USA: non solo George Floyd

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«Mentre la gente bianca può pensare di fare la cosa giusta opponendosi al razzismo, nessuno sarà in grado di abbracciare davvero la missione di “farla finita con questa merda” fino a quando non ci si rende conto che le strutture a cui essi si oppongono non sono cattive solo per alcuni di noi, ma sono cattive per tutti noi.

Le gerarchie razziali non sono razionali e ordinate, ma sono caotiche e senza senso, e a esse si devono opporre esattamente coloro che ne traggono in qualsiasi modo profitto» (J. Halberstam, Introduction, in S. Harney-F. Moten, The Undercommons. Fugitive Plannings and Black Studies, Minor Composition 2013).

La coscienza americana è ancora ben lontana dall’essere giunta a questa consapevolezza. Al male irrisolto del razzismo sembra corrispondere solo una chiamata a opporsi a esso, senza essere davvero persuasi che il razzismo attacca parassitariamente tutti quanti senza distinzione alcuna; e che solo la rinuncia ai vantaggi che esso induce da parte di coloro che ne traggono continuamente guadagno può mettere in moto un processo di riconciliazione nella nazione.

Le manifestazioni di questi giorni, che stanno scuotendo un paese già gravemente segnato dalla pandemia, hanno radici profonde e rappresentano ben più di una mera reazione non solo all’uccisione di George Floyd da parte di un poliziotto durante il suo arresto a Minneapolis, ma anche a quella di Breonna Taylor (uccisa nel sonno dalla polizia di Louisville) e di Ahmaud Arbery (ucciso da un gruppo armato di vigilanti mentre correva vicino a casa in Georgia). Esse sono piuttosto l’emergenza fugace di una strategia che vuole «accerchiare la falsa immagine della democrazia per scuoterla e ribaltarla (…). Noi non possiamo rappresentare noi stessi. Noi non possiamo essere rappresentati» (The Undercommons, 19-20).

Davanti a questo tipo di manifestazioni una reazione ufficiale della Conferenza episcopale statunitense si è fatta attendere per alcuni giorni, mentre alcuni singoli vescovi (in particolare Cupich, Chicago, ed Hebda, Minneapolis) hanno percepito con rapidità la necessità di una presa di posizione immediata – insieme a Pax Christi e alcune organizzazioni caritative cattoliche.

Dalla comunità afro-americana e ispanica cattolica arriva il pressante invito alla Chiesa statunitense ad aprire una nuova stagione di attivismo pubblico per la giustizia sociale: «Dobbiamo trasformare coraggiosamente e radicalmente la nostra Chiesa in una forza attiva per la giustizia e in una consolazione quando il mondo sembra dire alla nostra gente che noi non contiamo niente. Essere una Chiesa che segue papa Francesco significa che noi, come cattolici, dobbiamo essere una Chiesa che è di esempio per tutti gli americani e lotta per la protezione e la dignità di tutte le vite di colore» (O. Segura).

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