Riforma della curia. Lentamente…

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Dopo l’informativa del giornalista Johannes Schidelko sulla riforma della curia romana (cf. Settimananews 14 aprile 2018), torna sul tema un altro giornalista tedesco, Kilian Martin. Tutti e due gli articoli sono apparsi sul sito katholisch.de. In entrambi i servizi si sottolineano i fattori che rendono faticoso il cambiamento. Non mancano tuttavia piccoli ma significativi passi in avanti.

I membri del Consiglio dei cardinali hanno finora dedicato 450 ore alla riforma della curia. A questo scopo, il gruppo nominato dal pontefice ha avuto bisogno di 5 anni e di 25 sessioni consigliari. Finora non è ancora possibile prevedere quando i membri del Consiglio del C9 – così chiamato in forma abbreviata – avranno terminato il loro compito. Tuttavia, hanno compiuto un decisivo passo in avanti verso il loro obiettivo: nel loro ultimo incontro hanno completato una bozza della nuova costituzione apostolica che ora è stata sottoposta al papa per ulteriori considerazioni.

Una nuova comprensione della sede centrale della Chiesa

Praedicate Evangelium («Predicate il Vangelo»): si chiama così il nuovo ordinamento costitutivo del Vaticano allo stato attuale. Esso costituisce il cuore della riforma della curia che papa Francesco intende attuare, nel senso che deve definire il modo di lavorare e di espletare il ruolo dell’autorità vaticana. Attualmente il Vaticano lavora sulla base della costituzione apostolica Pastor bonus di Giovanni Paolo II, del 1988. Prima di allora, era stato Paolo VI a rinnovare profondamente la curia dopo il concilio Vaticano II, nel 1967.

Per il progetto di un nuovo apparato amministrativo, papa Francesco, nell’aprile del 2013, soltanto un mese dopo la sua elezione, aveva nominato un Comitato consultivo, costituito inizialmente da otto cardinali. Il fatto che ci fosse tra loro Giuseppe Bertello, presidente della Commissione dello Stato del Vaticano, che inizialmente era solo un cardinale di curia, poteva già allora essere interpretato come un segno del desiderio del papa di non risparmiare la curia.

Le condizioni cambiarono nel 2014: in febbraio papa Francesco chiamò in Vaticano George Pell, fino ad allora arcivescovo di Sydney e, nel mese di luglio, venne aggregato come membro a pieno titolo nel Consiglio dei cardinali il segretario di Stato, Pietro Parolin. Sei su nove, la maggior parte dei membri del Consiglio, sono tuttora vescovi attivi o vescovi diocesani emeriti.

Già fin dalla prima riunione del gruppo, nel settembre 2013, fu sottolineato che il suo scopo doveva essere quello di attuare un’ampia revisione della Pastor bonus. Finora, tuttavia, il cammino verso la riforma della curia si è rivelato un processo fatto di molti piccoli passi o di passi intermedi più grandi.

Il primo grande progetto di ristrutturazione era già sul tavolo dopo le prime tre sessioni del Consiglio. Nel febbraio 2014, papa Francesco creò un nuovo Consiglio per l’economia sotto la presidenza dell’arcivescovo di Monaco, card. Reihnard Marx, e una corrispondente Segreteria per l’economia. Quest’ultima assurse al rango di autorità curiale e, da allora, fu guidata dal card. George Pell. Ambedue gli organismi erano stati concepiti per rimediare rapidamente agli affari economici attraversati da scandali e piuttosto mal gestiti in Vaticano.

Soltanto un mese più tardi seguì, quale successiva pietra miliare della riforma della curia, l’istituzione della Pontificia Commissione per la tutela dei minori.

Anche questo organismo è diretto da un membro del C9, il card. Séan O’Mally, arcivescovo di Boston. I rapidi risultati nel campo dell’economia e della lotta contro l’abuso chiarirono ben presto che ambedue i settori facevano parte del nucleo centrale della riforma della curia. Nel periodo successivo, il Consiglio dei cardinali è sempre stato informato sui progressi compiuti dalle commissioni competenti.

Nel mese di giugno del 2015 seguì un’altra importante decisione – e si trattava di nuovo degli abusi. In seguito al desiderio della Commissione per la tutela dei minori e su proposta del Consiglio dei cardinali, papa Francesco annunciò la creazione di un nuovo tribunale presso la Congregazione per la dottrina della fede. Questo doveva giudicare sugli eventuali comportamenti errati dei vescovi, qualora non avessero proceduto con la debita sollecitudine o in misura troppo debole contro gli abusi nelle loro diocesi. Tuttavia il tribunale, originariamente previsto presso la Congregazione, fino ad oggi non è ancora stato istituito. Al suo posto, il papa, un anno dopo, introdusse nuove norme canoniche, in base alle quali i vescovi avrebbero potuto perdere il loro incarico se fossero venuti meno alla loro responsabilità di vigilanza. Procedure simili sono state adottate da altre congregazioni vaticane.

Il grande cantiere della riforma dei media

Un terzo grande tema della riforma della curia è la riorganizzazione in corso dei diversi settori dei media vaticani. La Segreteria per la comunicazione, istituita il 27 giugno 2015, ha lo scopo di unificare le sette redazioni finora indipendenti, l’ufficio stampa e anche l’Ufficio pontificio dei mezzi di comunicazione sociale.

