Francesco, l’Europa e lo sguardo di Magellano

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Pubblichiamo un estratto del saggio che Lucio Caracciolo – direttore della rivista di geopolitica Limes – ha firmato per il volume Sognare l’Europa, pubblicato dalle Edizioni Dehoniane di Bologna a 60 anni dalla firma del Trattato di Roma (25 marzo 1957). Il volume raccoglie tre discorsi di papa Francesco (al Consiglio d’Europa e al Parlamento europeo del 25 novembre 2014; e al conferimento del Premio internazionale Carlo Magno, il 6 maggio 2016), con due saggi – a commento dei testi di Francesco – di Lucio Caracciolo e Andrea Riccardi.

Sognare l'EuropaL’approccio di Papa Francesco all’Europa ha il merito di rompere la barriera di ipocrisia che ha sempre segnato l’ideologia europeista. Smascherandone il trionfalismo nichilista che ha celebrato e celebra l’integrazione europea come una necessità storica, destinata a realizzarsi in un tempo imprecisato. Il problema era, e rimane, che l’europeismo ufficiale predicato dalle élite veterocontinentali da sei decenni non ha mai voluto o saputo precisare in che cosa consistesse questa necessità storica chiamata integrazione. Non ne ha mai precisato, al di là della retorica, fini e confini. Perché nel momento in cui l’avesse fatto avrebbe offerto all’opinione pubblica l’unità di misura con cui verificare progressi e regressi, realizzazioni e aporie dell’integrazione. Insomma, dove comincia e dove finisce l’Europa da integrare? Che forma istituzionale deve avere questa Europa? Uno Stato? Una Federazione di Stati? Un insieme di Stati e di popoli relativamente indipendenti, con in comune un mercato e, in parte, una moneta? Altro?

Il Papa non intende entrare in dettagli. Fra l’altro, così facendo negherebbe la sua premessa circa la prevalenza del tempo sullo spazio. Il suo non è un discorso politico, resta un indirizzo spirituale sub specie aeternitatis. Eppure, al di là delle stesse intenzioni di Bergoglio, la sua esortazione critica ha immediate ricadute politiche e geopolitiche. La Chiesa non è un osservatorio. E’ stata e rimane, malgrado tutto, protagonista della storia e della civiltà europea. Ha detto e ripetuto, in forme diverse e talvolta contraddittorie, la sua parola talvolta decisiva riguardo alle umane vicende di questo continente che fu – ora lo è molto meno – per secoli sua terra di elezione.

Non spetta certo alla Chiesa, specie nella sua nuova dimensione post-costantiniana (una tendenza, non un dato acquisito), stabilire che cosa sia o debba essere l’Europa. Ma il nostro futuro non sta nel recupero del legato di Adenauer, De Gasperi o Schuman. Sarà forse la prospettiva argentina, ma Francesco tende ad attribuire ai padri fondatori un afflato ideale probabilmente eccessivo. Non c’era molto pathos nel loro europeismo, dettato semmai dalla necessità di salvare il salvabile – a partire dai rispettivi Stati – dal disastro politico, economico e morale della guerra civile europea. Ed era soprattutto effetto della pressione americana, volta a erigere un limite invalicabile alla penetrazione dell’ideologia comunista e della potenza sovietica in Europa occidentale. Quel mondo, quell’Europa non esistono più né si possono recuperare.

La lezione di Francesco consiste invece nella tesi che questa parte di mondo ritroverà il suo impulso generatore solo aprendosi al resto del mondo. Anzitutto al contiguo mondo mediterraneo. Come nota padre Edmond Grace: «L’Europa sta entrando in un periodo di crisi nel quale si manifesterà un contrasto tra coloro che vedono l’Europa come una comunità di Stati che prosperano in solidarietà gli uni con gli altri e con il mondo più ampio, e coloro che sono ansiosi di vedere fallire questa visione, perché non sopportano l’idea che il loro Paese non possa esistere come realtà indipendente» (La Civiltà Cattolica, 2016, Quaderno 3989, 361). In una frase: integrare o perire. Dove l’integrazione si apre necessariamente, ma prudentemente, a chi non è nato europeo ma vorrebbe diventarlo. Non rimescoliamo lo stesso sangue, non chiudiamoci in un particulare che non può tenere e nel quale finiremo per soffocarci. Integrare o perire: ci voleva lo sguardo di Magellano per aprirci gli occhi sul dilemma che occuperà l’Europa per le prossime generazioni.

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