Croazia – Bosnia: Rinnovamento nello Spirito

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Come interpretare il «battesimo nello Spirito», la profezia, il dono delle lingue (glossolalia), il carisma di guarigione, il «riposo nello Spirito»? Le espressioni più caratteristiche del movimento carismatico sono al centro di un lungo documento del Consiglio della dottrina della fede dell’episcopato croato.

Presieduto da mons. Vlado Košić, vescovo di Sisak, coadiuvato da cinque teologi (di cui una donna) l’ha approvato il 26 giugno con il titolo Movimento carismatico e Rinnovamento nello Spirito nella Chiesa cattolica. Analisi fenomenologiche e linee guida pastorali.

Carismatici nella Chiesa

Dopo aver ricordato la sua realtà, la sua presenza, la sua crescita e la sua origine nell’ambito delle Chiese pentecostali e protestanti, il documento lo colloca dentro l’attenzione ecclesiale allo Spirito, sollecitata fin da Leone XIII nel Divinum illud munus del 1897 e confermata dal Vaticano II. Dalle sponde protestanti entra come movimento laicale nelle comunità cattoliche negli anni ’60. Nel 1975 Paolo VI riceve in Sala Nervi i 10.000 partecipanti, provenienti da 60 paesi, al secondo congresso internazionale a Roma. I membri a livello mondiale sono stimati in 200 milioni.

In Croazia e Bosnia il movimento appare nei decenni successivi, in particolare dal 2002. Nel 2016 è stato celebrato il primo incontro nazionale. Formalmente riconosciuto dai vescovi, è composto da 3.500 persone, distribuite in circa 80 comunità in Croazia, 20 in Bosnia e altro 4 in Germania e Austria.

«Nel corso della sua storia la Chiesa ha sempre avuto bisogno di rinnovamento e affinamento. Ecclesia semper reformanda! Lo Spirito l’arricchisce sempre dei suoi doni… I carismi dello Spirito Santo sono particolarmente visibili nel rinnovamento spirituale espresso dai nuovi movimenti carismatici ed ecclesiali». Una «corrente di grazia nella Chiesa»: l’ha definita papa Francesco.

Dal punto di vista dell’associazione ecclesiale, i frutti attesi sono la conversione, l’apertura allo Spirito, l’accettazione dei suoi doni, la crescita nella santità, l’azione evangelizzante. Ma cosa provano le singole persone nelle preghiere comunitarie? Fra le risposte più diffuse: l’incontro personale con Dio, la gioia della preghiera, il potere effettivo dello Spirito, la capacità di parlare agli altri di Dio, una rinnovata azione nel mondo e nella Chiesa. Il testo sottolinea la teologia paolina dei carismi e la loro subordinazione alla carità e alla comunità (in particolare 1Cor 13).

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Discernere i doni

Entra poi a elencare le esperienze interiori più rilevanti del movimento ecclesiale. A partire dall’«effusione» o «battesimo nello Spirito». «Coloro che hanno sperimentato il “soffio” dello Spirito Santo lo paragonano all’esperienza degli apostoli nella Pentecoste… sperimentano un grande cambiamento in se stessi». Se nel battesimo lo Spirito è dato a tutti, nell’«effusione» i cristiani percepiscono un «nuovo stato di grazia».

Molto sottolineato è anche il dono della profezia. Il ruolo del profeta non è la divinazione del futuro, ma è il conforto e l’incoraggiamento ai fratelli nella fede. Bisogna vigilare. «Non dobbiamo accettare ingenuamente tutto come un messaggio di Dio. Gli spiriti vanno messi alla prova». Due i criteri fondamentali: «la correttezza morale del profeta e l’ortodossia delle sue profezie».

Particolarmente apprezzato fin dalle prime comunità cristiane è il dono delle lingue, la glossolalia. Paolo ne tratta in 1Cor 13. Essa è in prima istanza utile alla preghiera privata. Non si tratta di un discorso estatico perché non si perde il controllo della coscienza. Non è il parlare in lingue straniere. «È un modo di pregare che permette l’espressione di profondi sentimenti d’amore per Dio… è una preghiera di lode non verbale, libera e calma perché espande gli orizzonti dello spirito».

