Siria: il regime, la guerra, il terremoto

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Riportiamo la testimonianza di un esule riguardo al terremoto sopravvenuto in Siria a 12 anni dall’inizio della guerra: tragedia nella tragedia in un Paese governato da un regime responsabile di crimini contro l’umanità verso il suo stesso popolo.

  • Lei è originario di Damasco: cosa è successo a Damasco col terremoto del 6 febbraio? 

A Damasco la scossa è stata chiaramente avvertita in maniera molto forte. In periferia la gente è scesa in strada di notte. Il sisma ha provocato alcuni danni agli edifici dei quartieri della periferia nord della città. Non ci sono state vittime. Consideriamo che in questi 12 anni di guerra sono state sospese tutte le manutenzioni. Gli edifici storici – insieme a quelli vecchi e popolari – sono quelli che, anche a distanza di centinaia di chilometri dall’epicentro, hanno avuto problemi.

Anche a Damasco, dopo una settimana, la paura è rimasta. Sappiamo che Damasco si trova su una linea di faglia collegata a quella anatolica e araba: dal sud-ovest della Turchia alla Palestina, sulla costa mediterranea, nessuno può stare tranquillo, quando avvengono queste catastrofi nel sottosuolo.

  • Qual è la zona e quali sono le città più colpite della Siria?

Come noto, la zona più colpita è a nord ovest della Siria: Aleppo e Idlib sono le città devastate, ove la maggior parte delle vittime si trova tuttora sotto le macerie.

La situazione ad Aleppo
  • Da chi riceve informazioni e quali?

Sono in contatto con amici che si trovano ad Aleppo. Mi hanno raccontato ciò che hanno vissuto loro stessi con le loro famiglie. Dormono ancora sulle auto – benché le loro case siano ancora in piedi nei quartieri un po’ più lontani dalla frattura – perché, soprattutto i loro bambini, hanno paura di tornare sotto un tetto. Il quartiere al centro della città di Aleppo – storicamente popolato in maggioranza dai cristiani – è quello più martoriato.

Tutti i muri antichi sono caduti, la famosa cittadella di Aleppo, patrimonio dell’umanità è stata danneggiata. La gente vive al freddo, in strada. Una settimana fa ad Aleppo la temperatura scendeva regolarmente a – 4 °C di notte, mentre di giorno ci sono stati scrosci di pioggia gelida e intensa. I primi aiuti veri ai disastrati sono arrivati proprio dai cittadini di Aleppo: cibo e coperte.

C’è un dato di fatto che voglio qui mettere in evidenza perché nessuno lo sta dicendo: ad Aleppo, come in tutta la zona, molti edifici, case e condomini erano già lesionati dai bombardamenti del regime di al-Assad e dei suoi alleati, i russi in primo luogo. La stabilità era in molti casi già pregiudicata. Il terremoto ha fatto il resto.

Non dimenticate, per favore, che dal 2015 al 2018 – per ben 36 mesi – quella zona è stata sistematicamente bombardata. Il fatto è stato ammesso dallo stesso ministro degli esteri russo Lavrov. In quei mesi la Russia ha testato in Siria, proprio in quella zona, nuove piattaforme missilistiche e nuovi armamenti, prima di portarli in Ucraina.

I cumuli di macerie e le crepe, dunque, c’erano già. Bastava poco per far crollare tutto.

Il regime siriano
  • Vuole ricordare le circostanze della tragedia siriana?

Nella città di Idlib – e sino alla periferia sterminata di Aleppo – sono stati concentrati circa quattro milioni di persone – considerate dal regime “ribelli” e sua opposizione: provenivano soprattutto dalla zona a sud della Siria e dalle periferie di Damasco e da Homs.

Ricordo che era stato concluso un accordo – col beneplacito della Russia e, sostanzialmente, delle potenze internazionali – per far passare queste persone in fuga dai colpi del regime di al-Assad e ammassarle proprio in quella zona: una volta raccolte nei campi profughi, nei villaggi e nelle due città, il progetto era di sterminarle tutte. I russi hanno cominciato infatti, dal 2015 a bombardare.

Gli esseri umani che sono sopravvissuti – circa 3,7 milioni secondo le migliori stime – lo erano e lo sono per effetto dell’intervento, nell’area nord della Siria, della Turchia.

  • Si diceva – allora – che quella zona era infestata dalla presenza dell’Isis. E ora?

