I cassetti di casa e lo stile della riservatezza

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Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco – ©Comune di Milano/DeLonti 2021.

Mettere in ordine i cassetti: un’usanza o un rito forse un po’ decaduti da quando i luoghi virtuali hanno in larga misura soppiantato spazi domestici tradizionali per riporre e custodire cose proprie. È infatti nei pc, tablet e smartphone che di volta in volta salviamo file con bollette, indirizzi, documenti personali e vari scritti inserendoli in cartelle e spazi del web che presumiamo più sicuri.

Eppure, continuo ad amare i cassetti di tavoli e mobili vari. Fu certo importante quel momento in cui, da bambina, mi soprese l’ordine meticoloso con cui Zita, una carissima vicina di casa, aveva predisposto l’interno di un cassetto di un mobile del soggiorno. Compagna di giochi di suo figlio, fui invitata a recuperare qualcosa in quel breve spazio. Vidi una raccolta di semplici oggetti di cancelleria accuratamente adagiati in spazi ritagliati ad arte. C’era stata una selezione per tipologia di contenuti e poi una sistemazione in modo sobrio ed elegante al tempo stesso.

Poco importa se si trattava di nastro adesivo, forbici o matite: tutto era stato disposto con meticolosa attenzione anche per favorire un rapido utilizzo di quegli oggetti. Solo anni dopo capii che lì si rifletteva il tratto morale di una persona della quale ricordo un pacato ordine mentale, una attenzione rara a cose e a persone fragili e da accudire. E soprattutto riservatezza. Uno stile che, sempre nella società della trasparenza mediatica, viene facilmente dismesso. Dalle stanze scolastiche a quelle sanitarie mi è stato facile constatare l’incuria con cui usiamo diffondere dati riservati nonostante le note leggi sulla privacy.

L’ordine morale

I cassetti sono forme d’arredo che nascondono e rivelano. Spesso custodiscono ciò che va tenuto al riparo da occhi indiscreti e invadenti. Non serve essere sapienti ebanisti o esperti antiquari di mobili per capire il motivo del termine secretaire per quel mobile elegante dotato di cassetti o sportelli – a volte con serrature e chiavi – e un piano per scrivere. Inoltre, segretari e segretarie sanno che devono il nome del proprio ufficio a quell’arte della tutela e della riservatezza indispensabile per una fiduciosa relazione lavorativa.

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Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco – ©Comune di Milano

Nel Museo del Mobile e delle Sculture Lignee del Castello Sforzesco di Milano, è conservata una straordinaria opera della storia del mobile antiquario (a volte impropriamente detta “arte minore”)  che ancora oggi ci suggerisce riflessioni di stile non solo dal punto di vista storico-artistico, ma come era ben chiaro al committente, di ordine morale.

Si tratta dello stipo (termine che nel Cinquecento indicava un mobile o “studiolo” destinato a custodire oggetti preziosi) Passalacqua datato 1613. Prende il nome da Quintino Lucini Passalacqua, canonico della cattedrale di Como, che ordinò tale “artificiosissimo scrittoio” composto da “Pittura, Scultura e Architettura“ volte a illustrare la seguente massima: “Quando la ragione morale si lascia guidare dal senso  le cose vanno male”.

L’erudito non si era limitato a commissionare il mobile a importanti ebanisti e artisti del tempo, ma ne aveva puntualmente descritto i dettagli compresi statue, gemme preziose e disegni ricchi di simboli e allegorie. Tutto questo ci è noto grazie a una sua lunga e articolata lettera, pubblicata a Como nel 1620 e fortunatamente recuperata dagli storici. Nell’epoca in cui la rivoluzione scientifica e il pensiero cartesiano stavano prendendo piede, nacque in lui una riflessione sulla ragione e il suo rapporto con la sensibilità e le passioni.

E nel tempo in cui, in Lombardia, il geniale cardinale Federico Borromeo promuoveva una grande stagione pittorica allineata alla riforma tridentina, la voce di Passalacqua fu immortalata nella preziosa opera lignea. L’ammiriamo, dopo un recente restauro (2015), nei suoi due scomparti: quello inferiore chiuso da battenti e quello superiore con la parte frontale  ribaltabile a uso di scrittoio. Quest’ultima, una volta aperta, presenta cinque nicchie ciascuna provvista di piccola statua d’avorio scolpite  da Guillame Berthelot.

Ogni statuetta poggia su un minuto dipinto ad olio su rame, raffinatissime opere del Morazzone. Ciascuna nicchia indica allegorie di uno dei cinque sensi (“da cui entrano le idee, i pensieri, gli affetti”) con immagini tratte anche da scene bibliche e con pietre preziose. Per esempio, il Gusto – castigato e prezioso – a cui è abbinato uno zaffiro, è rappresentato da una donna con un cesto di frutta in una mano e una pesca nell’altra poiché entrambi “diversamente dal Gusto fanno sentire senza alcun artificio”. Qui la pittura corrispondente riporta la scena del castigo divino a Adamo e Eva che avrebbero per primi abusato di quel senso mangiando il frutto proibito.

La meraviglia dello spettatore si amplifica quando – aprendo quel che il committente chiama “prospetto architettonico” – si scorgono ben 34 piccoli cassetti di diverse dimensioni, utili a riporre piccoli e grandi segreti. Chi aveva la fortuna di scrivere sulla tavola lignea ribaltabile poteva godere sia della bellezza dello stipo chiuso con le splendide illustrazioni e gemme sia, una volta dischiusi gli sportelli, della vista dei minuti cassetti di noce impreziositi da intagli. L’intera opera è guidata da un disegno razionale che favorisce la composizione della scrittura e della corrispondenza privata. Uno scenario classico con un insegnamento straordinariamente attuale.

Una statuetta allegorica in bronzo illustra la morale dello splendido mobile ed è presente nella nicchia centrale dell’ordine inferiore del prospetto. Ovvero una figura femminile rappresentante la ragione che guida un carro trainato dai cinque sensi scatenati: cinque animali inferociti (lince, scimmia, cinghiale, avvoltoio e ragno, ciascuno corrispondente allo specifico senso) hanno allentato le redini di chi non riesce più a tenere a bada la propria sensibilità.

Quella sensibilità che dovrebbe condurci negli spazi e nei tempi in cui è sovrano il piacere di vivere e di colloquiare con altri. Anche tramite l’invio di lettere, da comporre con calma, aprendo e chiudendo ripostigli  mentali funzionali a un’accurata riflessione personale.

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