Mike Pompeo: l’elefante nella cristalleria

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Lo sgarbo e il dialogo: difficile comporre le osservazioni critiche del segretario di stato americano, Mike Pompeo, verso papa Francesco e la Santa Sede (First Things, 18 settembre e i suoi tweet) con la prevedibile richiesta di colloquio nella sua prossima visita a Roma (29-30 settembre).

C’è qualcosa di rozzo e di eccessivo che sposta l’attenzione dal testo relativo alla difesa dei diritti umani in Cina ad altri interessi: le prossime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, la costruzione di una coalizione mondiale neo-conservatrice e soprattutto l’alimentazione di una nuova guerra fredda contro la Cina entro cui sequestrare la credibilità morale della Santa Sede.

La diplomazia vaticana non rifiuta mai la richiesta di dialogo da parte di rappresentanti statali e Pompeo troverà a Roma sia la conferma dell’accordo sino-vaticano sia le consonanze su alcune questioni care all’amministrazione Trump (difesa della libertà religiosa, opposizione all’aborto e ai «diritti riproduttivi»).

L’autorità morale in discussione

L’articolo su First Things denuncia il degrado dei diritti umani in Cina e la sinizzazione delle fedi, perseguita per «subordinare Dio al partito, promuovendo lo stesso Xi (Jinping) come una divinità ultramondana». È chiaro, scrive Pompeo, che, «a distanza di due anni, l’accordo Cina-Vaticano non ha difeso i cattolici dalle depredazioni del partito, per non parlare dell’orrendo trattamento dei cristiani, dei buddisti tibetani, degli aderenti al Falung Gong e di altre fedi religiose». Le vessazioni contro i cristiani continuano e gli stessi vescovi legittimati da Roma mostrano una «lealtà poco chiara, mettendo in confusione i cattolici cinesi che avevano da sempre fiducia nella Chiesa». L’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale che viola il trattato internazionale del 1997 a garanzia della libertà del territorio di Hong Kong espone i credenti alle intimidazioni e all’arbitrio delle forze repressive e abbandona al proprio destino figure di spicco del cattolicesimo locale come Martin Lee e Jimmy Lai.

«La Santa Sede ha la capacità e il dovere unici di convogliare l’attenzione del mondo sulle violazioni dei diritti umani, in particolare quelle compiute da regimi totalitari come quello di Pechino», come è successo per l’Europa centrale e orientale e per quanti hanno sfidato i regimi totalitari e autoritari in America Latina e Asia. «La stessa forza di testimonianza morale dovrebbe essere dispiegata oggi nei confronti del partito comunista cinese» in coerenza con la priorità riconosciuta dal magistero ai principi di libertà religiosa e solidarietà. «Se il partito comunista cinese riuscirà a mettere in ginocchio la Chiesa cattolica e le altre comunità religiose, i regimi che attentano ai diritti umani saranno rafforzati e il costo della resistenza alle tirannie si alzerà per tutti i coraggiosi fedeli che onorano Dio al di sopra dell’autocrate di turno».

Approssimazione e contraddizioni

Le approssimazioni e le contraddizioni del segretario di stato, diacono di una Chiesa evangelica presbiteriana, sono evidenti: l’accordo sino-vaticano non è fra Santa Sede e partito, ma col governo; se Xi si considera una divinità, non si vede perché debba occuparsi della sinizzazione delle altre fedi; la Chiesa in Cina non può giovarsi di un radicamento popolare, di una tradizione culturale favorevole ai diritti umani, di una società povera e di una chiusura all’Occidente come nel caso dell’Est Europa prima della caduta del muro ecc. L’intervento a gamba tesa ricorda l’esposizione dell’amministrazione americana e dello stesso Pompeo a favore dell’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina, pagata a caro prezzo con uno scisma nel mondo ortodosso di cui non si intravede soluzione.

Il riferimento più adeguato per collocare le sue parole sembra la costruzione della «guerra fredda» con la Cina. Dalla formazione di un’alleanza anti-cinese nei paesi confinanti con l’«impero di mezzo» al riarmo assicurato a Taiwan, dalle pressioni sugli alleati occidentali alle difese delle minoranze interne, dai limiti dei mercati internazionali per i cinesi alle accuse di spionaggio tecnologico: tutto converge nella volontà di isolare il maggiore paese asiatico.

Diversità, non contraddizione

Con la Santa Sede non mancano elementi comuni come la difesa della democrazia, il tema dei diritti umani (con qualche sospetto nei confronti di “nuovi diritti”) o la libertà religiosa. La durezza del confronto non erode le molte radici condivise.

Del resto, le aperture della Santa Sede sono consapevoli di toccare elementi di fondo dell’ideologia comunista cinese. Se sono distanti dalla pretesa di un’implosione del potere cinese perseguito oggi dell’amministrazione americana, nondimeno sono interessate e coerenti con il suo cambiamento (cf. Settimana News). Esprimono, in particolare, la convinzione che il futuro equilibrio della pace nel mondo non potrà fare a meno dell’apporto cinese e che non «si gioca» alla guerra senza in qualche maniera propiziarla.

Il profondo contrasto che attraversa la società e la Chiesa americana non dovrebbe impedire una posizione autorevole dei vescovi a difesa del papa.

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Un commento

  1. un rompiscatole 21 settembre 2020

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