Con questo incarico il nuovo prefetto, Dario Viganò, in precedenza capo della produzione della società TV vaticana CTV, secondo l’opinione di molti osservatori ricevette il compito più gravoso dell’intera riforma della curia.

Nell’agosto 2016 seguirono due altre importanti innovazioni nella compagine istituzionale del Vaticano. Nel giro di pochi giorni, il Vaticano rese nota la creazione già annunciata di due nuovi dicasteri: uno per i laici, la famiglia e la vita e uno per il servizio allo sviluppo umano integrale. In ambedue questi grandi dicasteri confluirono gli organismi già esistenti. Il dicastero dello sviluppo continua l’attività dei Consigli per la giustizia e la pace, la pastorale dei migranti, la pastorale dei malati e del Consiglio per l’aiuto allo sviluppo “Cor Unum”. Il nuovo dicastero per i laici riprende i compiti dei Consigli precedenti per i laici e la famiglia.

La successiva pietra miliare, meno appariscente, della riforma della curia seguì nel settembre 2017. Con il motu proprio Magnum principium papa Francesco concesse alle conferenze episcopali una maggiore libertà nella traduzione dei testi liturgici nelle lingue nazionali. Ciò che, a prima vista, ha poco a che fare con la curia e le sue strutture, è tuttavia un’importante espressione di un ulteriore principio fondamentale della riforma della curia: la decentralizzazione. Per volontà del papa le decisioni per quanto possibile devono essere trasferite dal Vaticano ai luoghi della Chiesa universale.

Questa richiesta è stata rafforzata da Francesco anche un mese dopo, quando, nell’ottobre 2017, ristrutturò la Segreteria di Stato del Vaticano. Alle due sezioni finora dedicate agli affari generali – paragonabili a un governo e alle relazioni con gli Stati – corrispondente al ministero degli esteri –, è stato ora aggiunto un terzo principale dipartimento. Il suo incarico consiste nel curare la comunicazione con gli ambasciatori della Santa Sede in tutto il mondo garantendo un veloce e positivo scambio di informazioni tra Roma e la Chiesa del mondo intero.

Se, tuttavia, la nuova Divisione degli ambasciatori fu considerata, soprattutto tra i nunzi, un successo, Francesco e i suoi consiglieri, durante i cinque anni trascorsi, hanno conosciuto però anche alcune battute d’arresto.

Ciò riguarda, per esempio, riforme come la ristrutturazione dei media vaticani che si rivela molto più lunga di quanto fosse auspicabile.

Poca fortuna col personale

Ma, soprattutto, Francesco ha avuto poca fortuna con il suo personale. All’inizio del 2018, dovette accettare le dimissioni del suo capo dei media, Viganò, e lo dovette licenziare dopo uno scandalo riguardante la manipolazione di una lettera di Benedetto XVI. Inoltre, già nel giugno 2017, il papa aveva dovuto accettare le dimissioni provvisorie del suo segretario per l’economia, Pell. Dall’autunno dello scorso anno l’australiano non prende più parte alle delibere del Consiglio dei cardinali, poiché si trova in Australia per essere giudicato a causa di abusi sessuali. E anche il membro del C9 Francisco Javier Erraruriz Ossa è attualmente sotto pressione per lo scandalo degli abusi nel suo paese natale, il Cile. Le vittime lo accusano di aver saputo degli abusi e di averli occultati.

Sul piano oggettivo, il Consiglio dei cardinali può tuttavia già vantare alcuni successi non trascurabili in termini di riforma della curia. I progetti costituiscono però solo una parte di ciò che il C9 nelle sue 25 sessioni ha discusso e deciso. Diversi argomenti spesso ricordati nei comunicati stampa sono rimasti finora senza risultati visibili. Ciò riguarda, per esempio, il procedimento per le nomine dei vescovi di cui si è sempre parlato per un possibile maggiore coinvolgimento dei laici. Anche il problema della scelta del personale del Vaticano, con un maggiore coinvolgimento delle donne e dei laici, non è stato finora affrontato.

Dopo 25 sessioni, non si prevedono ancora cambiamenti negli attuali dicasteri della curia. È ovvio che i loro doveri, i metodi di lavoro e, soprattutto, la definizione del loro ruolo sono stati intensamente discussi. A più riprese, i cardinali hanno dovuto sottoporre le relative relazioni o invitare alle loro riunioni persone rappresentative.

Nel frattempo, queste delibere si sono concluse e sono confluite nell’ambito delle proposte dei membri del C9. Lo testimonia, in primo luogo, il fatto che i cardinali, dopo l’ultima sessione, hanno sottoposto al papa una bozza finale del nuovo ordinamento costituzionale della curia. Questo, come anche la costituzione finora vigente del 1988, dovrebbe contenere soprattutto una definizione del ruolo della curia adattata alle attuali esigenze. Nell’epoca della moderna comunicazione, dei problemi sociali e delle possibilità sempre nuove, vengono assegnati nuovi compiti anche all’amministrazione della Chiesa. Organizzarli è l’impegno più grande che spetta al Consiglio dei cardinali. Dopo cinque anni e 25 sessioni sembra che l’obiettivo sia almeno più vicino.

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