L’Isis non è più in quella zona da tempo. Sacche dell’Isis popolano lo sterminato deserto siriano, specie dalle parti di Palmira. Si tratta di gruppi con caratteristiche nomadi. Conoscono molto bene il territorio: sanno quindi uscirvi, fare razzie e ritornarvi, facendo scomparire le loro tracce.

A Idlib è invece presente il gruppo Tahrir’ al Sham, che significa, letteralmente, Liberazione della Siria. Questo gruppo costituisce una parte dei ribelli al regime di al-Assad, ovvero una sua opposizione armata, definita fondamentalista – perché animata da propositi religiosi islamici -, da non confondere con gli oppositori del Libero esercito siriano, sostenuti dalla Turchia. Noto che i media europei fanno ancora parecchia confusione tra gli oppositori del regime: non conoscono bene la situazione.

Il motivo dell’Isis è stato richiamato ad arte dal regime siriano per allertare la comunità internazionale e impedire l’invio di aiuti nella zona senza il suo controllo.

  • Vuole chiarire cos’è il Libero esercito siriano?

L’ossatura di questo esercito è costituita da ufficiali e sottufficiali già inquadrati nell’esercito nazionale. Sono i militari di rango che si sono ribellati agli ordini del regime di al-Assad.

Questo corpo costituisce la sola piccola speranza per il futuro esercito nazionale della nuova Siria. Ora questo esercito sta collaborando con la Turchia: è nelle mani della Turchia, di fatto.

I soccorsi
  • Stanno arrivando – o non stanno arrivando – soccorsi e aiuti nella zona controllata dagli oppositori?

Le mie informazioni provengono, come ho detto, da Aleppo. Aleppo è sotto il controllo militare del regime e della guardia rivoluzionaria iraniana. I miei amici sono testimoni oculari e sono affidabili. Dei quattro valichi di frontiera tra la Turchia e la Siria – ad una settimana esatta dal terremoto del 6 febbraio [data dell’intervista: ndr] – solo uno è agibile per gli aiuti, quello di Bab al-Hawa.

Russia e Cina – in sede ONU – hanno sinora impedito il passaggio sull’altro valico più vicino al luogo del disastro, quello di Bab al-Salam. Sono chiusi da tempo anche i valichi con l’Iraq e la Giordania: non sono stati riaperti neppure in questo evento. Questo significa che russi e cinesi stanno, ancora una volta, sostenendo il regime siriano di al-Assad, anche per il controllo sugli aiuti internazionali.

Gli aiuti ONU attraverso Bab al-Hawa sono dunque i pochi e gli unici a giungere nella zona più colpita senza subire il controllo – e la razzia – del potere di al-Assad.

  • Stati Uniti ed Europa come si stanno muovendo rispetto al regime nella circostanza del terremoto? 

Gli Stati Uniti stanno escludendo la possibilità di trattare col regime siriano a questo riguardo, perché significherebbe, da parte loro, legittimare di nuovo il regime.

Da parte degli Stati europei, noto un grande imbarazzo di fronte all’appello di al-Assad che dice: «se volete mandare aiuti, mandateli a me, a Damasco: ci penso a distribuirli nel mio Paese». Assad parla ancora da sovrano.

Mi pare poi che gli europei si muovano in ordine sparso.  La decisione del governo italiano di fornire aiuti in Siria, attraverso Beirut, ossia attraverso il Libano, significa passare da Damasco, mentre altri Paesi europei hanno deciso di passare – molto pragmaticamente dal punto di vista logistico – solo attraverso la Turchia. In questo modo non si fa mostra di consegnare gli aiuti al regime di al-Assad, ma di fatto si fa la stessa cosa: Beirut e Damasco sono molto vicine. In mezzo c’è il confine.

La zona distrutta anche dal terremoto si trova a 400-450 chilometri da Damasco. Questo vuol dire che, nel percorso, gli aiuti vengono quasi del tutto trattenuti. Forse solo il 20% o il 40%, in base al contenuto della merce, nella migliore delle ipotesi, arriverà alla povera gente. Parliamo comunque di aiuti post-terremoto, non di soccorsi per salvare qualcuno: per salvare, ormai, è troppo tardi.

  • Il regime taglieggia anche soccorsi e aiuti umanitari?

