupnik. Essa si è ritagliata uno spazio nel rinnovamento complessivo dell’arte liturgica e ha rappresentato una delle risposte dell’arte visiva capace di ridare alle immagini “devote” l’intenzionalità vitale delle icone.

Le opere dell’artista sloveno sono distribuite in 150 edifici in una trentina di paesi e in luoghi di grande impatto come il Vaticano, i santuari più celebri (Lourdes. Fatima, Aparecida), luoghi rilevanti del cattolicesimo attuale (Cracovia, Washington).

Lo stilema orientale, la rinuncia consapevole alla prospettiva, la convivenza fra citazioni dell’iconografia e i “segni” della modernità, il prevalente ricorso al mosaico con la necessità di pietre originali e l’aggiunta della foglia d’oro, sono tutte finalizzate ad esprimere una teologia consapevole del moderno e radicalmente critica dello stesso.

Dopo lo scandalo, si è sviluppato il dibattito sulla conservazione o meno delle opere e sul “veleno” che in esse si trasmette dai comportamenti dell’artista.

In relazione al pittore francese Luis Ribes (e ad altri, come i musicisti André Gouzez e Winfried Pilz), si insiste per la rimozione delle opere e il silenzio sui canti. Ma, nel caso francese, le vittime si possono facilmente riconoscere nelle figure, nel caso di Rupnik, credo meno immediatamente.

La sofferenza condivisibile delle vittime può giustificare una damnatio memoriae generalizzata? Personalmente ritengo (come ipotesi) che l’opera artistica abbia, in qualche maniera, vita a sé stessa e che la dimensione morale del facitore non ne determini il valore.

Teologia e fede

In terzo luogo resta la teologia. Grazie all’editrice Lipa, sono arrivati sul mercato centinaia di volumi di non piccolo peso culturale. Basta ricordare alcuni nomi: Špidlík, Clément, Taft, Soloviev, Bulgakov, Brock, Evdokimov, Truhlar, Zizioulas. Fino alle opere, più recentemente edite, di Schmeman. I testi di Rupnik e delle consacrate dal centro Aletti meritano considerazione.

Anche in questo caso si discute dell’influenza negli scritti di eventuali deviazioni degli autori. Come ha scritto Giovanni Salmeri su SettimananNws: «Potrebbe anche essere che, oltre le inevitabili schegge evangeliche, anche il complesso del discorso teologico fosse corretto e buono. Riconoscere questo significa inevitabilmente sottoporre a critica il frequente discorso contemporaneo che fa della teologia una variabile della fede personale. A me pare che un aspetto tipico (e a suo modo irrinunciabile) nella tradizione latina è proprio aver sganciato le due cose, aver inteso cioè l’esercizio teologico come un compito intellettuale importante sì, legato oggettivamente ai contenuti della fede cristiana sì, prezioso per la comunità cristiana sì, ma anche non necessariamente connesso alla vita di fede personale. Ciò significa che il discorso teologico va valutato per i suoi meriti interni, concettuali, e che né un discorso sbagliato debba di per sé portare a una squalifica morale di chi lo propone, né un discorso giusto o anche brillante debba di per sé portare alla canonizzazione in vita di chi lo ha elaborato. Sfortunatamente (o fortunatamente) si tratta di livelli diversi. È possibile quindi che la teologia di p. Rupnik sia eccellente, indipendentemente da come egli abbia vissuto».

È vero che Rupnik criticava la teologia accademica occidentale e quindi partecipava della convinzione che fede e teologia fossero strettamente legate, è però anche vero che nei suoi testi, a mia conoscenza, non c’è nulla che giustifichi o alluda a giustificazioni di comportamenti morali violenti. Diversamente da quanto accade nella teologia dei fratelli Philippe (Thomas e Marie-Dominique) in cui una pretesa esperienza originaria (la “notte delle nozze”) favoriva un’interpretazione del Vangelo di Giovanni, ad esempio, come introduzione a un amore “di amicizia” profondamente scorretto.

Vita comune

Un quarto guadagno è la vita comune nel Centro Aletti. Come si legge nel già citato documento interno: «Il Centro Aletti è formato da un’équipe di tre comunità: i gesuiti (Comunità della Santissima Trinità); le sorelle (Comunità della divino-umanità); i preti (Fraternità dei santi Cirillo e Metodio). Queste persone insieme animano la missione: accoglienza, edizioni, opere d’arte, insegnamento, esercizi spirituali, conferenze».

«La visione di p. Rupnik era di una comunità di un piccolo gruppo, fondato sull’amicizia, fatta di persone che hanno una vita spirituale ordinata. Se si è pochi, si può essere sempre aperti alle novità che ogni situazione richiede. Proprio il p. Kolvenbach ci aveva consigliato di non scrivere regole, ma di ascoltare lo Spirito e di rispondere volta per volta con libertà».

«Ciò che si vuole infangare o distruggere o abbattere è l’opera del Centro Aletti dove si testimonia che uomini e donne, sposati e celibi, cattolici e ortodossi di varie provenienze possono vivere insieme secondo il Vangelo di Gesù. Questo stile di vita presuppone una vita spirituale, una teologia con radici profonde e un amore autentico per la Chiesa».

Sono sufficienti gli abusi registrati per buttare a mare tutto questo? Forse il limite è piuttosto quello della mancanza di dialettica interna che, nel momento critico, si possa configurare come autorità alternativa e coerente per continuare il percorso. Ma è troppo presto per dirlo.

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31 Commenti

  1. Paola Mariani 23 aprile 2023
  2. p. Alberto 16 marzo 2023
  3. Fabio Frigo 3 marzo 2023
  4. Enzo 28 febbraio 2023
  5. Franca Viganò 27 febbraio 2023
  6. Massimo Angelini 27 febbraio 2023
  7. Beppe Pavan 26 febbraio 2023
    • Tobia Cioce 26 febbraio 2023
  8. Roberto Savino 26 febbraio 2023
  9. Chiara 26 febbraio 2023
  10. Mauro Lucchesi 25 febbraio 2023
    • Gian Piero 25 febbraio 2023
  11. lorena spaziani 24 febbraio 2023
  12. silvio monica 23 febbraio 2023
  13. Maria Luisa Fappiano 23 febbraio 2023
    • Marianna 17 marzo 2023
  14. Marco Ansalone 23 febbraio 2023
  15. Filippo Di Giacomo 23 febbraio 2023
    • Renata Patti 25 febbraio 2023
  16. Silvia Camaiori 23 febbraio 2023
  17. Bernhard Rasche 23 febbraio 2023
    • Renata Patti 25 febbraio 2023
    • Massimo Angelini 27 febbraio 2023
      • Bernhard Rasche 28 febbraio 2023
  18. Paolo P. 22 febbraio 2023
  19. Gian Piero 22 febbraio 2023
    • Giampaolo Sevieri 23 febbraio 2023
  20. Roberto Beretta 22 febbraio 2023
  21. Giuseppe 22 febbraio 2023

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