Il suo valore «sta nel fatto che libera le profondità dello spirito umano per esprimere ad alta voce e attraverso la modulazione fonetica ciò che la persona non riesce ad esprimere concettualmente». Ma se il discorso è rivolto alla comunità ci deve essere chi lo rende comprensibile e, in ogni caso, il dono non va forzato con la ripetizione sillabica di Alleluia o con altri mezzi di condizionamento psichico.

Le guarigioni appartengono ai racconti evangelici e alla prassi ecclesiale. Con l’emergere dei movimenti carismatici ha preso vigore l’attenzione di molti credenti alla preghiera extra-sacramentale per la guarigione. Ma è bene non coltivare un parallelismo ingenuo: come Gesù ci libera dal peccato, così ci libera dalle malattie. Le guarigioni per Cristo sono un anticipo della futura vittoria sul male e sulla morte, non il risultato garantito della fede.

Chiedere la guarigione non è il «diritto» di ottenerla e tantomeno è il rifiuto di ricorrere alla medicina. Altro dono comune è il cosiddetto «riposo dello Spirito», il cadere all’indietro, come una sorta di gesto di affidamento a qualcuno. Anche in questo caso il consiglio è di non incoraggiare il fenomeno che può avere una spiegazione psicofisica naturale.

Riconoscere i pericoli

Se è vero che, rispetto al razionalismo prevalente della teologia occidentale, il movimento carismatico ha sviluppato l’esperienza anche emotiva della fede, bisogna tuttavia sempre evitare forme di isteria collettiva e la ricerca del carisma ad ogni costo. Altrimenti si aprono pericoli non piccoli: la mentalità da ghetto, l’elitismo, la trascuratezza del proprio carisma per i religiosi e le religiose, la riduzione della fede a un solo aspetto (preghiera, glossolalia, Scrittura), turbamento nelle relazioni familiari, subalternità a forme leaderistiche, false aspettative di guarigione, semplificazioni improprie.

Non si deve vedere il diavolo ovunque e in ogni cosa, né assolutizzare la propria esperienza cristiana e non osservare le norme liturgiche.

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Si insiste molto sul non allontanare i monaci dai loro compiti e i preti dalla loro diocesi. Curioso è il richiamo al «risanamento dell’albero genealogico». I peccati degli antenati avrebbero un impatto diretto sulla condizione e il comportamento della loro prole e quindi solo la riconciliazione dei morti con Dio (attraverso la preghiera) solleverebbe i viventi dai loro limiti e peccati. Un approccio «incompatibile con l’insegnamento della Chiesa sulla responsabilità personale».

Se il criterio più evidente di valutazione dei carismi sono i loro frutti (desiderio di seguire il Signore, servizio dei poveri, generosità, pazienza e prudenza), a causa della possibile tensione con la gerarchia ecclesiastica è bene sottoporre a discernimento i doni spirituali. Essi sono concessi dallo Spirito in ordine alla vita della Chiesa e, se vanno accettati da tutti con gratitudine e consolazione (anche dai vescovi), essi sono finalizzati al sostegno delle comunità e del loro impegno per il Vangelo.

Le attese

Cosa si aspetta la Chiesa dai movimenti carismatici? Il testo ricorda alcune sfide: non favorire la polarizzazione, resistere alla critica preconcetta, non ritenersi “l’unica Chiesa”, coltivare la comunione e rispettare la complementarietà di altri movimenti e associazioni, crescere nello zelo missionario, non cedere al settarismo, essere pronti ad accettare momenti di prova, sostenere la solidarietà coi poveri, essere al servizio della santità della Chiesa.

Se le associazioni e i movimenti laicali, anche in ragione del Codice di diritto canonico, hanno diritto ad essere riconosciuti nella Chiesa, devono però rispettare e riconoscere l’autorità dei pastori e la realtà della vita cristiana dei fedeli comuni.

Il documento ricorda l’importante testo della Congregazione per la dottrina della fede, Iuvenescit Ecclesia, e il passaggio giuridico della rappresentanza dei movimenti nel dicastero dei laici, dall’«ICCRS – Fraternità cattolica» alla creazione di un unico organismo (Charis) a partire da giugno 2019. Esso non toglie autonomia alle singole famiglie carismatiche, ma offre una rappresentanza unitaria che viene ritenuta necessaria anche a livello di conferenze episcopali e delle singole diocesi.

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