È certo: dal 60 all’80% degli aiuti internazionali che approdano in Siria viene sistematicamente razziato dal regime. Sarà così anche per gli aiuti ai terremotati.

Ho visto in questi giorni, con i miei occhi, filmati postati su youtube che mostrano camion carichi di aiuti bloccati alla frontiera dai militari del regime. Peraltro, non erano aiuti occidentali, bensì aiuti delle tribù dell’est della Siria. Stavano trattando: i militari del regime, dopo essersi mostrati possibilisti, hanno chiesto l’80% del carico per sé.

Cosa succede agli aiuti internazionali
  •  A parte il poco dall’ONU, non è arrivato ancora nulla ad Aleppo e a Idlib? 

Gli aiuti che sono arrivati tre giorni dopo il terremoto erano degli alleati del regime di al-Assad: Iran, Cina e Iraq; la Russia al momento non ha mandato nulla.

Bisogna poi subito dire che si tratta di aiuti inutili per il soccorso alle persone rimaste sotto le macerie e sostanzialmente funzionali alla pura propaganda. Ho testimonianza diretta, sino a quattro anni fa, di pullman cinesi, nuovi di zecca, messi in circolazione a Damasco con la scritta «omaggio al popolo siriano dal popolo cinese», senza che questi abbiano mai caricato un solo passeggero siriano.

Nel mentre l’Iran mandava in giro un camion di farina con una gigantesca, sventolante, bandiera della Repubblica Islamica. Facile immaginare che cosa questi Paesi stiano facendo, d’intesa col regime di al-Assad, con gli aiuti per i terremotati: solo meschina propaganda.

Resta che il regime è sicuramente contrario ad ogni piccolo aiuto umanitario che possa arrivare ai gruppi di opposizione. In ogni caso esige che i materiali passino da Damasco, il che significa riconoscimento della propria autorità e sovranità – anche solo apparente – su tutta la Siria.

  • Dove vanno a finire gli aiuti internazionali trattenuti dal regime?

L’uso è del tutto strumentale alla sopravvivenza dello stesso regime. Una buona parte degli aiuti va alle “associazioni caritative” (tra molte virgolette) che fanno capo ad Asma, la moglie di al-Assad, per porla in bella mostra, quale donna della famiglia dei benefattori della Siria. La televisione di Stato filma diligentemente le distribuzioni di pacchi alimentari – anche col marchio ONU – di Asma, per farne un’eroina.

L’altra parte va al clan di al-Assad, nella sua zona d’origine: ossia ai mercenari che lo sostengono e che si sostengono reciprocamente, nel malaffare, quali parenti e amici. Pensate che al-Assad ha recentemente nominato un commissario per la gestione degli aiuti internazionali, già ministro dell’amministrazione locale, nella persona di un suo cugino diretto della famiglia Makhlouf, peraltro uno famoso della famiglia responsabile del disastro finanziario di poco più di un anno fa.

  • Gli aiuti tornano comunque a beneficio di almeno una parte della popolazione povera in Siria?

Dovete considerare che la situazione economica in Siria è così grave che anche buona parte dei sostenitori del regime non dispongono di condizioni di vita migliori degli oppositori. Tutti ormai sono nella miseria. Solo i capi del regime rubano e hanno tutto. Succede persino che gli aiuti “in eccesso” vengano venduti: si possono trovare sulle misere bancarelle dei mercati con i vari loghi della ONG.

Avviene dunque una selezione sugli aiuti: la parte migliore viene rubata e/o venduta. Serve alla famiglia di al-Assad e ai suoi fedelissimi. Il resto viene usato dalla propaganda, senza cambiare in nulla le sorti disperate della gente.

Tale strategia politica di al-Assad non cambia neppure di fronte al terremoto, anzi si consolida. Ha già rilanciato la sua “diplomazia delle macerie”: prima erano “solo” le macerie dei bombardamenti, ora anche quelle, del terremoto. Il suo obiettivo è chiaro: rilegittimarsi nella comunità internazionale e gestire una grande mole di aiuti. E non è detto che non ci riesca.

  • Al-Assad si sta mostrando in pubblico?

Cinque giorni dopo la prima fortissima scossa di terremoto è comparso, dopo tanto tempo, ad Aleppo. Si possono facilmente visionare i filmati della propaganda (qui). È apparso un uomo sorridente, dinamico, ben curato, persino pieno di gioia. Ha recitato, per me, nel migliore dei modi i suoi sentimenti di vendetta su quella gente che aveva osato ribellarsi a lui. La natura, col terremoto, ha completato l’opera di distruzione e di morte da lui stesso iniziata.

