Chiesa e abusi: è crisi sistemica

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Le nuove notizie sugli abusi dagli Stati Uniti – un Grand Jury ha accertato centinaia di casi in 54 contee su 67 della Pennsylvania, 300 sacerdoti responsabili di abusi, oltre 1.000 minori vittime – hanno già avuto effetti devastanti. Il card. Wuerl, arcivescovo di Washington, ha annunciato che non va a Dublino per l’incontro mondiale delle famiglie. Il card. Farrell è attaccato per queste vicende e per il caso del card. McCarrick.

Non si poteva non sapere, visto che in tanti sapevano e tacevano.

Non vale dire che i casi raccolti dal Grand Jury si fermano all’anno Duemila. Per i “difensori” sarebbe la prova che le norme messe in atto da quel momento in poi funzionano.

Una questione complessa

La questione non è così semplice. Per semplificare, possiamo ragionare seguendo due aspetti strettamente collegati.

La Chiesa cattolica vive una crisi strutturale, una crisi sistemica, di cui gli abusi rappresentano soltanto la punta dell’iceberg. È un modello organizzativo, teologico e pastorale a non funzionare più.

La Chiesa clericalizzata è un modello organizzativo oramai deficitario; la scarsa o nessuna partecipazione dei laici – comunque subordinati al sacerdote – non ha alcuna ragione di essere.

La Chiesa cattolica vive una crisi strutturale

Le modalità di reclutamento e formazione del clero vanno riviste. Sì, certo, abbiamo una nuova Ratio per la formazione. Prima di produrre effetti serviranno anni e comunque, finché non verrà “sdoganata” la psicologia e non verranno “sdoganate” le scienze umane nelle procedure di valutazione, non si avranno risultati.

Ma soprattutto è il modello organizzativo in crisi. (Crisi sistemica, come mi affanno a ribadire – se i lettori permettono e se il direttore di Settimanews permette. E mi affanno a ribadirlo senza trovare udienza, tanto che una riflessione in merito il lettore interessato la trova su Amazon, pubblicata in proprio, perché gli editori cattolici uno dopo l’altro hanno declinata).

E qui, dalla piccola vicenda personale vengo all’altro aspetto della crisi sistemica: non abbiamo (finora) un sistema di controllo. Dunque i cambiamenti annunciati o auspicati – dimissioni di vescovi responsabili di coperture, modifiche nella Ratio, corsi di formazione, centri di prevenzione e formazione e via dicendo – non servono puramente e semplicemente perché tutto si svolge all’interno del medesimo mondo che ha prodotto il problema.

Cambiamenti radicali

Se la curia romana, i vescovi USA, i vescovi cileni e via dicendo ne sapessero almeno un poco di psicologia cognitiva (e negli USA ci sono specialisti di fama mondiale) saprebbero che, per cambiare davvero un assetto consolidato bisogna assumere un punto di vista esterno. Finché si resta sempre nell’ambito del clero o di una visione clericale, come si fa a cambiare? Cambiare vuol dire, in questo caso, mandare a casa un’intera leadership che ha fallito (leggi: vescovi, superiori religiosi, direttori di seminario), introdurre procedure esterne di controllo, valutazioni serie da parte di esperti, reale incidenza di un nuovo modello formativo. E cambiamento dell’assetto teologico-pastorale di tipo clericale.

Troppo (veramente troppo!) da fare nel corso di un pontificato. E infatti la gravità e vastità del problema imporrebbe soluzioni di medio-lungo periodo, valide da un pontificato all’altro con procedure stringenti. Ma chi potrà mai farlo?

Tuttavia, senza una riflessione e senza procedure effettive, la crisi sistemica è destinata ad intensificarsi.


Sull’argomento, vedi gli interventi più recenti su SettimanaNews:

Lettera al Popolo di Dio
Una crisi lontana dalla fine
Clericalismo e abusi sessuali nella Chiesa
USA: nuovo duro colpo per la Chiesa cattolica
Abusi: Grand Jury Pennsylvania

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2 Commenti

  1. Erminio Burbello 29 agosto 2018
  2. Giorgia Gariboldi 21 agosto 2018

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