I giornalisti, zelantemente, gli hanno chiesto quale messaggio volesse lasciare al popolo siriano. Lui ha risposto, in maniera apparentemente fuori luogo, dicendo che il suo governo non parla ma lavora e che il risultato della sua opera è sotto gli occhi di tutti, con la resistenza e la sovranità della Siria. Ha promesso di continuare a lavorare per la sua Siria.

Tutt’altro volto di mestizia ha mostrato il giorno successivo a Latakia, sulla costa siriana. Secondo le circostanze, quest’uomo recita! Tutti sono in grado di interpretare la sua recitazione.

  • Viene spontanea una domanda: mandare o non mandare aiuti dall’Europa alla Siria, ora?

Mandando soldi che arrivano ai privati il regime applica una tassa di cambio onerosissima: 100.000 € diventano immediatamente – cambiati in banca – 60.000 €. Il 40% del valore viene immediatamente trattenuto dallo Stato, a causa del cambio imposto. Per questo sta diventando fiorente il mercato nero e il malaffare sul malaffare.

Degli aiuti in natura ho già detto. Si può solo cercare di farli passare attraverso ONG e organizzazioni occidentali fidate: ce ne sono tante: onestissime. Il problema è che tutte sono costrette ad aver a che fare, direttamente o indirettamente, col regime.

Il terremoto sta scatenando poi – ancora più di prima – la guerra interna tra le fazioni, pro e contro al-Assad e tra loro, sugli aiuti. Ciascuno pensa prima al proprio clan. Anche i curdi siriani, ad esempio, hanno bloccato aiuti diretti alla zona terremotata provenienti dallo stesso Kurdistan iracheno.

Le autorità religiose
  • Cosa pensa dell’appello dei patriarchi cristiani di Siria perché vengano tolte le sanzioni al Paese?  

Patriarchi e  gran muftì stanno semplicemente ripetendo ciò che dice al-Assad che, dal giorno del terremoto, non fa altro che chiedere il ritiro delle sanzioni occidentali, prima ancora di chiedere i soccorsi e prima ancora di mandare qualche mezzo utile per sollevare le macerie e cercare di salvare le vite umane.  Purtroppo, come ho già avuto occasione di dire, anche i capi religiosi sono nelle mani del Cesare della Siria.

Io dico che è giusto chiedere il ritiro delle sanzioni per il popolo siriano, umiliato e affamato dal proprio stesso Presidente. Ma l’obiettivo della comunità internazionale dovrebbe essere – oggi più che mai – quello di estirpare il male che affligge la Siria: il suo capo.

Non si può confidare più, in alcun modo, in questo regime. Non c’è più bisogno di alcuna altra prova d’onore. Alla comunità internazionale non bastano 14 milioni di sfollati siriani, cioè più della metà della popolazione siriana prima della guerra?

  • Chi ha quindi soccorso o chi ancora sta cercando le persone, i corpi, sotto le macerie?

Secondo le testimonianze dirette, ci sono pochi che scavano, più o meno a mani nude o avvalendosi della forza meccanica di qualche mezzo agricolo portato da contadini che vivono nella zona. Ci sono anche bravissimi e credibili Caschi bianchi dell’ONU: lavorano giorno e notte. Certamente non ci sono uomini e mezzi del governo.

Ho visto i filmati girati da familiari, parenti, amici delle persone che sono ancora sotto le macerie. È impressionante vedere queste persone tremanti appese alla speranza di udire le grida o i gemiti di chi sta sotto. Sinché hanno udito qualche gemito hanno sperato. Ora il silenzio delle macerie significa solo la morte di ogni speranza: significa la morte e basta.

  • Cosa possiamo fare noi, secondo lei, per aiutare il popolo siriano?

Il problema gravissimo che si profila è l’alloggio di milioni di senzatetto. Serve organizzare rapidamente campi profughi dalle dimensioni sterminate.

Ma qui mi rivolgo a una rivista cattolica e quindi chiedo innanzi tutto di dare una onesta e obiettiva informazione: è il minimo che si possa fare per la povera gente siriana. Questo vi chiedo.

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